Cronaca giorno per giorno di un viaggio tra storia, religiosità ed emozioni. Seconda parte: dal Mar Morto a Tel Aviv
Quinto giorno – Mar Morto, dormendo in un kibbutz
Il giorno dopo, partenza in taxi per Qumran, nella parte nord del Mar Morto, a una quarantina di chilometri a est di Gerusalemme. Abbiamo deciso la mattina stessa di pernottare lì, e prenotato una camera in un kibbutz nelle vicinanze. Il viaggio in taxi è stato contrattato prima di partire, ciò nonostante il tassista ha cercato di venderci per tutto il percorso (bello, si scende verso il Mar Morto che è in una depressione oltre i 400 metri sotto il livello del mare) deviazioni, ovviamente a pagamento. Ma resistiamo, e in una quarantina di minuti arriviamo al nostro kibbutz, a un paio di chilometri da Qumran, protetto dall'esterno da un posto di blocco con sbarra e militare di guardia.
La stanza è piacevolissima, assai pulita e ampia, con doccia, acqua calda a volontà e un bollitore per prepararsi tè e caffè. Ci sistemiamo, e decidiamo di restare due notti e di dedicare la prima giornata al relax sul Mar Morto. Arriviamo con un taxi (con targa palestinese, al posto di blocco la militare israeliana di guardia storce un po' il naso) in una spiaggia a pochi chilometri di distanza. La spiaggia è attrezzata con lettini e ombrelloni (il ticket di ingresso è compreso nel prezzo del nostro pernottamento al kibbutz) e ha un bel bar che si autoqualifica come «il bar più profondo del mondo». Non banca un bagnino; sono presenti turisti principalmente israeliani ma anche diversi palestinesi e qualcuno che arriva da fuori (sentiamo parlare italiano). La giornata è abbastanza grigia e nuvolosa, ma fa decisamente caldo.
Il bagno nel Mar Morto è una esperienza stranissima. Inutile cercare di stare sulla pancia, la densità dell'acqua non consente di nuotare in modo tradizionale; la cosa migliore è sdraiarsi sulla schiena e godere dell'impossibilità di affogare spostandosi pian piano con le braccia. Attenzione però a non bagnarsi con gli schizzi d'acqua: gli occhi bruciano tantissimo e in quel caso l'unica soluzione è uscire e pulirsi dal sale con una doccia. Dopo il bagno, come nella migliore tradizione dei turisti, ci siamo cosparsi dei fanghi del Mar Morto, che pare abbiano proprietà curative. A noi è venuto un po' di prurito e, dopo esserci sciacquati, ci siamo ritrovati con la pelle arrossata.
Torniamo al tramonto nel kibbutz, e terminiamo la giornata di stacco e relax recandoci al minimarket e cenando con formaggi e altri prodotti locali.
Consigli di viaggio
Per nostra esperienza, dormire in un kibbutz, quando si è fuori dalle grandi città d'Israele, è una buona scelta. Il nostro era tranquillissimo, molto pulito e dotato di tutti i confort necessari; il prezzo era comunque interessante. Bello anche scoprire come sono organizzati questi micro-villaggi autonomi: nel nostro c'era ad esempio un asilo, una piscina e altri edifici dedicati alla vita comunitaria.
Sesto giorno – Qumran, i rotoli del Mar Morto e il deserto
Dopo una abbondantissima e ottima colazione nel nostro kibbutz, affrontiamo a piedi, sotto un caldo abbastanza afoso, i pochi chilometri necessari per arrivare a Qumran. In questo sito un beduino ha trovato, nel 1947, i primi Rotoli del Mar Morto. I Rotoli sono stati scritti in un periodo databile tra il II secolo a.C e il I d.C, nel periodo in cui a Qumran erano presenti gli Esseni, un gruppo di religione ebraica, che facevano vita monastica.
L'ingresso al sito di Qumran, nel deserto di Galilea, è a pagamento, ma la visita vale il prezzo. È facile, anche per i turisti “fai da te”, trovare un gruppo inglese a cui aggregarsi con una guida che spieghi cosa si sta vedendo. Anche perché le informazioni presenti sui cartelli, pur se in inglese, sono abbastanza scarne. La comunità essena conduceva una vita monastica rigida, con pasti comuni e frequenti bagni purificatori: pur essendo in una zona con pochissime piogge per di più stagionali, l'acqua veniva convogliata verso Qumran attraverso una canalina che scendeva dalla adiacente collina e poi raccolta in cisterne. Collina sulla quale siamo saliti in completa solitudine per qualche centinaio di metri e dove il paesaggio, del tutto deserto ma pieno di anfratti e grotte, è affascinante.
