Riforma titolo V
Riforma Titolo V - Osservazioni di Assoholding
Si informano gli associati che in data 12 settembre u.s. è terminato il periodo di consultazione riguardante le nuove regole in materia di riforma del settore finanziario, dettate dalla Banca d’Italia.
Con particolare riferimento all’attività di detenzione di partecipazione ed alla definizione del perimetro del gruppo finanziario, Assoholding ha provveduto ad inviare tempestivamente un documento contenente una serie di osservazioni tecniche sull’argomento.
Il testo integrale del documento, disponibile per gli Associati, potrà eventualmente essere richiesto da chiunque fosse interessato alla segreteria Assoholding.
Irap holding industriali
Irap holding industriali – Istruzioni UNICO 2014
La continua “odissea” dell’applicazione dell’Irap alle holding industriali, trova un’ulteriore tappa nel contenuto delle Istruzioni per la compilazione del modello IRAP 2014, valida per i redditi 2013.
Da sempre, come è noto, questa tipologia di holding (1) è soggetta all’applicazione dell’aliquota Irap fissata su una base imponibile determinata aggiungendo al risultato derivante dall’applicazione dell’articolo 5, utilizzabile per le imprese commerciali ed industriali, la differenza tra gli interessi attivi e proventi assimilati e gli interessi passivi ed oneri assimilati (2).
Fissata la regola, si è costantemente verificata una difficoltà operativa nell’individuazione soggettiva della tipologia di società a cui applicare la suddetta regola.
Fino all’esistenza di un elenco di soggetti svolgenti l’attività di gestione di partecipazioni, detenuto dalla Banca d’Italia (3), il legislatore tributario “agganciava” l’identificazione di questi soggetti con il dato letterale dell’iscrizione suddetta e, dopo l’abrogazione dello stesso (4), alla “potenziale” iscrizione nell’elenco (5).
Veniva poi indicato come criterio per l’individuazione del potenziale obbligo di iscrizione quello previsto dal Decreto Ministero Tesoro del 6.7.1994 che richiedeva la verifica del test della prevalenza degli elementi finanziari sia nello stato patrimoniale che nel conto economico, in base ai dati degli ultimi due esercizi chiusi (6).
Da ciò discendeva che le holding che svolgevano attività di gestione di partecipazione in via principale erano soggetti all’Irap calcolata con il metodo previsto dall’art. 6, comma 9 al momento in cui si verificano entrambe le condizioni previste dal DM 1994.
Il recepimento di una normativa regolamentare di estrazione finanziaria utile per l’individuazione eventuale della presenza dell’attività finanziaria in via principale ha, da sempre, comportato la necessità di procedere alla verifica degli elementi di natura finanziaria in entrambi le sezioni del bilancio, prescindendo conseguentemente, in questa fase, dalla natura della tipologia di partecipazioni.
In sostanza, nell’ambito di questa analisi finalizzata all’applicabilità del calcolo delle holding industriali, si è sempre seguito un percorso d’indagine basato su due livelli: il primo teso ad indagare l’eventuale presenza di un’attività finanziaria di tipo principale, il secondo finalizzato a comprendere la natura predominante delle partecipate detenute (industriali e/o finanziarie).
Pertanto tale analisi veniva condotta, preliminarmente, per verificare se lo svolgimento dell’attività di gestione di partecipazioni potevi dirsi di natura principale, tanto da far ricadere l’attività di gestione di partecipazione quale espressione di attività finanziaria, e, successivamente, mediante l’individuazione della tipologia della natura delle partecipazioni detenute.
Nelle istruzioni al modello Irap 2014, la sezione dedicata alle holding industriali è stata invece modificata nel wording e questo deve condurre a delle attente riflessioni.
Si legge infatti che “l’esercizio prevalente dell’attività di assunzione di partecipazioni in società non finanziarie risulta verificato quando il valore contabile delle partecipazioni in società industriali risultante dal bilancio di esercizio eccede il 50% del totale dell’attivo patrimoniale”, senza riscontrare alcun richiamo all’ulteriore requisito dei proventi presenti nel conto economico.
Questa condizione, letta in forma disarticolata, potrebbe portare a calcolare l’Irap in base all’art. 6, comma 9, specificatamente dedicato alla determinazione dell’imposta per banche ed altri enti e società finanziarie, alle holding che hanno esclusivamente nel bilancio partecipazioni in società industriali, anche se la società riceve scarsissimi proventi scaturiti da queste (dividendi, interessi, ecc…).
Una valutazione più approfondita, tra l’altro combinata con recentissimi indicazioni dell’Agenzia in materia di individuazione dei soggetti e/o enti finanziari (7), conduce ad un esame più articolato e a conclusioni differenti.
