Quando il racconto di viaggio era considerato superato e ottocentesco, è arrivato “In Patagonia” a renderlo di nuovo il genere cool. In Inghilterra il libro d'esordio di Bruce Chatwin viene pubblicato nel 1977. E' l'anno della prima trasmissione a colori Rai, uno dei più cupi degli anni di piombo, dell'amnistia ai giovani americani fuggiti in Canada per non finire in Vietnam, del grande black-out a New York e della nevicata a Miami. Geli e disgeli politici che precedono il decennio del disimpegno e del post-modernismo in cui Chatwin muore di un male epocale – l'Aids.
Era il 18 gennaio del 1989, tre decadi fa. Per proteggere i genitori lo scrittore non rivela mai il proprio stato di salute, ma dice di avere preso un esotico e rarissimo fungo e passa gli ultimi giorni al sole invernale di Nizza. In Italia “In Patagonia” esce nel 1981, poco dopo “Il nome della rosa” di Umberto Eco, altra pietra miliare di fine secolo. Chatwin diventa di moda. Sull'onda del suo successo la Patagonia, fino ad allora emblema di un posto assurdo, ai confini del mondo, di cui nessuno aveva mai sentito parlare, si fa strada tra le mete di viaggio. Teniamo presente che il regime golpista cileno avrà termine solo nel '90. La prima edizione del libro ha in copertina un ghiacciaio. Qualche anno dopo una piccola azienda di Milano, poi acquistata da un fondo di investimento, torna a produrre i taccuini che usava Chatwin, le Moleskine, registrando il marchio. Nel libro “Le vie dei canti” – sugli aborigeni australiani - lo scrittore lamentava di non riuscire più a trovarli dal suo cartolaio di fiducia, in rue de l'Ancienne Comédie, tra i Jardins de Luxembourg e la libreria Shakespeare & Co a Parigi.
Difficile oggi credere che i libri abbiano il potere di incidere sulla realtà, ma a volte è accaduto. La parola crea. Chatwin atterra a Lima e compie il viaggio in Patagonia nel 1974 - restandoci sei mesi -, un anno dopo il golpe di Pinochet, di cui il libro non parla, ma tutto il resto del mondo sì. Ha appena preso congedo dal Sunday Times Magazine, anche per problemi alla vista. Ancora una volta c'è di mezzo Parigi. Per il giornale inglese è andato nel 1972 a incontrare la designer Eileen Gray. Un suo paravento (“Le Destin”, 1910) era stato venduto a un prezzo altissimo, 64mila dollari. Chatwin aveva lavorato per Sotheby's e la sua rete di contatti – oltre che la sua cultura - beneficiava di quella preziosa esperienza. Nell'appartamento parigino di Eileen Gray, Chatwin vede una mappa dipinta della Patagonia. Dice a Eleen che da tempo vuole andare in Patagonia e le chiede se c'è mai stata. Lei gli risponde di no. Ormai è troppo vecchia e lo prega di andarci per lei.
Lo storyteller innovatoreamante dell’avventura
L'intervista - chissà perché - non verrà mai pubblicata. Ma Chatwin sparisce in Patagonia. Il motivo per cui desiderava andarci
è un pezzo di pelle di animale preistorico, trovato da un suo avo da quelle parti e tramandato in famiglia. Pare fosse un
bradipo gigante, ma tutti in famiglia lo credevano un brontosauro. Chatwin aveva una personalità seducente – era uno straordinario
storyteller e aveva la phisique du rôle del viaggiatore avventuroso- e una formazione poliedrica. Tutte cose che emergono
nei suoi libri, pieni di digressioni e storie di ogni tipo, anche personali. Come dice la sua editor e biografa, Susannah Clapp, è un precursore della narrativa contemporanea, dove diversi generi si mischiano, non solo un innovatore nel racconto di
viaggio.
Ultima fermata letteraria Praga
Il suo talento narrativo si vede molto bene nell'ultimo libro che ha scritto, “Utz”. In Italia lo pubblica Adelphi, che ha
sempre molto sostenuto Chatwin. E' la storia di Kaspar Utz, piccolo e insignificante aristocratico tedesco che vive a Praga e riesce a mantenere intatta la sua collezione di porcellane di Meissen attraverso gli orrori della storia, nazismo e comunismo.
Il contrasto tra la brutalità ottusa del destino collettivo e la fragilità della bellezza e della vita umana che la crea o
la custodisce è un grande spunto letterario. Chatwin ne resta affascinato e lo coglie benissimo. In Utz si racconta una Praga
plumbea, dove anche i menù dei ristoranti sono un'utopia tradita e niente di quanto è scritto si può ordinare, molto diversa
da quella odierna. Kaspar Utz si sarebbe forse trovato male pure oggi, non amando né comunismo né capitalismo, almeno in certe
sue manifestazioni commerciali, che nella capitale ceca abbondano. La sua collezione era composta da pezzi del XVIII secolo,
vale a dire gli albori della porcellana. Consideriamo che la prima manifattura europea apre nel castello di Albrechtsburg,
Meissen (Dresda), nel 1710. Da trecento anni si continuano a produrre sotto il simbolo delle due spade blu cobalto. Kaspar
Utz, o meglio il personaggio reale cui era ispirato quello romanzesco, si chiamava Rudolph Just. Chatwin lo incontra a Praga
nel 1967. Dopo la morte, avvenuta nel 1972, la sua collezione misteriosamente sparisce. Chatwin nel libro lascia credere che
l'abbia distrutta beffardamente. Le autorità comuniste gli avevano permesso di mantenere la collezione a patto che la lasciasse
in eredità allo stato.Alla fine degli anni '90, gli eredi di Just vengono rintracciati a Bratislava da Sotheby's, la casa
d'aste per cui Chatwin aveva lavorato. Tenevano ancora in casa oltre trecento porcellane. Messe all'incanto nel 2001 frutteranno
1,110 milioni di sterline, più di un milione di euro al cambio odierno.
