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Popolare o populista?

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Economia e Società

Popolare o populista?

Filosofia e cinema. Marshall McLuhan (1911-1980), a sinistra, in «Io e Annie» (1977) di Woody Allen (al centro). Il massmediologo appare nel film per dare ragione a uno dei due contendenti, mentre discutono sul suo pensiero
Filosofia e cinema. Marshall McLuhan (1911-1980), a sinistra, in «Io e Annie» (1977) di Woody Allen (al centro). Il massmediologo appare nel film per dare ragione a uno dei due contendenti, mentre discutono sul suo pensiero

Ormai da qualche anno è entrata nel lessico dell’industria culturale anche l’espressione “pop filosofia”. Il primo a usarla fu forse Gilles Deleuze, negli anni ’70, che secondo il filosofo belga Laurent de Sutter - anch’egli originalmente ascritto alla famiglia della filosofia pop - coniando incidentalmente quella formula non aveva in testa niente di veramente “pop”. Al contrario, egli vampirizzava le espressioni del mondo contemporaneo portandole al servizio della sua nozione di concetto e di una filosofia che in nulla si voleva popolare. Al di là delle intenzioni di Deleuze, l’espressione era tuttavia troppo suggestiva, nelle sue ambivalenze, per non essere fortunata e per non diventare il marchio di una classe eterogenea di tendenze e di pratiche intellettuali, anche in contrasto tra loro. Innanzitutto è affascinante il legame, che la formula evoca nel suono, tra il “pop” inteso come cultura popolare e i suoi intrecci con i mass media, e la filosofia, la riflessione critica: impresa di non poco conto e di non poco interesse. E in questo senso basterebbe citare, come è banale ricordare, il lavoro di Umberto Eco in Italia (o di McLuhan) per ricordarsi che questo impegno, con altre radici, risale a tempi ormai lontani ed è perfettamente integrato nel nostro sistema di discipline. A questa tradizione può essere forse aggiunta quella, vivace, dei cultural studies, che ha successo nei dipartimenti di molte università anglosassoni e che, originata da discipline letterarie, ha fatto della cultura di massa uno dei suoi fuochi. Ma non si tratta forse ancora di vera pop filosofia per gli amanti del genere. Umberto Curi per esempio considera che la filosofia greca arcaica possa essere vista come una pop-sophia, cioè come una sapienza non tecnicizzata, ma in rapporto vitale con la comunità e la natura. Tale rapporto rimarrebbe in certa misura vivo anche con Platone, quando mette la meraviglia e lo stupore all’inizio di ogni percorso filosofico. L’ipotesi è affascinante, ma forse depotenzia, in una definizione di popsophia che a me pare troppo ampia per essere operativa, proprio la specificità del pensiero pop contemporaneo. Introduce tuttavia, anche al di là delle intenzioni, mi pare, un divide tra filosofia e pop filosofia, spesso sottolineato anche da altri cultori della popsophia, che passa tra il pensiero libero e non tecnicizzato, e con ciò stesso popolare, e la filosofia fatta di accademia e specialismi, che sarebbero segni di potenziale asfissia. Certo l’elemento popolare con Platone e soprattutto con Aristotele sembra lasciare il passo a un’aristocrazia del pensiero che cresce con la sua istituzionalizzazione, anche se va ricordato - se mi è consentito niente più che un gioco - che sebbene la Politica di Aristotele ci lasci oggi un certo gusto aristocratico, troviamo l’espressione di una filosofia che in quanto tale è democratica nella prima frase dei tecnicissimi libri metafisici (e forse solo lì): «Tutti gli uomini hanno per natura il desiderio di conoscere». La stessa frase che Dante, intellettuale “totale” e forse davvero filosofo pop, sceglie per aprire il suo Convivio, scritto in fiorentino per portare la filosofia alle donne e ai laici che non conoscono il latino, baroni, mercanti, politici delle città.

La polarizzazione tra filosofia non accademica, quindi libera e fresca, e con ciò stesso popolare, e filosofia delle università, quindi polverosa e noiosa, forse insincera, è spesso utilizzata per valorizzare la pop filosofia. Ciò naturalmente genera una certa ambiguità e nutre il sospetto di un paradossale anti-intellettualismo popfilosofico. La domanda è allora lecita: la filosofia pop è una filosofia popolare o una filosofia populista? Uso naturalmente “populista” in un’accezione piuttosto ampia, ma credo consentita. Non si tratta soltanto della vena anti-intellettualistica come sorprendente denuncia dei polverosi accademici tradizionali - sorprendente perché condotta in gran parte da (integratissimi) accademici o aspiranti tali - ma dall’atteggiamento stesso che si intrattiene con il pop.