Dovendo infatti individuare il perimetro delle società finanziarie che detengono e gestiscono partecipazioni, l’Amministrazione Finanziaria trae spunto, correttamente, dalle disposizioni del DLgs n. 87/92 (8) che “precisa che la detenzione o la gestione di partecipazioni è considerata attività finanziaria se riguarda, in via esclusiva o principale, partecipazioni in enti creditizi o in imprese finanziarie, secondo i criteri in esso espressamente indicati”.
E’ utile rammentare che i riferimenti normativi del suddetto Decreto sono quelli che dettano le linee guida per i soggetti che devono adottare il bilancio secondo lo schema degli enti finanziarie, prevedendo, conseguentemente, che la verifica della gestione delle partecipazioni sia di carattere esclusivo o principale.
Ora, l’esclusività dell’attività, come si legge anche nella Circolare n. 15/E del 5.6.2014, si ha “quando l’atto costitutivo o lo statuto preveda unicamente lo svolgimento di tali attività”, mentre l’esercizio viene considerato principale se, in base ai dati dei due ultimi bilanci approvati, risultino soddisfatte congiuntamente le condizioni di prevalenza (da intendersi superiore al 50%) dell’attivo di natura finanziaria rispetto al totale dell’attivo e dell’ammontare dei proventi provenienti dall’attivo di natura finanziaria rispetto al totale dei proventi (9).
E’ altresì considerata attività finanziaria, ai sensi del Decreto Legislativo in esame, l’assunzione di partecipazioni finalizzata a successivi smobilizzi.
A parere di chi scrive, pertanto, la cornice sopradescritta come già di sopra osservato, consente di individuare, in prima battuta, i soggetti che svolgono la detenzione e la gestione di partecipazioni da intendersi come attività finanziaria; la verifica del test di prevalenza consentirà di definire le società che svolgono attività di gestione e detenzione di partecipazione come principale.
Bisognerà quindi fare attenzione al superamento congiunto delle condizioni sia a livello di stato patrimoniale che di conto economico.
Individuata la eventuale condizione di soggetto esercente attività finanziaria e quindi collocabile anche all’interno della rubricazione del soggetto come destinatario della sezione del Modello Irap per le società finanziarie, si passerà ad analizzare un secondo dettaglio di verifica, quello illustrato dalle Istruzioni al Modello Irap 2014.
In tale ambito, deve essere verificata “la prevalenza dell’attività di assunzione di partecipazioni in società non finanziarie” che, come indicato, si verifica quando il valore contabile delle partecipazioni in società industriali risultante dal bilancio di esercizio eccede il 50% del totale dell’attivo patrimoniale.
Tale impostazioni dovrebbe pertanto superare la lettura limitativa e puramente letterale della previsione contenuta nel testo delle Istruzioni al Modello IRAP per il periodo d’imposta 2013 che, alla luce anche della sempre maggiore convergenza della normativa di settore apparirebbe disallineata rispetto a quanto previsto.
Sarebbe indubbiamente gradito un chiarimento ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate anche al fine di cementare quel rapporto di reciproca fiducia a cui, ancor più recentemente, sembra tenere in modo particolare l’Agenzia.
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(1) Individuabile nella società la cui attività consiste, in via esclusiva e prevalente, nell’assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria
(2) Regola fissata dall’articolo 6, comma 9, del Decreto Irap (Decreto Legislativo n. 446/1997).
(3) Stiamo parlando dell’elenco ex art. 113 TUB.
(4) L’elenco è stato abrogato nel settembre 2010.
(5) Si legge infatti nelle istruzioni al Modello Irap 2013, valevole per i redditi del 2012, che sono tenute alla determinazione del reddito imponibile Irap le holding “per le quali sussiste l’obbligo di iscrizione, ai sensi dell’art. 113”.
(6) Criterio stabilito dall’art. 1, comma 2 del Decreto citato.
(7) Ci si riferisce alla Circolare n. 15/E del 5.6.2014 in materia di applicazione dell’addizionale IRES alle società e agli enti creditizi e finanziari.
(8) In particolare l’art. 1, comma 3 e 3-bis, del Dlgs n. 87/92.
(9) Più precisamente, l’esercizio di tale attività si considera principale quando, in base ai dati dei due ultimi bilanci approvati, risultino soddisfatte congiuntamente le seguenti condizioni:
a. ammontare complessivo degli elementi dell’attivo di natura finanziaria (inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate) superiore al 50% del totale dell’attivo;
b. ammontare complessivo dei proventi prodotti dagli elementi dell’attivo di cui alla precedente lettera a), dei profitti derivanti da operazioni su titoli, su valute e su altri strumenti finanziari e delle commissioni attive sui servizi finanziari di cui all’art. 67-ter del DLgs 6 settembre 2005, n. 206, superiore al 50% dei proventi complessivi.
Facta compliance e holding
Facta compliance e holding - La bozza del DM
Proseguendo nella disamina del nuovo obbligo comunicativo riguardante la FATCA compliance, già avviata nella precedente Circolare informativa, il quadro generale si è nel frattempo arricchito di un testo, seppur in bozza, del Decreto Ministeriale che contiene le regole tecniche necessarie ai fini delle modalità di applicazione della disciplina in esame e della connessa Relazione illustrativa.