Consigli di viaggio
Nella zona del deserto di Galilea, almeno in questa stagione, fa molto caldo e c'è una gran polvere. È bene attrezzarsi, anche per camminate di poche centinaia di metri, con un abbigliamento adeguato e comodo, scarpe adatte e una riserva d'acqua: la sete viene subito ed è potente.
Il sito di Qumran, ma praticamente tutti quelli che abbiamo visitato nel nostro viaggio compresi i musei, chiude presto, intorno alle 4 del pomeriggio o poco dopo: conviene tenerne conto per non perdere l'occasione di una visita. Spesso vale la pena di aggregarsi alle guide che accompagnano le numerose comitive americane, presenti praticamente ovunque: molte di loro sono professionali, spiegano i luoghi che si stanno visitando in una maniera comprensibile anche a chi non conosce perfettamente l'inglese, sono divertenti e non si offendono affatto se ci si aggrega “a scrocco” alla loro comitiva.
Settimo giorno: si noleggia l'auto, puntata a Gerico. Nazareth e il monte Tabor
La mattina successiva facciamo ancora una volta una abbondante colazione che ci consentirà di tirare sera senza avere addosso i morsi della fame. Decidiamo di noleggiare una macchina per il proseguo del viaggio: le receptionist del nostro albergo-kibbutz alle quali ci siamo rivolte si prodigano per noi per trovare un'auto a nolo a Gerusalemme.
Per tornare nella Città Santa, questa volta prendiamo un autobus, e poi un taxi per recarci presso il car rental. Qui, le formalità per avere una piccola utilitaria sono poche, ma assai scarsa è anche la gentilezza degli addetti; decidiamo comunque di fare l'estensione massima dell'assicurazione, che comprende anche le gomme: una decisione che, come vedremo, si è rivelata molto saggia. Ci viene affidata una Hyundai a benzina di 1000 cc di cilindrata e un bagagliaio minuscolo, dove riusciamo con fatica a fare stare due zaini e due piccole valigie. Il navigatore satellitare non è previsto.
Prima tappa a Gerico: da Gerusalemme si torna quindi sulla strada per il Mar Morto, tra paesaggi desertici e una lunga discesa verso la Depressione del Mar Morto. A un certo punto, una svolta a sinistra indica la strada per Gerico. Dopo pochi chilometri senza alcuna segnalazione, nessuna casa sui bordi e pochissime auto in giro, dei cartelli in diverse lingue “invitano” gli israeliani a non entrare in città. Appena passato questo limite invisibile, iniziano le case, ci sono più auto, cartelli pubblicitari (e non solo) sulla strada e persone in giro. La nostra meta è il sito di Tell es-Sultan, a sette chilometri dal centro cittadino. Fatichiamo un po' a trovarlo, ma alla fine le indicazioni ci portano a destinazione.
Per visitare il sito di Tell es-Sultan occorre pagare. Subito dopo l'ingresso ci si affianca una guida, che in un inglese condito con termini spagnoli, che usa quando capisce di avere di fronte due italiani, si offre per guidarci. Il prezzo però è piuttosto alto, e decidiamo di dire di no. Affrontiamo quindi la Gerico neolitica da soli. Per fortuna all'ingresso ci è stato dato un piccolo depliant con alcune informazioni base, perché, a parte il cartellone iniziale in due lingue (inglese ed arabo) e un altro al termine del percorso, i testi di tutti gli altri cartelloni sono stati strappati via.
In ogni caso, lo strato più vecchio presente negli scavi di Gerico risale al Mesolitico, tra 12000 e 10000 anni fa: la città palestinese si vanta infatti di essere la più antica al mondo. Sopra, altri strati fino ad arrivare all'età del ferro. Il sito di Gerico è stato scavato anche dagli archeologi dell'Università La Sapienza di Roma, dal 1997 al 2012, come è possibile dedurre dalla poca cartellonistica esplicativa presente. Peccato però: passeggiando per Tell es-Sultan si ha l'impressione di scarsa valorizzazione, probabilmente a causa della mancanza di soldi.
