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Brillanti teste d’uovo

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Scienza e Filosofia

Brillanti teste d’uovo

Illustrazione di Guido Scarabottolo
Illustrazione di Guido Scarabottolo

Sugli animali e i loro cervelli circolano molte voci infondate. Il cervello umano, si dice, contiene 100 miliardi di neuroni. Ma da dove salta fuori questo numero? Una decina d’anni fa una giovane neuroscienziata brasiliana, Susana Herculano-Houzel, si era posta questa domanda. Dopo aver lungamente interrogato molti colleghi, anche più anziani ed esperti, si era resa conto che non esistevano in letteratura dati davvero convincenti sull’argomento. I libri di testo spesso menzionavano il numero magico di 100 miliardi, senza però fornire un preciso riferimento bibliografico. Insomma, la valutazione di cento miliardi sembrava più una diceria che un fatto acquisito. C’era però una ragione per questo. Le stime sul numero di neuroni contenuti in un cervello si basavano su procedure cosiddette stereologiche, in cui si contano, guardandoli al microscopio, i neuroni su un certo numero di sottili fettine, tagliate in posizioni diverse, dalle quali poi si desumono per estrapolazione i valori complessivi. Il problema è che fettine ottenute in porzioni diverse del cervello non mostrano la stessa densità di neuroni.

Susana Herculano-Houzel ha inventato però un nuovo metodo, semplice e bellissimo. In pratica, lei fa sciogliere le membrane delle cellule lasciando i soli nuclei sospesi in una specie di zuppa omogenea (più tecnicamente, isotropica, cioè eguale in tutte le direzioni). Poiché ogni cellula nel cervello contiene un solo nucleo, contare i nuclei equivale a contare le cellule. I nuclei dei neuroni e delle altre cellule del cervello (la glia) possono essere distinti tra loro nella zuppa con dei metodi che consentono di colorarli diversamente. Così facendo Suzana Herculano-Houzel ha potuto contare che i neuroni del cervello umano sono circa ottantasei miliardi. Quattordici miliardi in meno di quel che si pensava. Il metodo consente di misurare anche quanti neuroni ci sono nei cervelli delle altre specie, e qui sono venute nuove sorprese. L’intuizione ci indurrebbe a credere che a cervelli piccoli corrispondano meno neuroni, perché c’è meno spazio per contenerli.

Uno studio appena pubblicato ha però rivelato che la densità dei neuroni nei piccoli cervelli degli uccelli è paragonabile o più spesso addirittura superiore a quella dei primati. La questione della densità dei neuroni è importante. Non sorprende che un animale più grande abbia anche un cervello più grande (come minimo, gli servono più neuroni per portare a spasso un corpo di maggiori dimensioni). Ma prendiamo il caso, per capirci, di due specie, una di mammifero e una di uccello, i cui cervelli abbiano lo stesso peso. Per esempio quello di una scimmia come un galagone e quello di un cacatua ciuffogiallo. Il peso del cervello è di circa 10 grammi per ambedue le specie. Però il cervello del primate possiede circa 936 milioni di neuroni mentre quello del pappagallo ben 2122 milioni. Oppure, ancor più impressionante, prendiamo un ratto e uno storno: 1.80 grammi di peso il loro cervello, quello del ratto però contiene solo 200 milioni di neuroni, quello dello storno più del doppio, 483 milioni di neuroni. In media, pappagalli e corvidi hanno circa il doppio dei neuroni delle scimmie di simile peso, e questa concentrazione elevata si osserva in special modo nel pallio, la regione dorsale, più esterna, del cervello, che nei mammiferi prende il nome di corteccia. Per esempio una scimmia cappuccina ha un cervello che è quasi quattro volte più grande di quello di un corvo comune (il primo pesa 39.18 grammi il secondo circa 10.2 grammi). Ma il corvo ha 1204 milioni di neuroni nel pallio, la scimmia cappuccina ne ha 1140 milioni nella corteccia. Un macaco ha in media un cervello che pesa cinque volte il cervello di un’ara gialloblu (69.83 grammi contro 14.38 grammi), e tuttavia ha solo 1710 milioni di neuroni nella corteccia contro i 1914 dell’ara. Persino le specie di uccelli che sono più simili alle specie ancestrali, come il pollo di giungla (l’antenato del pollo domestico) o il colombo, che pure non brillano, in termini assoluti, nel confronto con i loro cugini pappagalli o corvidi, hanno comunque una densità di neuroni nel pallio paragonabile a quella delle scimmie.

Insomma, come affermano gli autori dell’ articolo, «il cervello degli uccelli ha la potenzialità di fornire un “potere cognitivo” per unità di massa molto più elevato di quanto sia possibile al cervello dei mammiferi». Appare evidente da queste considerazioni quanto sia azzardato dedurre alcunché dalle sole dimensioni del cervello. Nel corso degli anni, si è cercato in vari modi di legare la superiorità cognitiva umana alle dimensioni dell’encefalo. Le dimensioni assolute ovviamente non vanno bene (le balene, ad esempio, hanno cervelli molto più grandi dei nostri). Ma anche le dimensioni relative non sono soddisfacenti, come, ad esempio, il rapporto tra peso del cervello e massa del corpo, oppure il quoziente di encefalizzazione, che misura il rapporto tra dimensioni del cervello e grandezza del corpo di un animale in relazione ad altri animali di simile grandezza.