Naturalmente, trattandosi comunque di testo non definitivo, le considerazioni formulate si riferiscono alle attuali disposizioni, suscettibili di modifiche e conclusioni difformi in caso di variazioni del testo definitivo.
Si deve innanzitutto tenere conto che la disciplina FATCA si basa, essenzialmente, su una sorta di “accordo collaborativo” che ciascuna entità finanziaria sottoscrive con l’Autorità fiscalle USA (IRS), tramite l’Agenzia delle Entrate italiana, circa la verifica se tra i propri clienti vi siano contribuenti americani e, in caso di esito positivo, di attivare uno scambio informativo in merito a tali soggetti al fine del controllo fiscale.
La “penale” da pagare, nel caso in cui tale obbligo informativo non venga adempiuto (1), è l’applicazione sui pagamenti effettuati a o da soggetti USA di una ritenuta pari al 30% dell’importo corrisposto.
Giova innanzitutto premettere che, nel caso di attività di detenzione e gestione di partecipazioni a fini di compravendite con intenti speculativi, qualificabile sinteticamente come attività di merchant banking, il soggetto è qualificabile come entità di investimento e quindi rientrante come uno dei soggetti destinatari della normativa FATCA.
Condizione che fa configurare tale entità è che il reddito lordo attribuibile all’attività di negoziazione di partecipazioni sia uguale o superiore al 50% del totale nel triennio precedente.
Si ricorda infatti che la normativa FATCA individua come destinatari degli obblighi precisi istituzioni finanziarie individuate in quelle:
- che accettano depositi nello svolgimento ordinario di un’attività bancaria o similare (per es: banche);
- che detengono, come parte essenziale del proprio business, beni finanziari per conto terzi (per es: fiduciarie);
- che hanno come business principale l’investimento, il reinvestimento o la negoziazione (sia in conto proprio che per conto terzi) di titoli, quote di partnership, commodities;
- che emettono polizze assicurative a contenuto finanziario (per es: assicurazioni).
Queste entità, nell’intento ultimo della normativa, rappresentano tutte quelle che, potenzialmente, potrebbero essere detentrici e/o gestori di attività o ricchezze finanziarie detenute in Italia da cittadini statunitensi, formatesi, eventualmente, con materia imponibile sottratta all’imposizione fiscale nel paese di origine.
Tutto il complesso impianto di adempimenti ha, come detto, il principale obiettivo nel contrasto all’evasione fiscale USA a livello internazionale, facendo leva sullo scambio automatico di informazioni da e verso gli Stati Uniti.
Indirizzandosi subito nell’eventuale ambito applicativo riferito alle holding, è interessante notare che la definizione di holding company, da sempre mai codificata nel nostro ordinamento, è stata mutuata dalla legislazione statunitense (2), intendendosi per tale “l’entità la cui attività principale consiste nella detenzione, diretta o indiretta, di tutte o parte delle quote o azioni di uno o più membri del proprio expanded affiliated group”.
Il concetto di expanded affiliated group è assimilabile a quello del gruppo societario dove un’entità (società) controlla le altre entità, ovvero le entità sono soggette a controllo comune (3); tenuto conto tuttavia della soglia di partecipazione più elevata rispetto a quella riscontrata in altre normative analoghe (oltre il 50%), appare evidente che l’applicazione delle regola potrà interessare una gamma di casi più limitati caratterizzati dalla configurazione di gruppi cosiddetti “a cascata” piuttosto che “a raggiera”.
All’interno del “percorso” normativo, assai articolato e complesso, del testo del Decreto ci si imbatte poi nell’articolo che disciplina i casi, soggettivi ed oggettivi, di esclusione dall’ordinaria applicazione del Decreto. Tra le esclusioni soggettive vi rientrano le “entità” la cui attività è “essenzialmente rivolata al gruppo di appartenenza, purché si tratti di un gruppo non finanziario o comunque FATCA compliant”.
Condivisibile, come da sempre sostenuto anche da Assoholding in altre occasioni ed in altri tempi (4), è l’esclusione dal gravoso adempimento di questi soggetti in quanto essa appare insita nella “dimensione meramente interna al gruppo dell’attività svolta, che neutralizza la potenziale pericolosità di tali entità in termini di dislocazione dei redditi di appartenenza di soggetti statunitensi”.
L’individuazione di questo carattere meramente interno al gruppo è stato demandato all’elencazione di una serie di requisiti parametrici riferito a questo, nel presupposto che deve trattarsi di gruppo non finanziario e con l’obbligo di verificare l’esistenza di tali parametri nell’arco del triennio che precede l’anno in cui viene effettuata la determinazione.
Si giunge quindi ad un’elencazione delle condizioni in base alle quali si integra la condizione suddetta.
