A Venezia esisteva un “Magistrato alle Pompe”, un giudice che sanzionava i cittadini che andavano per le calli vestiti in modo troppo pomposo, sfarzoso; comprese le famose cortigiane. Nella Serenissima come in altre città italiane erano in vigore “leggi suntuarie” che sorvegliavano la decenza dell'abbigliamento, ponevano limiti a quello che si poteva e non si poteva mettere, a seconda delle occasioni e dei ruoli sociali.
Pare che le leggi suntuarie non fossero molto rispettate, ma se ne sente la mancanza proprio a partire da Venezia, città la cui atmosfera è guastata da un turismo di massa che nei mesi caldi si lascia andare a ogni licenza estetica di uccidere: ciabatte marsupiate, pinocchietti di alpaca da acqua alta, canottiere ascellari e altri capi d'abbigliamento “turistico”.
Briatore: “Il turismo delle ciabatte fa male all’Italia, lusso vera occasione” https://www.ttgitalia.com/stories/incoming/145568_briatore_il_turismo_delle_ciabatte_fa_male_allitalia_lusso_vera_occasione/
– Grand Hotel Rimini(grandhotelrn)
La polemica sollevata da Flavio Briatore
Attentati contro la stessa bellezza che si viaggia per poter ammirare, contro la dimensione incantata e sospesa nel tempo
che ovunque altrove è andata persa. Preso singolarmente il turista “ciabattone” - per dirla con le parole usate da Flavio Briatore - non sarebbe così dannoso, ma moltiplicato per mille diventa un abuso ambulante, uno sfregio estetico altrettanto disturbante
di quello causato dalle grandi navi da crociera che sovrastano piazza San Marco. “O sei un'opera d'arte o indossi un'opera
d'arte” sosteneva Oscar Wilde. Ma di fronte a un'opera d'arte cosa indossare, anzi: cosa non indossare? Stendhal era caduto in deliquio - dando il nome alla nota sindrome -, sopraffatto dalla bellezza di Firenze. Il David di Michelangelo
dovrebbe essere preso da una sindrome di segno opposto, dovrebbe stramazzare al suolo per il modo in cui sono vestiti i turisti
- in particolare nei mesi caldi -, come abbattuto dal Golia della globalizzazione del cattivo gusto.
Che cosa passa per la testa della gente quando deve partire per una vacanza? Ho visto persone normalmente sobrie ed eleganti perdere la testa di fronte a un viaggio; e, in una sorta di sonno del senso estetico, decollare in tuta da ginnastica con borsello e mutanda a doppio fondo per nascondere i soldi temendo che la carta di credito e il bancomat non funzionassero. Niente di grave, ma immagino come possano – letteralmente - “sbracare” persone meno sobrie ed eleganti, quando perdono i riferimenti suntuari del quotidiano. Che cosa prova esattamente l'homo turisticus di fronte al vuoto di una valigia nell'imminenza di un imbarco, previsioni del tempo alla mano? Quale interruttore della mente si spegne nel ticchettio del conto alla rovescia della sveglia? Parafrasando Blade Runner, ho visto comitive di cinesi con camicia hawaiana, pinocchietto fosforescente e marsupio di finto pecari – ricavato forse da interni di automobili anni '80 dismesse – seguire guide che brandivano un ombrello fucsia, nel parcheggio degli autobus verso Mont Saint Michel: legioni di sbracati in marcia per distruggere ogni poesia, ogni incanto del luogo. Non sono riuscito a godermi la visita.
Cos'è questa licenza d'uccidere – gli altri viaggiatori –, questa anarchia demenziale che coglie anche menti più o meno illuminate? Non vorrei dare l'impressione di prendermela con alcune nazionalità meno sensibili all'estetica del vestire. “Ma io mi rifiuto di giudicare un popolo dal taglio dei suoi pantaloni!” protestava il grande Curzio Malaparte visitando l'Unione sovietica staliniana, diretto a Pechino (in “Io e in Russia e in Cina”, ultimo libro dello scrittore toscano). Ce l'aveva con Moravia che si lamentava per l'ineleganza dell'homo sovieticus. Eppure Malaparte era più elegante di Moravia. E' stato forse lo scrittore più elegante che abbia avuto un paese elegante come l'Italia. La scena del suo ingresso al caffè Aragno di Roma è rimasta impressa a memoria d'uomo e soprattutto di donna. I sovietici erano malvestiti ma almeno dimessi, disadorni. Fin troppo.
Lo sbraco estetico è trasversale, comune a ogni nazione.