Intendiamoci: il pop è spesso oggetto di pensiero filosofico vero e proprio. Si potrebbe citare il libro recente del filosofo Emanuele Coccia (Il bene nelle cose, Il Mulino, 2014), che fa del linguaggio pubblicitario una fonte autonoma di pensiero morale, un vero oggetto da pensare; oppure il filosofo francese Peter Szendy che rifiuta il pop come mero esercizio di esemplificazione filosofica, ma che fa dei tormentoni musicali, quelli delle nostre estati, il tema di riflessione su un’autonoma forma di accesso al soggetto (in Tormentoni! La filosofia nel juke box, Isbn, 2009). I casi importanti si potrebbero moltiplicare. Dall’altra parte però molti intellettuali pop, a testimonianza dell’ampiezza di stili e generi a cui la formula si applica, sembrano limitarsi all’uso di serie tv, film, fumetti, canzoni, come esemplificazioni di concetti e idee classiche della filosofia. Lo si vede spesso, non sempre, nei libri La filosofia di... (e si aggiunge a piacere tale o talaltra serie tv del momento).
Certo si tratta di operazioni a volte riuscite e meritorie, ma che a volte presentano alcuni inconvenienti. Il primo è che giocano spesso con legami estrinseci tra cose diverse (non sempre basta mettere insieme un fumetto e una campagna elettorale per cogliere lo spirito dei tempi); un altro è che danno a intendere che per essere filosofi basti e avanzi guardare la tv (va anche detto, d’altra parte, che non credo che un filosofo contemporaneo possa non guardare la tv); ma soprattutto rischiano il contrario di quello che promettono, cioè comprendere il presente e, possibilmente, trasformarlo. Spesso infatti si trattano le serie tv, i film, come fossero dati di natura e non come prodotti intellettuali e dell’industria culturale, come se non ci fossero squadre di scrittori, autori, esperti che danno vita a una costruzione già calibrata, già resa filosofica o meno, già carica di un senso voluto. Insomma a volte, nonostante gli intenti liberatori della filosofia pop, il risultato sembra essere una certa assunzione acritica di linee pensate da altri.

Un giudizio negativo? Non necessariamente, ma le tendenze sono molte, con pretese diverse, e la categoria sembra volerle coprire tutte. Un ruolo importante è però dato dai festival, che sono tra le manifestazioni di contaminazione più interessanti. A Marsiglia si svolge da anni la “Settimana della pop filosofia” e da qualche tempo anche a Bruxelles. In Italia un esperimento di grande successo è “Popsophia. Festival del contemporaneo”, che si svolge a Pesaro (quest’anno dal 14 al 17 luglio sul tema contenitore Il ritorno della forza), organizzato da Lucrezia Ercoli, giovanissima direttrice dell’ormai importante appuntamento estivo. Del resto la forma del festival - che rilancia tutte le tendenze popfilosofiche, con certi nodi irrisolti ma anche con tutta la potenzialità e l’utilità di una grande operazione culturale - ha il grande merito di tenere produttivamente insieme le ambivalenze di cui abbiamo parlato, rendendole fruibili a un pubblico ampio, e mostrando come lo scambio intellettuale sia sempre vitale, soprattutto quando incrocia le esigenze dell’ascolto, del marketing culturale, dell’intrattenimento, dell’immaginario e della festa. Sulla falsariga della forza di Guerre stellari al Festival partecipano quest’anno filosofi affermati (in gran parte accademici), personaggi della cultura, giovani studiosi e appassionati, per esempio, Remo Bodei, Giulio Giorello, Emanuele Coccia, Gianni Vattimo, Giacomo Marramao, Adriano Fabris, Armando Massarenti, Vincenzo Fano (che dialogherà con il sottoscritto sulla filosofia nelle università), Tommaso Ariemma, Cesare Catà e molti altri, in un confronto di stili e di registri che in fondo è tipico del pop stesso e certamente anche della filosofia.

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