Tra queste si legge, in attesa di ulteriori chiarimenti evidentemente necessari, quella per la quale il reddito lordo del gruppo deve essere costituito per non più del 25% da redditi passivi (intendendosi probabilmente quelli come interessi passivi, royalties, ecc…) o anche, presumibilmente come condizione alternativa, che non più del 5% del reddito lordo del gruppo sia attribuibile a membri del gruppo che siano configurabili come società finanziarie.
Tale esonero non vale nel caso in cui l’entità sia holding di un’impresa di assicurazione mentre dovrebbero rientrare nei casi previsti quelle che svolgono attività di deposito e custodia esclusivamente al proprio gruppo di riferimento o anche nel caso in cui non sia un centro di tesoreria o una captive finance company le cui attività consistono essenzialmente nell’effettuazione di investimenti, operazioni di copertura e transazioni finanziarie con o per membri del proprio gruppo come definito dalla normativa.
Vengono anche previste delle norme specifiche tendenti ad annullare, ai fini dell’individuazione del gruppo per la normativa in questione, l’eventuale presenza, all’interno di esso, di entità di investimento che hanno ricevuto contribuzione di soggetti all’interno del gruppo a fini specifici di investimenti speculativi.
Tale situazione potrebbe verificarsi in caso di iniezioni di capitale finalizzati a costituire una società, la cui partecipazione è destinata ad essere ceduta entro un triennio.
In aggiunta a quanto sopra riportato, la normativa FATCA non è applicabile per alcune classi, tra cui le entità non finanziarie (5), designate ogniqualvolta vengano soddisfatti almeno uno dei requisiti elencati nella bozza del Decreto.
Tra queste, ad esempio, sono individuabili alcune caratteristiche che possono sostanzialmente equiparare l’ente alla figura ed alla funzione di una holding non finanziaria.
La previsione in base alla quale è escluso il soggetto nel quale “tutte le attività consistono essenzialmente nella detenzione di titoli o nella fornitura di finanziamenti e servizi a una o più controllate impegnate nell’esercizio di un’attività economia o commerciale” fa allineare la previsione a quanto nella prassi e normativa del nostro paese è individuato nella società capogruppo che si occupa della “regia” amministrativa, con fornitura di servizi intercompany, al gruppo non finanziario.
Ma si va oltre, in quanto nei casi che configurano le entità non finanziarie (NFFE), viene anche prevista la società neocostituita (newco) a fronte delle operazioni di leverage-buy out, nel presupposto che l’operazione di riorganizzazione si perfezioni in un termine di tempo relativamente breve (24 mesi dalla sua costituzione) (6).
Potranno rientrare nei casi di esclusione anche gli enti inizialmente finanziari che non lo sono più da un periodo superiore a 5 anni e/o che sono poste in una fase di liquidazione dell’attività o in una fase di riconversione della stessa in altra area economica.
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(1) Ciò potrebbe avvenire o perché l’istituzione finanziaria non ha provveduto alla sottoscrizione dell’accordo con l’IRS, o nel caso di mancanza dell’obbligo informativo.
(2) In particolare, come si legge a pagina 3 della Relazione, “la definizione di holding company è stata mutuata dai Regolamenti del Dipartimento del Tesoro Statunitense”.
(3) Come desumibile dalle definizioni della bozza del DM, il controllo comprende il possesso, diretto o indiretto, di più del 50 % dei diritti di voto e del valore di un’entità.
(4) Si pensi, fra tutte, alle motivazioni concernenti l’assenza di rischio sistemico ai fini della derubricazione delle holding dall’elenco ex art 113 TUB, tenuto dalla Banca d’Italia.
(5) Individuate come NFFE (“Non Financial Foreign Entity”).
(6) Si legge tra le condizioni che definiscono un NFFE (“l’NFFE che non esercita ancora un’attività economica e non l’ha esercitata in passato, ma sta investendo capitale in alcune attività con l’intento di esercitare un’attività economica diversa da quella di un’istituzione finanziaria”).
Fondi investimento chiusi
L’attuazione dell'art. 39, comma 4, del D.lgs. n. 58/1998: i fondi di investimento chiusi
La Direttiva UE n. 2011/61, nota con l’acronimo di AIFMD, è stata emanata allo scopo di armonizzare a livello europeo gli obblighi cui sono tenuti i gestori dei fondi di investimento, i principi di sorveglianza cui devono uniformarsi le rispettive autorità di vigilanza e i criteri che queste ultime devono applicare per garantire un proficuo scambio di informazioni a livello transfrontaliero.
L’oggettiva difficoltà a prevedere un’armonizzazione dedicata alle tipologie di fondi gestiti e i prodotti dai medesimi collocati ha fatto preferire una scelta più efficiente andando ad incidere sulla disciplina dedicata ai soggetti che proprio tali fondi gestiscono.