Forse sono stati i film americani sulle vacanze demenziali a creare un immaginario globale del turista vestito da cretino... Hanno trovato terreno fertile nella comune voglia di rilassarsi in viaggio senza menarsela, nella paura di rovinare capi più o meno costosi stipandoli nella valigia, magari dimenticandoseli tra uno spostamento e l'altro sulle grucce dell'ennesimo hotel. Capisco. Io ho perso viaggiando molti dei pochi indumenti a cui tenevo. Per esempio un giubbotto da motociclista, prodotto nella Repubblica socialista della Cecoslovacchia, e comprato in un mercatino dell'usato sotto la neve praghese di gennaio. L'ho dimenticato in una finca sulle Ande, scrivendo inutilmente alla direzione per farmelo spedire. Mi è andata meglio con un paio di jeans che ho dimenticato in un albergo del Kenya e mi hanno seguito per tutte le tappe successive raggiungendomi prima che ripartissi per tornare a Milano. Naturalmente me ne fregava molto meno. Anzi quei jeans mi hanno quasi stalkerizzato nel tentativo di raggiungermi. Altre volte il bagaglio in stiva non è atterrato con me e ho dovuto infliggere ai miei compagni di viaggio lo stesso vestito per diversi giorni. Alitalia si è comportata meglio di altre compagnie e mi ha autorizzato a comprare alcuni capi promettendo di rimborsarmeli. Dormivo vicino a un porto e l'unico costume in vendita che mi andasse bene era prodotto da Briatore e destinato alle terga di proprietari di yacht. Così ho dovuto indossare un costume con scritto “Billionaire” sulle mie umili chiappe. L'ho dimenticato in viaggi successivi. In generale non sono per vincoli nel vestiario.
Non so farmi il nodo della cravatta – indumento introdotto dall'esercito croato, come dice il nome –, mi piacciono le scarpe e gli abiti vissuti; e ho sempre problemi quando devo andare per lavoro in luoghi dove vige un'etichetta elegante, come il glorioso Circolo del Giardino a Milano. Detesto fisiologicamente le situazioni troppo formali, anche perché soffro da sempre di una insofferenza ai tessuti – specialmente nuovi e ruvidi -, che ho scoperto essere più diffusa di quanto pensassi. Il pittore Marc Chagall aveva lo stesso problema e per questo era sempre vestito male e dipingeva nudo. Nella seconda scena del film di Aleksander Mitta lo vediamo nudo mentre dipinge in una soffitta parigina; nella prima lo vediamo nascere in mezzo alle fiamme di un pogrom nell'impero zarista, a Vitebsk, attuale Bielorussia.
Tornando al presente. Semplicemente penso che in viaggio si debba andare vestiti in modo decente, meglio di come ci si aggira
tra le strade della quotidianità, per rispetto di se stessi e della bellezza che si ammira, oltreché degli altri. Per non
guastare l'atmosfera che la circonda, importante come il bicchiere dove si versa un vino, anzi molto di più. I comuni ogni
tanto emettono ordinanze per impedire ai turisti di andare in giro in costume e ciabatte. Ma forse in certi casi meglio il
costume o addirittura la nudità. Nelle chiese ci sono divieti alle scollature, spalle scoperte ecc. Più etici che estetici.
La bellezza salverà il mondo, diceva “L'idiota” dostoevskiano. Anche la bruttezza, o meglio la capacità di sopportare le brutture, di non vederle, di far finta che non esistano, è altrettanto fondamentale per salvare se stessi, se non il mondo, per tirare avanti. Ciò detto, bisognerebbe ripristinare leggi suntuarie e un Magistrato alle Pompe, non solo a Venezia. Non per reprimere lo sfarzo, ma per limitare lo sbracamento, ostentato o inconsapevole che sia, verso il trash. La convenzione di Ginevra avrebbe dovuto vietare i pantaloni a Pinocchietto, ma non potendo disporre di uno strumento legislativo così alto, ci vorrebbero almeno le ordinanze comunali, qualche cartello, una campagna di sensibilizzazione; insomma tutto quello che si può fare. Per gli uomini un ottimo decalogo è quello contenuto nell'Anonimo Lombardo di Arbasino: “Le scarpe bianche semplicemente non esistono”, “Abbi calzetti scozzesi, ma pochissimi e bellissimi”, “Sempre alte le calze, quindi magari con le giarrettiere, non comprare neanche quelle basse per non avere la tentazione di metterle”... Erano gli anni '50. I fantasmini erano ancora lontani.
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