Usciti da Gerico, la nostra prossima tappa è Nazareth. Vorremmo pernottare lì, ma dopo aver provato a vedere in un paio di alberghi e aver verificato, complice una connessione wifi ottenuta presso un fastfood, che in tutta la città non c’è una stanza libera, troviamo un posto in un albergo vicinissimo al monte Tabor, il luogo dove, secondo i Vangeli sinottici, è avvenuta la trasfigurazione di Gesù. L'albergo è abbastanza piccolo e carino, sembra quasi un hotel di montagna; alla reception troviamo un tipo simpatico che conosce qualche parola di italiano e ci racconta di averlo imparato frequentando delle fiere a Milano. Bella anche la stanza; andiamo a dormire presto dopo una giornata abbastanza faticosa.
Consigli di viaggio
Se volete girare per Israele e magari non avete una connessione cellulare che vi consenta di usare il telefonino come navigatore, procuratevi per tempo una mappa stradale. Stranamente, in tutte le aree di servizio dove ci siamo recati è stato impossibile comprarne una, nonostante queste aree fossero dei piccoli supermercati, che vendono dalle sigarette alle tende da campeggio. Le indicazioni stradali in Israele sono in genere buone –quasi tutte hanno scritte in ebraico, arabo e caratteri latini- la rete stradale è ottima e ben tenuta, ma è comunque abbastanza facile perdersi.
Ottavo giorno: Megiddo, Beit She'an, Cafarnao, Tel Aviv
La mattina ci alziamo e scopriamo che si è alzato il vento: raffiche forti e abbastanza fredde. Quando avviamo la macchina, ci aspetta una brutta sorpresa: la ruota anteriore sinistra della nostra piccola Hyundai è del tutto a terra; per fortuna, però, a due passi dal parcheggio dell'albergo c'è un'area di servizio con un compressore. Gonfiamo la gomma e aspettiamo 10 minuti; sembra tenere. Riprendiamo quindi il nostro viaggio.
La prima tappa è il sito di Megiddo, l'antica città dove, secondo molte interpretazioni, avverrà l'Armageddon citato dal Nuovo Testamento. Fu abitato fin dal Neolitico, ma il suo massimo sviluppo si ebbe nell'età del Bronzo. Il sito è grande, molto ben conservato e meta di parecchie comitive di turisti; l'ingresso è a pagamento. Ci accodiamo anche questa volta a un gruppo, statunitensi in visita ai luoghi sacri della Terra di Israele. La guida, simpatica e che parla un inglese comprensibile e ricco di frasi ironiche, ci individua subito come “guests”, ma ci tratta comunque benissimo. Si impara e si ride.
Uno dei luoghi più affascinanti dell'antica Megiddo è il lungo tunnel che, nell'età del Bronzo, fu scavato sotto la città per convogliare le acque di una fonte presente nelle vicinanze e trasportarle all'interno della città. Il tunnel è attualmente percorribile a piedi, in una passeggiata sotterranea affascinante ma forse un po' “a rischio” per chi soffre di claustrofobia.
Dopo la visita al sito, tappa al piccolo ma interessante museo e acquisto di alcuni libri nell'adiacente emporio. Decidiamo quindi di recarci più a Nord, lungo il Giordano verso il lago di Tiberiade; la meta finale è Cafarnao, la città della Galilea, lungo la sponda nord del lago di Tiberiade, dove Cristo iniziò la sua predicazione.
La strada non è però facile da trovare, e ci perdiamo più volte. La prima all'interno della città di Afula, un agglomerato urbano che ci è parso -unica volta nel nostro viaggio- senza alcun fascino, con tanti condomini alti e moderni e in pieno boom edilizio.
Riusciamo comunque ad uscire dalla città e decidiamo di fare una tappa a Beit She'an, cittadina non lontana dal fiume Giordano. Qui, in epoca romana, fu costruita una città in puro stile imperiale, con tanto di anfiteatro, resti delle terme e colonnati: si tratta delle più ampie, e meglio conservate, rovine di età romana di tutta Israele. L'ingresso è gratuito e la visita vale sicuramente una deviazione: ci perdiamo con piacere nella antica città, al cui interno sono presenti interessanti e completi cartelli esplicativi in inglese.
Quando usciamo, è ormai crepuscolo, e ci aspetta una brutta sorpresa: la ruota anteriore sinistra, che abbiamo trovato offesa la mattina, è definitivamente a terra. Mettiamo il ruotino, che ci obbliga a una velocità massima di 80 km/h, ma nel frattempo benediciamo i 2 euro al giorno circa che ci è costata l'assicurazione sugli pneumatici. Ci dirigiamo quindi verso Cafarnao, lungo il Giordano e il lago di Tiberiade.