L’attuazione della disciplina comunitaria ha implicato - necessariamente - una rielaborazione del TUF nella parte in cui regolamenta la gestione collettiva del risparmio da parte di SGR, SICAV e SICAF che gestiscono fondi di investimento alternativi (FIA (16)).
In particolare, con il D.Lgs. n. 44/2014, il Legislatore ha emanato il complesso di disposizioni di modifica del D.Lgs. n. 58/98 (TUF) volte a consentire l’adeguamento della disciplina nazionale a quella comunitaria.
Come chiarito da Banca d’Italia e Consob, nelle premesse al documento - in consultazione - che illustra le ultime modifiche ai regolamenti attuativi previsti dal cennato decreto, “La direttiva AIFM e le relative norme di attuazione hanno imposto una ridefinizione del perimetro regolamentare applicabile alla materia del risparmio gestito, avendo disciplinato in modo uniforme, aspetto che, in precedenza erano lasciati alla discrezionalità delle singole legislazioni nazionali”.
Nello specifico, il nuovo assetto del Titolo III del TUF ha comportato la sostituzione e la nuova numerazione di gran parte delle disposizioni ivi contenute. Ne è quindi discesa la creazione di un nuovo Art. 39, rubricato “Struttura degli OICR italiani” ai sensi del quale le summenzionate autorità di vigilanza hanno il compito di redigere ed emanare un regolamento attuativo contenente i criteri generali cui devono uniformarsi gli OICR italiani con riguardo:
a) all’oggetto dell’investimento;
b) alle categorie di investitori cui è destinata l’offerta delle quote o azioni;
c) alla forma aperta o chiusa e alle modalità di partecipazione, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all’eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire;
d) all’eventuale durata minima e massima;
e) alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti di beni, sia in fase costitutiva che in fase successiva alla costituzione del fondo.
Lo schema di regolamento attuativo emanato congiuntamente dalla Banca d’Italia e dalla Consob prevede, con riferimento all’oggetto dell’investimento, che i FIA “chiusi” possono utilizzare il patrimonio per concedere finanziamenti.
Appare quindi necessario, ai fini di una corretta comprensione della previsione in esame, chiarire la distinzione tra fondi aperti e chiusi.
I primi possono essere sottoscritti in ogni momento, ed in ogni momento è possibile ottenere il rimborso totale o parziale del capitale conferito. A tale scopo solitamente i fondi mantengono costantemente una parte del patrimonio in liquidità: la cosa può peggiorare le performance dello strumento finanziario, ma almeno garantisce il rapido ed agevole disinvestimento delle quote.
È possibile aderire ai fondi comuni aperti attraverso il collocamento da parte delle Società di Gestione stesse, delle Società di Intermediazione Mobiliare (tramite Promotori Finanziari) e degli Istituti di Credito.
I fondi chiusi, invece, hanno un patrimonio che è fissato e conferito all’atto della sua costituzione. Talvolta sono previste finestre temporali in cui è possibile effettuare nuovi investimento o chiedere il rimborso, ma solitamente tali possibilità sono abbastanza limitate e rare.
Questi strumenti di investimento collettivi possono quindi essere sottoscritti solo in un certo lasso di tempo e la restituzione del capitale può essere richiesta solo alla scadenza del fondo o dopo un certo numero di anni.
Al di fuori di questi periodi di tempo le quote di un fondo chiuso possono essere acquistate e vendute solo in Borsa. A fronte di una scarsa liquidabilità dell’investimento, i gestori in questo caso hanno la possibilità di pianificare impieghi più a lunga scadenza e non devono parcheggiare risorse in liquidità, potendo apparire tendenzialmente più redditizi.
Il regolamento in commento all’art. 10 chiarisce che devono essere istituiti in forma chiusa i FIA il cui patrimonio è investito in beni o attività con un minor grado di liquidità (beni immobili e diritti reali, crediti, concessione finanziamenti ed altri beni).
Dalla disamina effettuata risulta quindi più agevole cogliere la ratio della facoltà per i FIA di impiegare parte del patrimonio nell’attività di erogazione di finanziamenti, atteso che la composizione del patrimonio medesimo - da una parte - e la necessaria forma chiusa (a garanzia di una certa consistenza patrimoniale perdurante nel tempo) - dall’altra - contengono il rischio sistemico ma, al contempo, rappresentano una nuova forma di approvvigionamento al credito attraverso un canale non bancario.
In attesa della versione definitiva del documento appare legittimo attendersi un ulteriore specificazione sulla tipologia dei finanziamenti erogabili, sulla pletora dei beneficiari e sull’applicazione delle relative regole di vigilanza ad oggi applicabili alle società ex art. 106 e ss. del TUB.
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(1) Tali sono considerati, in assenza di una definizione specifica nella letteratura finanziaria, quelli che si distinguono dai prodotti "tradizionali" perché hanno la possibilità di investire in una gamma di strumenti più ampia rispetto agli altri fondi comuni.
