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Una notte nella yurta immersi tra gli ulivi del lago di Garda

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A TOSCOLANO MADERNO

Una notte nella yurta immersi tra gli ulivi del lago di Garda

“Dietro, si scorgeva la loro yurta bianca e, tutt'intorno, la steppa verdeggiante increspata dal vento a perdita d'occhio fino all'orizzonte blu delle prime colline”... La yurta dove mi trovo, diversamente da quella di Morte nella steppa (Fazi), il poliziesco di Ian Manook ambientato in Mongolia, non è circondata dalla steppa, ma immersa negli ulivi. L'orizzonte delle prime colline è blu, ma per via del riflesso del lago di Garda e dominato dal monte Baldo ancora spruzzato ancora di neve. In questi giorni ha piovuto spesso, ma non forte. La yurta sotto la pioggia si trasforma in una ovattata cassa di risonanza, ti avvolge con il rumore lieve delle gocce – la copertura è un doppio strato di tela con in mezzo il feltro -, come non può fare una casa.

La sensazione è molto piacevole, anche se deve essere meglio stare qui con il bel tempo. Soprattutto di notte d'estate, quando si può aprire la punta del tetto e guardare le stelle. Nelle yurte dei nomadi della steppa, al centro di tutta la vita c'è una piccola stufa – una volta alimentata con letame essiccato -, che qui manca per motivi di sicurezza legati alle fiamme libere e ci sono dei discreti pannelli bianchi a infrarossi. La yurta dove mi trovo appartiene al bed and breakfast “Maripa Queendom” a Toscolano Maderno, tra Gardone Riviera e Gargnano. Ci si arriva scendendo per una viuzza strettissima tra vecchi muri a secco – via Firenze -, poco sopra la gardesana occidentale, la strada provinciale che costeggia il lago, detta anche, meno poeticamente, SS45bis. Tecnicamente parlando, le yurte sono tende circolari, sostenute da una struttura di legno, con le pareti verticali e il tetto a cono aperto per far uscire il fumo della stufa; il nome deriva dal turco e questo tipo di case nomadi si associa alla Mongolia, ma è tipico di tutti i popoli dell'Asia centrale. La differenza è che in Mongolia, dove si chiama “gerb” non yurta, nonostante il progresso e l'urbanizzazione questo tipo di “abitazione semipermanente” è ancora molto amata e diffusa. Non si smonta e rimonta più per seguire i cicli stagionali della pastorizia, anche se l'usanza non si è persa, ma si vive sempre come l'abbraccio degli antenati in mezzo agli elementi eterni della natura, in una terra dove lo sciamanesimo contamina il buddhismo, e l'animismo nelle cose più piccole è un riflesso dell'assoluto. Lo sciamano del resto è il mestiere più antico del mondo – non quell'altro – e non è scomparso. “Bestie, uomini, dei” sono tutt'uno.

Il b&b, o meglio il regno matriarcale di Maria Paola Gabusi era la vecchia casa di famiglia dello zio Angelo. L'impronta del passato è ancora molto forte. Più ancora nel legno che nella pietra. Le radici sono evidenti a partire dalla presenza degli ulivi – si produce extravergine e Maria Paola è a capo di un panel professionale di assaggiatori di olio e organizza lo storico premio Leone d'Oro -, ma anche di dettagli come una vecchia porta di legno, appesa a un muro come decorazione: “Era la porta del fienile in val Camonica dove si nascondeva mio padre Beppe quand'era partigiano”, mi spiega. Le radici sono importanti, ma i luoghi dell'anima non sono solo quelli in cui siamo nati e cresciuti.

L’interno della yurta

Innesto asiatico tra il paesaggio lacustre
Maria ha viaggiato molto, come fotografa di sport e territori estremi, prima di reinventarsi o meglio reincarnarsi. E' un tipo tellurico, amante delle moto nonostante un incidente molto serio, con una sfumatura blu nel ciuffo che le cade sulla fronte, come un riverbero dell'energia che la sostiene in modo superiore alle media. Nessuna idea le sembra irrealizzabile, nemmeno una yurta tra gli ulivi, una sorta di innesto asiatico su paesaggio mediterraneo, una sintesi tra simboli della civiltà del grasso di montone e quella dell'olio d'oliva. Qui non si beve latte di giumenta fermentato – per la famiglia Tolstoj era una classica cura ricostituente -, ma buon vino. All'ombra degli gli ulivi razzolano galline nere che danno uova per la prima colazione e non cavalli.

La yurta tra gli ulivi

Yurta, una costruzione con un basso impatto ambientale
La yurta è stata realizzata da una società di Venezia che non esiste più perché i proprietari se ne sono andati in India. Maria Paola, che tutti chiamano Maripa - Queenmaripa è il suo account Instagram per i contatti -, ricorda ancora come passassero più tempo a meditare intorno al luogo destinato alla costruzione che a costruire la struttura. Molto popolare nel mondo degli alternativi – a Torre Mileto, nel parco nazionale del Gargano, c'è un ecovillaggio di yurte, Il giardino della gioia – questo tipo di abitazione nomade si sta diffondendo, sia come scelta residenziale che come seconda casa o luogo per le vacanze, anche per via del suo basso impatto ambientale. Può essere più o meno spartana. Quella di Toscolano Maderno è dotata di bagno e doccia. Ha un pavimento in legno e uno spazio davanti all'ingresso per fare colazione o bere un bicchiere di vino guardando il lago al tramonto. E' nascosta tra gli ulivi e un poco distante dall'abitazione, dove si trovano le altre stanze del bed and breakfast. In fondo rappresenta un compromesso tra le molte contraddizioni dell'animo del viaggiatore contemporaneo: comodità e natura, isolamento e vicinanza del genere umano quando ne senti la necessità, noto e ignoto, rumore della pioggia e letto asciutto. Nell'uliveto si aggirano due affettuosi labrador neri Moro e QueenBee e non i “Khottosho”, i cani da guardia delle yurte e delle mandrie, molto combattivi e territoriali, discendenti dei molossoidi che hanno spaventato Marco Polo nelle notti tibetane.

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