Dopo non poche difficoltà, arriviamo a sera inoltrata davanti al cancello del Santuario gestito dai francescani, ben dopo l'orario di chiusura. Non possiamo quindi visitare il sito, ma anche l'esterno ha il suo fascino. Tira vento e c'è una pioggia a scrosci, a volte quasi inesistente, a volte fortissima. Non c'è nessuno in giro, c'è un gran silenzio, è buio e solo le fioche luci del cancello del Santuario illuminano la scena: sarebbe luna piena, ma il cielo è coperto e i suoi raggi spuntano di rado. A destra, si intravede la superficie del lago di Tiberiade.
Ci fermiamo un quarto d'ora, passeggiamo intorno incuranti della pioggia. A un certo punto il cancello si apre; aspettiamo per vedere se esce qualcuno ma dopo un paio di minuti si richiude, senza che anima si sia fatta viva. Proviamo una sensazione strana, e rientriamo in macchina bagnati e un po' infreddoliti. Ormai è tardi, sono circa le 9.30 di sera e ci aspettano circa 130 km per arrivare alla nostra prossima tappa: Tel Aviv. Partiamo.
Il viaggio verso Tel Aviv è un po' lungo a causa della velocità limitata e dalla scelta di evitare la Route 6, che è a pagamento. Arriviamo all'hotel che abbiamo prenotato, sul lungomare di Tel Aviv, verso le 11, ma ci viene detto che per un errore loro le stanze sono tutte occupate. Siamo un po' scocciati, ma per fortuna il portiere ha trovato per noi un altro albergo; rientriamo in macchina e ci dirigiamo verso la nostra destinazione, questa volta decisamente stanchi. Arrivati e dopo un inutile tentativo di farci portare una cena cinese in camera, ci viene dato il biglietto da visita di un music pub nelle vicinanze. Arriviamo che, purtroppo, i musicisti hanno appena finito di esibirsi, ma l'atmosfera è carina, molto “occidentale”, e il cibo messicano e le birre che ordiniamo sono ottime.
Nono giorno: Jaffa e Tel Aviv
Alla mattina, sul tardi, chiediamo se possiamo restare in quell'albergo, ma ci viene detto che le camere sono tutte già prenotate. Scegliamo allora con Internet una nuova sistemazione a sud di Jaffa: è un albergo in stile russo con quadri falso-ottecenteschi appesi alle pareti e stucchi dorati. Il prezzo è però abbastanza modico e il portiere gentile. Sistemati i bagagli, usciamo e prendiamo un autobus per il centro di Jaffa.
Dopo la burrasca del giorno precedente, il vento è un po' calato: la giornata è tersa, con un cielo azzurrissimo e il mare con onde alte e lunghe, che spazza forte la spiaggia. Facciamo una puntata a Jaffa vecchia, che si raggiunge dal porticciolo tramite una scalinata. Ci sono tanti turisti –forse troppi per i nostri gusti-, negozi di souvenir, un parchetto con un piccolo arco moderno, meta di ragazzini che giocano. Arriva una coppia di sposi con annesso fotografo; la foto sotto l'arco mentre si baciano è d'obbligo. Il luogo è complessivamente ben tenuto; decidiamo di andare a nord verso il centro di Tel Aviv, seguendo la passeggiata lungomare.
Lungo la strada, ci sono i surfisti: a loro è destinata una precisa porzione della spiaggia, delimitata da cartelli in ebraico ma con esplicativi disegni. La giornata è propizia, e diversi di loro affrontano le onde ancora alte, con differente perizia. Più avanti, alcuni nuotatori sfidano i marosi e la temperatura abbastanza freschina. A spasso, i turisti man mano diminuiscono, per lasciare posto a locali.
Qui sono quasi tutti in abiti “normali”, ed è difficile trovare –rispetto a quanto abbiamo visto a Gerusalemme- persone con il vestito tradizionale ebraico. Sembra di stare in un bella spiaggia italiana o spagnola, con la differenza però che, appena si entra a Tel Aviv, il paesaggio cambia: il lungomare di fa più largo e trafficato, e sull'interno ci sono moltissimi grattacieli, alti anche una quarantina di piani.