Sistema prevenzione frodi
L'istituzione di un sistema pubblico di prevenzione delle frodi
È stato istituito, nell’ambito del Ministero dell’economia e delle finanze, un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto di identità.
Il sistema di prevenzione è basato sull’archivio centrale informatizzato e sul gruppo di lavoro, di cui è titolare il Ministero medesimo, mentre la gestione del sistema è affidata alla Consap S.p.A.
Per furto d’identità si intende:
- occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto. La fattispecie può riguardare l’utilizzo indebito di dati riferibili sia ad un soggetto in vita sia ad un soggetto deceduto.
- occultamento parziale della propria identità mediante l’impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto.
Per contrastare tale fenomeno si è ritenuto quindi opportuno strutturare un sistema collettivo cui aderiscono:
- le banche, comprese quelle comunitarie e quelle extracomunitarie, e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale di cui all’articolo 106 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385;
- i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera gg), del codice di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259
- i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera q), del D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177
- le imprese di assicurazione
- i gestori di sistemi di informazioni creditizie (sic) e le imprese che offrono ai soggetti servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi, in base ad apposita convenzione con il ministero dell’economia e finanze.
Tale elencazione tuttavia non è tassativa, contenendo la disciplina una riserva di estensione ad ogni altra categoria/tipologia di destinatari potenzialmente interessati o comunque fornitori di informazioni utili all’implementazione dei dati del sistema.
Detto sistema si basa, sostanzialmente, sull’invio di dati da parte degli aderenti i quali trasmettono all’ente gestore richieste di verifica dell’autenticità dei contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito, nonchè una prestazione di carattere assicurativo.
Nell’ambito della propria specifica attività, gli aderenti possono altresì inviare all’ente gestore richieste di verifica dell’autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche nei casi in cui ritengono utile, sulla base della valutazione degli elementi acquisiti, accertare l’identità delle medesime.
Quanto all’archivio, esso è composto da tre strumenti informatici:
1) INTERCONNESSIONE DI RETE: consente di dare seguito alle richieste di verifica inviate dagli aderenti mediante il riscontro con i dati detenuti nelle banche dati degli organismi pubblici e privati;
2) MODULO INFORMATICO CENTRALIZZATO: memorizza in forma aggregata ed anonima i casi in cui il riscontro ha evidenziato la non autenticità di una o più categorie di dati presenti nella richiesta di verifica;
3) MODULO INFORMATICO DI ALLERTA: memorizza le informazioni trasmesse dagli aderenti relative alle frodi subite o ai casi che configurano un rischio di frodi nei settori del credito, dei servizi di comunicazione elettronica o interattivi e delle assicurazioni, nonché le segnalazioni di specifiche allerta preventive trasmesse dal titolare dell’archivio agli aderenti (proattività). Tali informazioni permangono nell’archivio per il tempo necessario per consentire agli aderenti di accertare l’effettiva sussistenza del rischio frode.
Sul fronte dell’analisi dei dati, il contenuto del modulo informatico consente al titolare dell’archivio e al gruppo di lavoro, lo studio del fenomeno delle frodi, ai fini dell’esercizio della prevenzione, anche mediante la predisposizione e pubblicazione periodica di specifiche linee guida, sul piano amministrativo, nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, nonchè nel settore delle assicurazioni, avvalendosi anche dei dati contenuti nell’archivio informatizzato istituito con la legge del 17 agosto 2005, n. 166 concernente le frodi con le carte di pagamento.
I dati analizzati sono quelli ritraibili e confrontabili con quelli detenuti da organismi pubblici e privati, i dati relativi a persone fisiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, nonchè una prestazione di carattere assicurativo, avuto particolare riguardo a:
- documenti di identità e di riconoscimento, comunque denominati o equipollenti, ancorchè smarriti o rubati
- partite iva, codici fiscali e documenti che attestano il reddito esclusivamente per le finalità perseguite dal presente decreto legislativo
- posizioni contributive previdenziali ed assistenziali.
Quanto alla procedura di verifica, ai fini del riscontro sull’autenticità dei dati contenuti nelle richieste di verifica inviate dagli aderenti, l’ente gestore autorizza la procedura di collegamento dell’archivio alle banche dati degli organismi pubblici e privati.
Ciascuna richiesta può concernere una o più categorie di dati nell’ambito di quelle elencate nel decreto legislativo.
L’onere derivante dall’attuazione del decreto legislativo è posto a carico degli aderenti al sistema pubblico di prevenzione. l’adesione al sistema e ciascuna richiesta di verifica, riferita ad un singolo nominativo, comportano, da parte dell’aderente, previa stipula di apposita convenzione con l’ente gestore, il pagamento all’ente gestore stesso di un contributo articolato in modo tale da garantire sia le spese di progettazione e di realizzazione dell’archivio sia il costo pieno del servizio svolto dall’ente gestore.