Dai libri ai film
I libri di Chatwin – non solo Utz - hanno ispirato diversi film. Il più noto di tutti è “Cobra verde”, di Herzog, con Klaus
Kinski, sulla storia di un avventuriero brasiliano, Francisco Felix De Sousa, che controlla la tratta sulla “Costa degli Schiavi”,
in Africa. Il libro da cui è tratto si intitola “Il viceré di Ouidah”, ambientato nel Dahomey, oggi Benin. Negli ultimi anni
prima della morte Chatwin ha vissuto molto a New York, dove è stato fotografato da Robert Mapplethorpe, suo amico. Uno dei pochi a essere ritratto vestito dal fotografo newyorchese. Come Eileen Gray era bisessuale. Irrequieto
anche nei rapporti, tra i suoi amori il regista James Ivory.
Lo spirito inquieto
Verso la fine si riavvicina alla moglie, Elizabeth Chanler, che ho conosciuto al premio Chatwin, una manifestazione dedicata alla letteratura di viaggio che si teneva a Genova. Elizabeth
era una collega di Chatwin a Sotheby's nonché discendente di una ricca famiglia americana, gli Astor: quelli dell'hotel Waldorf-Astoria.
Elizabeth e Bruce si sposano nel 1965 e come regalo di matrimonio lei riceve la somma per comprare una fattoria in Inghilterra,
dove tuttora vive. Elizabeth è una persona molto alla mano e descrive la sua vita attuale come quella di una contadina raccontando
dell'allevamento di pecore. La proposta di matrimonio arriva a Parigi, mentre i primi momenti insieme i due li passano sulle
colline del Galles, a Hay-on-Wye, cavalcando pony. Hay-on-Wye è il villaggio dove alla fine di maggio si tiene un festival dedicato ai libri e si trovano circa quaranta librerie dell'usato.
In Galles è ambientato anche “Sulla collina nera”, il terzo libro di Chatwin, storia, in controtendenza, di due gemelli, Lewis
e Benjamin, che non escono mai dalla loro contea, compiono sempre gli stessi gesti e mangiano lo stesso cibo. Come Chatwin
non avrebbe mai potuto vivere. La vita di Chatwin si divideva tra la fattoria, un piccolo appartamento di Londra e i viaggi.
Soprattutto i viaggi: “Perché divento irrequieto dopo una settimana nello stesso posto, insopportabile dopo due?” E' la domanda
alla base di “Anatomia dell'irrequietezza e di ricorrenti riflessioni sul nomadismo”. Lo scrittore muore qualche mese prima
della caduta del Muro di Berlino.
Che ci faccio qui?
L'Europa orientale, il mondo slavo, lo attraevano, come territorio multiculturale non toccato dal turismo di massa occidentale.
L'Asia centrale come sfondo di uno dei suoi libri preferiti, “La via per l'Oxiana”, di Robert Byron. Il viaggio sul Volga
e l'incontro con Nadežda Mandel'štam, la vedova del poeta russo morto nel gulag, sono tra i reportage più belli di “Che ci
faccio qui?”. E' una raccolta di viaggi e incontri raccontati per diverse testate, dal Sunday Times a Granta, da Esquire al
New York Times. Spaziano dalla Cina all'Afghanistan. In copertina, nell'edizione Adelphi, la famosa foto di Chatwin con gli
scarponi al collo, scattata da Lord Snowden. Il fascino ha certo contato molto nella vita di Chatwin. La commemorazione funebre
si è tenuta a Londra ed è stata descritta da Martin Amis e Salman Rushdie, che proprio in quei giorni viene colpito dalla
fatwa, la condanna a morte di Khomeini e si dà alla macchia. Le ceneri sono state sparse vicino alla casa di Patrick Leigh Fermor, nella penisola di Mani, Peloponneso. Qui Chatwin si ritirava a scrivere. Fermor, insieme a Chatwin, è il più grande e noto
scrittore inglese di viaggi del '900. Ha avuto una vita molto più lunga, campando fino a 96 anni, esattamente il doppio di
Chatwin. Per tutt'e due c'è stato un viaggio che ha cambiato la vita. Per Fermor quello raccontato in “Tempo di regali” e
“Tra boschi e acque, a piedi attraverso l'Europa”. Per Chatwin la Patagonia. Partire a volte è rinascere, o forse nascere
tout court.
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