Energia, inflazione e valute: primi segnali di ottimismo e anche nuove opportunità
Sembra che la tempesta perfetta, alla fine, sia arrivata. I fenomeni che stanno investendo i mercati finanziari sono rari e inattesi.
Innanzitutto, per quanto riguarda l’energia. I prezzi delle materie prime, bassi per anni, sono tornati su livelli molto elevati. La Russia, principale fornitore europeo di gas naturale ha fatto incrementare i costi e le turbolenze sul mercato, innescando una spirale inflazionistica che si è propagata dall’Europa al resto del Mondo.
La guerra in Ucraina non sembra dare segnali di soluzione a breve, e perciò governi ed operatori stanno cercando soluzioni per l’inverno, quando la domanda di energia crescerà molto a causa delle richieste dei consumatori finali, le utenze domestiche e civili. Nonostante i tentativi di calmierare i prezzi di acquisto e gli incentivi economici a sostegno delle famiglie, la preoccupazione in Europa è diffusa.
Senza dimenticare il contesto di fondo: l’innalzamento delle temperature e il cambiamento climatico sono delle bombe che non possono essere ignorate dai governi e sono fortemente collegate con la politica energetica, i consumi e gli investimenti.
Anche se l’energia è la parte più significativa del problema contingente, in realtà sono diversi i fattori, anche strutturali, quali il costo dei trasporti marittimi internazionali, che hanno contribuito nel recente passato a far lievitare i costi, della produzione e dell’intermediazione.
L’inflazione attuale, che non deriva da un aumento della domanda ma è, per così dire, importata ed esogena rispetto al sistema produttivo, è un fenomeno economico ma che può avere conseguenze politiche e sociali di grande impatto se non sarà opportunamente gestita.
Le banche centrali stanno indirizzando la politica monetaria come da attese: rendendo più caro il costo del denaro al fine di controllare l’aumento dei prezzi. Con diverse sfumature, in contesti economici differenti: qualche problema in più, ad esempio, sembra esserci al momento in Gran Bretagna, con la sterlina fortemente svalutata sul dollaro e un sostanzioso pacchetto di tagli fiscali che se da un lato fornisce ossigeno alle famiglie e alle imprese dall’altro non aiuta a contenere i prezzi. In area euro la Bce ha avviato una politica di forte incremento (almeno se paragonato alle scelte accomodanti del recente passato), promettendo nuovi rialzi. I rendimenti dei titoli di stato periferici, tra cui l’Italia, stanno divergendo rispetto al bund tedesco, benchmark continentale. Tuttavia, non è ancora chiaro se lo “scudo anti spread”, promesso da Francoforte, verrà attivato: un’incertezza in più per il mercato obbligazionario.
Sembrano andare un po’ meglio gli Stati Uniti, con alcuni segnali incoraggianti, soprattutto dal petrolio che ha toccato i massimi qualche settimana fa e ora quota attorno ai valori dei picchi del 2018, sebbene con un trend al momento in discesa. L’aspettativa degli operatori è dunque che ora si riesca a tenere maggiormente sotto controllo l’inflazione. Ottimismo che va però a scontrarsi con la curva dei tassi statunitensi, pesantemente invertita, segnale che al momento non vi è serenità da parte degli investitori, che si aspettano invece ancora turbolenze.
I titoli del reddito fisso hanno avuto un aumento tendenziale dei tassi molto significativo.
Sia per quanto riguarda quelli governativi, con diversi Paesi europei che negli anni scorsi hanno emesso del debito addirittura con interessi negativi, ma anche per quanto riguarda le obbligazioni private, il cui collocamento diventa più oneroso in un quadro di incremento dei tassi della banca centrale.
I rendimenti di queste ultime settimane sono ai massimi, su livelli che non si vedevano da almeno un decennio per Stati Uniti, Regno Unito e Germania, mentre l’Italia è tornata al 2012. Per fare degli esempi, il bond governativo decennale britannico rendeva a fine settembre circa il 4,5%; nel 2021 il massimo mai raggiunto è stato l’1,2% e il 2,4% nel 2012. Guardando ad altre scadenze e diverse aree geografiche, il trend rimane il medesimo: il treasury Usa a 2 anni rendeva il 4,4% alla fine dello scorso mese di settembre, mentre era solo allo 0,7% alla fine dell’anno precedente e 0,4% nel marzo del 2012.
In questo contesto l’attenzione degli investitori obbligazionari è rivolta a individuare le opportunità e il momento giusto in cui sarà possibile acquistare con un forte sconto titoli che complessivamente, tra prezzi e rendimenti, potrebbero rivelarsi interessanti in diversi orizzonti temporali.
Il mercato obbligazionario, del resto, offre una vasta gamma di strumenti che consentono di diversificare il rischio, dai titoli legati all’andamento dell’inflazione, che stanno ovviamente permettendo ai possessori di tutelarsi dai recenti aumenti, a quelli denominati in differenti valute. Il deprezzamento dell’euro e, cosa ancor più rilevante, della sterlina sul dollaro, ha permesso a chi avesse pronosticato correttamente gli andamenti valutari di investire secondo queste aspettative.
La moneta statunitense a partire dall’inizio del 2021 si è progressivamente rafforzata rispetto all’euro, guadagnando circa il 20% di valore in soli sette trimestri (fino a fine settembre scorso). La sterlina, invece, è crollata negli ultimi sei mesi perdendo, da marzo a settembre 2022, circa il 15% nei confronti del biglietto verde e il 4% nei confronti dell’euro.
Anche nelle tempeste, dunque, uscirne indenni e magari più forti non è impossibile.
Il valore degli investimenti è destinato ad oscillare. Questo determina il movimento al rialzo o al ribasso degli investimenti e la possibilità che non si riesca a recuperare l'ammontare inizialmente investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri. Le opinioni espresse in questo articolo non sono da intendersi come raccomandazioni, consigli o previsioni. Non prestiamo servizi di consulenza finanziaria. Per qualsiasi dubbio circa l'idoneità di un investimento alle proprie esigenze, si raccomanda di rivolgersi a un consulente finanziario di fiducia.