Fisco società mutuo soccorso
Aspetti fiscali per il socio di una società di mutuo soccorso
Per sostenere l’importanza della mutualità integrativa sanitaria, il legislatore ha cercato di favorire questa forma di tutela prevedendo alcuni vantaggi fiscali per coloro che aderiscono ad una Società di Mutuo Soccorso (“SMS”) che opera nel rispetto dell’articolo 1 della Legge 15.4.1886, n. 3818, sia in forma individuale con il Decreto Legislativo n. 460/1997, sia in forma collettiva con l’articolo 51 del TUIR.
Inoltre, al fine di realizzare una sorta di uniformità di trattamento fiscale con le somme versate dai lavoratori o dai loro datori di lavoro aventi esclusivo fine di assistenza sanitaria, l’articolo 13 del D.Lgs n. 460 ha previsto la ricomprensione dei contributi associativi versati dai soci alle società di Mutuo Soccorso fra gli oneri deducibili contemplati dall’art. 15 del TUIR per i quali spetta una corrispondente detrazione percentuale di imposta pari al 19%.
In tale quadro normativo, il legislatore ha ritenuto opportuno ricordare che il fine delle società di mutuo soccorso è quello di assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro e di vecchiata; ne deriva che la detrazione di imposta è consentita ai soci delle Società di Mutuo soccorso che operano esclusivamente nei settori individuati dall’articolo 1 della Legge n. 3818.
Pertanto, dal 1998, i contributi associativi alle SMS sono detraibili dalle imposte sul reddito personale (IRPEF) fino ad un massimale di € 1.291,14.
Inoltre questo tipo di detrazione è autonoma e non si cumula con quelle previste, per esempio, per le polizze vita, infortuni e previdenziali.
Il motivo di ciò è che, a fronte di tali spese, la Società di Mutuo Soccorso non effettua dei rimborsi, bensì corrisponde un sussidio per lo stato di malattia o di infortunio del socio, generalmente omnicomprensivo di tutti gli oneri connessi allo stato di disagio sopraggiunto.
Il sopracitato sussidio non determina il sorgere di alcuna obbligazione specifica e l’erogazione dello stesso è condizionata dalle disponibilità raccolte dalla Società di Mutuo Soccorso, cosicché la stessa risulterebbe incerta nell’ an e nel quantum.
Ne segue che non potendosi individuare tra le somme erogate ai soci e l’onere sostenuto dagli stessi una relazione diretta, la natura delle erogazioni effettuate è quella del sussidio e non del rimborso.
Conseguentemente, è da ritenere che le spese sanitarie sostenute dai soci, anche in presenza di sussidi erogati dalla Società, possano rimanere totalmente a loro carico, consentendo di applicare a loro favore la disposizione che consente la detrazione dall’imposta delle spese sanitarie sostenute.
Con riferimento agli aspetti formali che consentono la deducibilità di questi contributi, la condizione essenziale è rappresentata dal rispetto delle modalità di pagamento del contributo associativo indicate in maniera tassativa nel testo della disposizione citata (1).
Trattasi, sinteticamente, di tutte le forme di pagamento tracciabili (banca, ufficio postale, ecc…).
Appaiono altresì importanti i vantaggi fiscali che possono scaturire in capo ad un’azienda e ad un suo dipendente che decida di destinare un contributo alla copertura sanitaria aziendale attraverso il versamento ad una Società di Mutuo Soccorso.
Il vantaggio scaturisce dal fatto che queste Società sono equiparate agli Enti e alle Casse “aventi finalità esclusivamente assistenziale” di cui all’articolo 51, comma 2, lettera a) del TUIR e, pertanto, i contributi versati dal datore di lavoro sono deducibili mentre, al contempo, entro determinati limiti e a determinate condizioni, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
In particolare sulla base della disposizione citata (2), tali contributi non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente per un importo superiore complessivamente a € 3.615,20 a condizione che:
- i contributi devono essere versati ad una cassa o ad una società di mutuo soccorso avente esclusivamente finalità assistenziale;
- il versamento dei contributi alla cassa di assistenza deve essere previsto da uno specifico contratto o accordo collettivo o da un regolamento aziendale;
- l’Ente, la Cassa o la Società di Mutuo Soccorso che gestiscono il Fondo devono essere iscritti all’Anagrafe Fondi Sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale e garantire il rispetto della destinazione del 20% delle prestazioni vincolate sul totale di quelle erogate
Come accennato, tali contributi costituiscono un costo di lavoro dipendente integralmente deducibile dal reddito d’impresa ai fini IRES.
Un’ulteriore agevolazione di cui usufruiscono i contributi di tale natura a carico del datore di lavoro versati alle Casse di assistenza è che, in luogo della contribuzione sociale ordinaria (raggiungibile in certi casi anche il 40%) sono soggetti solo ad un contributo di solidarietà del 10%.
Anche per il lavoratore i contributi da lui versati ai fini di assistenza sanitaria sono deducibili dal reddito imponibile con vantaggio fiscale pari all’aliquota marginale.