Al tramonto, è shabbat, ma in realtà l'atmosfera in città cambia poco. Solo che non circolano più autobus, quasi tutti i negozi sono chiusi e si vede un po' meno gente in giro. Usciamo dal lungomare e ci dirigiamo verso l'interno, senza una meta precisa, solo per vedere la città; nonostante il giorno di festa, non fatichiamo a trovare un ristorante aperto, che fa (ottima) cucina israeliana e libanese a un prezzo onesto. Prendiamo anche una bottiglia di buon vino rosso locale. Dopo cena, decidiamo che il taxi è inutile e torniamo sul lungomare per raggiungere a piedi, piano piano, il nostro albergo. La camminata è lunga (ad occhio, un 7-8 chilometri), ma il vento ormai è calato, il cielo è terso, la temperatura gradevolissima e Tel Aviv è bella. Attraversiamo anche qualche parco, dove sono presenti delle fontane per abbeverarsi. Pochi i passanti: coppie, famigliole che non si fanno scrupolo a tenere i figli in giro fino a tardi, qualche ragazzo in giro con gli amici. Nessuna sensazione di insicurezza. Arriviamo, stanchi, al nostro albergo intorno alla mezzanotte. C'è ancora il rumore della musica che proviene da una sala da ballo immediatamente vicina, ma il portiere di notte ci assicura che a breve chiuderà.
Decimo giorno: i quartieri vecchi di Tel Aviv
Il giorno dopo ci alziamo particolarmente tardi, e quindi siamo costretti a saltare la colazione. Restiamo in stanza per vedere cosa visitare a Tel Aviv approfittando del wifi, e usciamo solo in tempo per arrivare, in auto (è ancora shabbat, gli autobus non circolano) a ora di pranzo a Jaffa, dove nella zona del porto (ormai ci approdano solo pescherecci e imbarcazioni private, ma nel XIX secolo era uno dei più grandi della Palestina) troviamo un ristorante carino che ci propone una bella lista di piatti locali in un ambiente simpatico, pieno di vecchi strumenti (musicali e di cucina) alle pareti.
Dopo entriamo a Tel Aviv e parcheggiamo nei pressi di Neve Tzedek, il primo quartiere ebraico costruito a nord di Jaffa, che divenne quindi l'embrione della futura città. Le case risalgono agli ultimi decenni del XIX secolo, prima della fondazione ufficiale di Tel Aviv (1909). Per caso, capitiamo davanti alla Rokach House, che è stata la prima casa del quartiere, costruita nel 1887 da Shimon Rokach, perfettamente conservata così come era un tempo. È un piacere perdersi camminando nelle strade del quartiere, fatto di vie ortogonali strette.
A un certo punto, arriviamo in una piazzetta da dove si affaccia il Suzanne Dellal Center for Dance and Theater, il cui cielo è coperto da suggestive ballerine multicolori in tutù. Ci prendiamo un caffè al bar dentro la struttura è ormai sera inoltrata. Usciamo dal quartiere e ceniamo in un bel ristorante tipico (ce ne sono tantissimi) quindi proseguiamo la nostra passeggiata dando un'occhiata al quartiere Bauhaus non lontano dalla Jaffa Road, che è abbastanza difficile da raggiungere perché occorre attraversare i lavori a cielo aperto della linea metropolitana sotterranea. Arriviamo quindi alla Rothschild Boulevard, illuminatissima strada che attraversa il centro della città.
In zona, troviamo una bella birreria che offre 30 diversi generi di birra, tutte alla spina. Ormai è tardi, torniamo non senza difficoltà alla nostra auto e andiamo in albergo. Il giorno seguente riconsegneremo l'auto a noleggio presso l'aeroporto Ben Gurion. Dopo i controlli di rito, si torna a casa.
Consigli di viaggio
Muoversi lo shabbat (che, ricordiamo, inizia poco prima del tramonto del venerdì per concludersi 24 ore dopo) con i mezzi pubblici è impossibile: gli autobus non circolano. Meglio quindi munirsi di voglia di camminare e affrontare la città a piedi: Tel Aviv non è grandissima, ma richiede comunque gambe discrete. In alternativa, ci si può muovere o in taxi (qualcuno circola) o con la macchina a noleggio, o con i servizi di bike sharing. Se si usa un'auto, attenzione però a dove si parcheggia: noi abbiamo trovato i cartelli che regolamentano abbastanza incomprensibili e quindi siamo andati un po' a caso nel lasciare l'auto. Sparsi per la città ci sono comunque anche dei grandi parcheggi sopraelevati che in alcune zone (noi lo abbiamo utilizzato quando siamo rimasti a dormire in un hotel sul lungomare) sono la soluzione più pratica.
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