Il numero di neuroni può infatti variare in maniera differente nei diversi cervelli animali con il variare della loro grandezza. Nei primati, i neuroni aumentano con lo stesso tasso con cui si accrescono i cervelli. Se prendiamo un grammo di cervello da una scimmia piccola e un grammo da una scimmia grande, troveremo all’interno lo stesso numero di neuroni. Nei roditori, invece, la grandezza dei cervelli aumenta più di quanto aumenti il numero di neuroni. Se prendiamo un grammo di cervello in un roditore più grande troveremo che contiene meno neuroni di un grammo di cervello di un roditore più piccolo.

Da questo punto di vista, sostiene Suzana Herculano-Houzel, il cervello umano non è speciale: possiede esattamente il numero di neuroni che ci aspetteremmo di trovare in un primate con il cervello della sua stazza e, se potessimo aumentare le dimensioni del cervello di uno scimpanzé per fargli raggiungere le dimensioni del nostro cervello, osserveremmo che avrebbe grossomodo il valore atteso di 86 miliardi di neuroni. Le dimensioni del cervello non sono probabilmente l’unica ragione per cui si è diffuso lo stereotipo della scarsa intelligenza degli uccelli. Contribuisce anche una malintesa concezione dell’evoluzione. L’idea, cioè, di un ordinamento temporale del tipo pesci- anfibi-rettili- uccelli-mammiferi che si rifletterebbe in una parallela scala lineare dell’intelligenza.

Come dire: ultimi arrivati sulla scena, meglio serviti in termini di dotazione neuro-cognitiva. Ma gli organismi che vivono oggi sul pianeta non sono eguali alle specie ancestrali da cui sono derivati, si sono evoluti anch’essi: il pesciolino che vediamo nuotare nello stagno non è la medesima creatura che ad un certo punto ha dato l’abbrivio, come si racconta nei documentari, al famoso «passaggio della vita sulla terra», ma un suo tardo discendente. E non è vero che gli uccelli siano comparsi prima dei mammiferi: i primi mammiferi sono comparsi attorno a 230 milioni di anni fa, gli uccelli un po’ dopo, 160 milioni di anni fa. I risultati di Herculano-Houzel e collaboratori mostrano come sia necessario ragionare sui cervelli nei termini delle pressioni selettive che ne hanno determinato l’evoluzione e lo sviluppo.

La funzione del volo ha imposto agli uccelli di minimizzare il loro peso, incluso quello del cervello. Ma come possono con cervelli così piccoli avere così tanti neuroni? Quasi certamente i neuroni degli uccelli sono più piccoli e sono impacchettati più densamente. L’architettura che ne risulta è per certi versi peculiare, perché le cellule nervose hanno bisogno di un sistema per connettersi tra loro, che è fornito da dendriti e assoni. Per garantire connessioni a lungo raggio tra i neuroni è necessario che questi siano abbastanza grossi. Le connessioni a lungo raggio sono tipiche della corteccia dei mammiferi, che è organizzata a strati, come un sandwich. Con neuroni piccoli, invece, risulta favorita la connettività locale su quella a lunga distanza: il cervello degli uccelli assomiglia ad una pizza piuttosto che a un sandwich, è fatto di nuclei nei quali i neuroni sono addensati e fortemente interconnessi. Un numero relativamente limitato di neuroni più grandi supporta invece connessioni a lungo raggio. Si tratta di un tipo di connettività che è stata studiata dai matematici nella cosiddetta teoria dei grafi, ma che ci è familiare perché caratterizza reti sociali come per esempio Internet.

Queste reti, dette small world, sono composte da agglomerati di nodi fortemente connessi tra di loro, ma collegati con altri agglomerati tramite legami più deboli, secondo una distribuzione che obbedisce a una legge potenza. Le reti small world si ritrovano in ambito sociale, biologico e tecnologico, e sono caratterizzate da un’elevata capacità di diffondere i segnali in modo veloce ed efficiente avendo pochi gradi di separazione tra i nodi (ricorderete la famosa ipotesi secondo cui ogni persona può essere collegata a qualunque altra attraverso una rete di conoscenze e relazioni con non più di cinque intermediari). Forse le proprietà di queste reti sono alla base delle sofisticate capacità di elaborazione delle informazioni di uccelli come i pappagalli e i corvi. D’altro canto rimane da capire quali specifici benefici (e costi) siano associati a un’organizzazione laminata o a nuclei del tessuto nervoso. La lezione più importante che ci viene da questi studi è che ci sono modi diversi (sebbene certamente non infiniti) di costruire cervelli efficienti; il modello mammifero non rappresenta il vertice della creazione, solo una delle possibili soluzioni.

Olkowicz et al, Birds have primate-like numbers of neurons in the forebrain, Proceedings of the National Academy of Sciences USA, published online June 13, 2016; doi: 10.1073/pnas.1517131113

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