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Nel mosaico Doha è pronta la favolosa Galleria di Milano

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Nel mosaico Doha è pronta la favolosa Galleria di Milano

La Galleria Vittorio Emanuele di Milano rifatta nel mall Alhazm di Doha (foto Angela Manganaro)
La Galleria Vittorio Emanuele di Milano rifatta nel mall Alhazm di Doha (foto Angela Manganaro)

Pare che l'idea sia venuta durante un caffè da Biffi in Galleria. Pare che per realizzarla sia stata smontata una montagna di marmo di Carrara. Pare che gli splendidi pavimenti siano di bianco thassos che rimane fresco anche a temperature desertiche. Pare che siano stati piantati ulivi vecchi di ottocento anni. Si preferisce usare il pare – anche se è tutto vero – perché è da «Mille e una Notte» Al Hazm, nuovo mall a Doha che sarebbe fuorviante definire centro commerciale. Istintivamente si abbandona il nostro metro del bello e il senso della misura, si dimentica subito la piramide all'ingresso, prevedibile omaggio al Louvre e a Parigi, e ci si immerge nell'opulenza senza limiti, nella ricchezza senza complessi, nell'ambizione senza riverenza al modello.

Corniche, il lungomare di Doha con un dhow in primo piano

Dentro Al Hazm a Doha è stata ricostruita e ripensata la Galleria Vittorio Emanuele di Milano che finalmente apre a fine anno, cuore del mall che ha già aperto e si aggiunge agli altri dieci già presenti a soddisfare una delle principali esigenze dei qatarini ricchi – cioè tutti – nel molto tempo libero. Dieci anni di lavori, un miliardo di dollari l’investimento, il video con la visita del primo ministro Gentiloni e della moglie Emanuela a ufficializzare questo angolo di Italia in Qatar. «Volevamo ricreare la rilassata atmosfera italiana, solo negozi e ristoranti, niente cinema, distrazione, confusione» mi dice Georges Bou Ibrahim, creative director di Al Hazm, non si ha cuore di discutere questa ottimistica idea di dolce vita. È più interessante girare un mall che alla fine conterrà più di cento ristoranti ed è pronto a ospitare giovani designer e nuove firme occidentali.

Al Hazm è però solo un pezzetto di una città mosaico non proprio geometrica quindi non del tutto araba. Tra giovani e stranieri, camerieri ucraini, italiani qua e là, uomini d’affari che tornano dalla palestra a fine giornata, pensi di essere finita nella Londra degli anni novanta. Non è così, Doha non è certo Dubai ma non sembra neanche la capitale di un regno che professa l'Islam wahaabita.

Probabile che i Mondiali 2022 stiano dando una straordinaria spinta ma la città va più veloce degli onnipresenti cantieri: della metro (3 linee e 37 fermate), dei Mondiali (nove nuovi stadi), di Lusail City, per ora più un'idea che un preciso skyline che sarà uno dei biglietti da visita che il giovane paese, indipendente dal 1971, fino a quel momento protettorato britannico, vuol dare di sé: sostenibilità, ecologia, rinnovabili, insomma futuro.

Biglietto ancora più pregiato è la rosa del deserto, l’atteso National Museum of Qatar disegnato da Jean Nouvel che finalmente inaugura a dicembre. Dentro questo bianco fiore che già ha preso forma dove ancora vedi muratori danzanti sulla punta dei petali, ci si aspetterebbe di vedere esposti gli acquisti di questi anni della sceicca al Mayassa al Thani, sorella minore dell’emiro Tamim, presidente della Qatar Museums Authority, mecenate dell’arte mondiale. Non è scontato anzi forse non ci saranno né i Warhol, né i «Giocatori di carte» di Cezanne, la rosa sarà soprattutto casa della cultura qatarina. La Gallery Al Riwaq di fronte al MIA (Museum of Islamic Art che ricorda una donna velata progettato da M. Pei, l’architetto della piramide del Louvre) continua comunque a ospitare arte contemporanea occidentale e non, sono passati di qui Damien Hirst e Takashi Murakami, ma anche il cinese Cai Guo-Qiang, attualmente contemporanei russi. La sceicca al-Mayassa sostiene che l’arte aiuta il dialogo fra i popoli, esempio è il Mathaf, l’Arab Museum of Modern Art.

In questa piccola galleria c’è infatti spazio per tutto il mondo musulmano, e per le donne. Ci sono i volti segnati dalla primavera araba dell’iraniana Shirin Neshat (Afterwards, 2015). Ci sono i volti di donne della saudita Manal Al Dowayan e le sue colombe di ceramica marchiate dall’autorizzazione del padre (le saudite non possono viaggiare all’estero senza permesso del capofamiglia, le qatarine dopo i 25 anni sì), ci sono i volti dell’iracheno Ismail Azzam, «For Them» tributo agli artisti del suo Paese. Volti: niente antiche, astratte, concilianti geometrie.

Il National Museum of Qatar progettato da Jean Nouvel (Foto di Angela Manganaro)

Geometrico ma contemporaneo è invece il Souq Waqif. Raccontano che l’emiro ha voluto che gli anziani tornassero a viverci e descrivessero com’era un tempo; non ha potuto riportare in vita il passato ma ha ricreato un’atmosfera. Qui si impara tutto sulla nobile arte della caccia coi falconi, niente verrà risparmiato pure che li vanno a prendere in Europa e a Como, quando pensi che hai finito con gli uccelli, incontri la clinica chirurgica dei falconi, vicina a stalle per cavalli praticamente dei due stelle per umani in Italia. Nel souq ci sono anche gli attraenti alberghi boutique, 180 euro in media una notte, stili moderni dietro facciate che obbediscono a un’idea di tradizione, ovvio anche le solite esagerazioni (suite da 180 metri quadri in un paese però in cui una casa di qatarino medio sfiora i 400 mq giardino escluso). Non lontana una delle sterminate moschee (la più grande costruita nel 2011 può contenere 30mila fedeli), sullo sfondo la scuola islamica con la suggestiva torre a forma di foglio arrotolato.

Il souq è una piantina di tradizionale modestia dentro un ecosistema dell’eccesso che mai sfocia in circo. Sul lungomare, la Corniche i dhow, tradizionali battelli diffusi nel Golfo per pesca e turisti, convivono pacificamente con lo skyline. Sono, i grattacieli, i luoghi della spensieratezza e della nuova identità. Qui il giovedì sera, inizio del fine settimana, si può scatenare una musica che sembra poter far esplodere il palazzo.

Da qui si guarda una città che è stata e continua a essere rubata al mare (The Pearl il furto più lussuoso, immensa isola artificiale con annessi otto isolotti ancora in vendita, il nono ovviamente è dell’emiro). Da qui si guardano gli alberghi cinque stelle in cui andare ed esserci, uno è il Mondrian che come Al Hazm non ha complessi né teme confronti. Rispetto al Banana Island (resort a 15 minuti di traghetto), il Mondrian è pure alcolico, e ha il Rise, il bar con vista in cui si entra solo con passaporto cioè dimostrando di essere straniere. Con tutti i doverosi assaggi di hummus e salsine e dolcetti, potresti pure evitare le calorie dello spritz come lo fanno in California, ma visto che tu straniera puoi andare, vai.

Il Mondrian di Doha (Foto di Angela Manganaro)

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