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Viaggi che cambiano la vita: accade, accadrà, forse già…

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LA RECENSIONE

Viaggi che cambiano la vita: accade, accadrà, forse già domani

(Ap)
(Ap)

In questi tempi bizzarri se siete tra quelli che si stanno chiedendo che senso abbia stare su questo ottovolante, queste righe sono per voi. Ti svegli, corri, ti muovi, parli. Figli, famiglia, lavoro. Un amico che urla, uno che ti consola. Tangenziale o la metro che sa di sudore. L'ufficio vorticoso, l'ufficio mortificante. La mancanza di un ufficio. Un progetto a tutto sprint. Una pagina bianca. Un'idea che sfuma o una che arranca. Ora c'è pure spread. Qualche risparmio, un mutuo e lo spread e chissà. E insomma sbuffi e ti dici “che mondo!”. Insomma è proprio il tuo ottovolante che ti fa salire la nausea.

Ed allora?

Ci sono momenti in cui avresti voglia di alzare lo sguardo ed immaginare una mano che ti solleva. E dia forza ai tuoi pensieri. Che spinga oltre il tuo sguardo. In quell'attimo puoi vedere la certezza che la vita può essere altro e molto altro. E convincerti che un sogno può vestirsi della libertà. Ci sono momenti in cui è il viaggio a sbrogliarti e anche se non dovesse succedere a risolverti in ogni caso. Perché lì in quel viaggio tutto trova il suo senso.

E' accaduto, accade. A te forse già. O forse sei tra quelli a cui accadrà domani.

È successo a tutti gli uomini e le donne che Federico Pace racconta nel suo bellissimo “Controvento – Storie e viaggi che cambiano la vita” (Einaudi pp.167, 14 euro).

Sono scrittori, esploratori, poeti, architetti, musicisti. Vite di cui conosciamo molto (ma non quell'attimo dirimente che scova Pace) o vite di cui ignoriamo tutto. Ed attraverso di loro, attraverso l'esperienza dei loro “viaggio” ritroviamo anche noi l'intuizione di Pace nell'estate in cui gli capita tra le mani un taccuino di Albert Camus. “In una delle prime pagine scrisse che il valore del viaggio è nella paura. Quel pensiero gli era cresciuto dentro quando era andato alle Baleari nell'estate del 1935. Raccontava di ciò che aveva provato, della lontananza dal suo paese e dalla sua lingua. In quella dimensione comprese che l'apporto più reale del viaggio non era il piacere, ma quel rendersi febbrili e poroso. Tanto che ogni minima emozione ci scuote fino al fondo dell'essere”.

Immaginate, ad esempio, con quale muscolo palpitante (il cuore) Oscar Niemeyer dovette intraprendere il viaggio che gli chiese di fare il presidente brasiliano, Juscelino Kubitschek, verso una città che non esisteva. “Si dice che Niemeyer provasse persino un po' di piacere nel pregustare quel tipo di viaggi. Senza sapere quando sarebbe arrivato, senza sapere se sarebbe mai arrivato. Intraprendeva le spedizioni verso Brasilia così, quasi spinto da una brezza”. Ma i viaggi sono anche passaggi come quando “si intuisce, con umana vulnerabilità, che tutto quel che si pensava d'avere, non lo si potrà avere sempre. In cui si scopre, con stupore e incertezza, che si pensava sarebbe rimasto immutato comincerà a scivolare verso il disordine e nulla potrà essere come prima”. E' questo il giorno in cui la scrittrice Anna Maria Ortese lascia con la sua famiglia Tripoli, la Libia, l'Africa, dove “il tempo non passava”. Forse fu l'amico Van Gogh a parlargliene ma fu lui, Gauguin a decidere che quel viaggio doveva compierlo, che non poteva più ed eludere la partenza: così salì sul piroscafo Océanien delle Messageries con una lettera di raccomandazione per il governatore francese a Tahiti.

Poi ci sono i viaggi verso il talento: quello di Joni Michell comincia dalle coste del Maine, da un amore che finisce: è il 1976 e lei ha trentadue anni. O quelli che non si possono raccontare che sono così misteriosi ed intimi da non poterne serbare né un appunto, né un diario. “Einstein sull'oceano. Un abisso sopra un altro abisso. Immobile, sul ponte della nave con addosso il cappotto nero. E' l'8 ottobre del 1933. Pochi giorni prima aveva parlato alla Royal Albert Hall di Londra…Nel viaggio che lo stava separando per sempre dall'Europa senza che lui lo sapesse, come accade a tutti noi, che non sappiamo quel che ci aspetta e se saremo separati da qualcuno e per quanto tempo, lo scienziato, che almeno si sappia, non tenne alcun diario, Einstein, durante il viaggio sembrò precipitare sempre più dentro se stesso. Cominciò a scendere gli scalini della sua intimità”.

E poi il ritorno perché “le nostre origini sono sempre in un altro luogo. C'è sempre qualcuno nella nostra famiglia che è arrivato da un altrove”. O la scoperta: “Nessuno sa cosa ci abbia fatto diventare quel che siamo. I nostri gesti, quel che è scritto nei nostri geni”.

In queste pagine, sinceramente palpitanti per la qualità della scrittura, Pace riesce a restituire il dono inestimabile dell'opportunità, dello snodo consolatorio quello che ti fa credere che non importa ciò che è ma ciò che sarà.

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