Tale regime fiscale è esteso anche ai contributi versati per i propri familiari che siano o meno fiscalmente a carico.
Per formulare un sintetico esempio concreto di confronto tra una copertura sanitaria, con versamento di un contributo ad una SMS, ed un aumento retributivo di € 350,00 si può ipotizzare:
Copertura sanitaria: € 350,00
Contributo INPS: € 35,00
Oneri fiscali: € 0
Costo azienda: € 385,00
Netto dipendente: € 350,00
Aumento retributivo: € 350,00
Contributo INPS: (ipotesi 25% Azienda, 9% dipendente)
Oneri fiscali: (ipotesi 4,25% Azienda, 27% dipendente)
Costo azienda: € 455,00
Netto dipendente: € 225,00
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(1) Art. 15, TUIR: “Dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo:
(…) i-bis) i contributi associativi, per importo non superiore a 2 milioni e 500 mila lire, versati dai soci alle società di mutuo soccorso che operano esclusivamente nei settori di cui all'articolo 1 della legge 15 aprile 1886, n. 3818, al fine di assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di vecchiaia, ovvero, in caso di decesso, un aiuto alle loro famiglie. La detrazione è consentita a condizione che il versamento di tali contributi sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e secondo ulteriori modalità idonee a consentire all'Amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con decreto del Ministro delle finanze da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.”
(2) Art. 51, TUIR: “Non concorrono a formare il reddito: a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge; i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all'articolo 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20. Ai fini del calcolo del predetto limite si tiene conto anche dei contributi di assistenza sanitaria versati ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera e-ter)”.
Adozione facoltativa IAS
L'adozione facoltativa degli Ias prevista dal Decreto competitività
Il decreto legge competitività (D.L. 91/2014), all’art. 20, comma 2, ha modificato il D.Lgs. n. 38 del 28 febbraio 2005, meglio conosciuto come “Decreto IAS”, estendendo alle società di capitali la possibilità di utilizzare i Principi Contabili Internazionali, ovvero i così detti IAS (International Accounting Standards), nei propri bilanci. Il Decreto IAS individua:
- I soggetti obbligati a redigere il bilancio d’esercizio e consolidato sulla base dei principi contabili internazionali;
- I soggetti a cui è attribuita la facoltà di applicare gli IAS/IFRS per la redazione del bilancio.
Per le società diverse da quelle specificatamente elencate agli artt. 3 e 4, e non incluse in un bilancio consolidato, il D.Lgs. 38/2005 prevede la possibilità di predisporre il bilancio d’esercizio in conformità agli IAS/IFRS, ma solamente “a partire dall’esercizio individuato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della giustizia”. Ad oggi tale decreto non è mai stato emanato e quindi tali società non hanno mai avuto la possibilità di redigere il bilancio attenendosi ai principi contabili internazionali.
Il Decreto competitività è intervenuto in tale ambito, eliminando il riferimento al Decreto mai emesso; ne consegue che le imprese in esame avranno la possibilità di applicare gli IAS/IFRS senza dover attendere l’emanazione di alcuna norma.
Continueranno, invece, a non poter applicare gli IAS/IFRS:
- Le società di persone;
- Le imprese individuali;
- Le società di capitali che possono redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis C.C.
L'impresa interessata dovrà procedere alla cosiddetta “first time adoption” secondo l'Ifrs1. Potrà, inoltre, derogare al principio del costo storico nella valorizzazione delle immobilizzazioni materiali che possono essere quindi iscritte, in sostituzione per l’appunto del costo storico, a un valore di costo presunto, così detto deemed cost, pari al fair value alla data della migrazione. L'opzione può essere applicata anche per un singolo bene e può essere effettuata anche utilizzando un valore derivante da una precedente rivalutazione, se ancora valida; e non comporta che, in seguito, questo bene debba essere trattato come un bene rivalutato.
La contropartita della valutazione al fair value del cespite, alla data di migrazione è rappresentata dal patrimonio netto.
L'incremento patrimoniale dovuto alla iscrizione delle attività materiali al valore equo, quale sostituto del costo, dovrà essere imputato, in base a quanto previsto dall’art. 7 comma 6 del D.Lgs. 38/2005, al capitale o a riserva. In questo secondo caso la riserva potrà essere ridotta unicamente con l’osservanza delle disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell’art. 2445 del Codice civile (1).
Appare evidente come questa tipologia di rivalutazione patrimoniale, effettuata in occasione della first time adoption degli IAS/IFRS sia sostanzialmente differente da una rivalutazione effettuata in base alla legge 147/2013; in tale seconda circostanza, secondo quanto previsto dall’Agenzia delle Entrate (2), è difatti previsto il versamento obbligatorio di un’imposta sostitutiva. Viceversa, la rivalutazione effettuata in occasione dell’opzione IAS risulterebbe essere fiscalmente neutrale (art. 110, comma 1, lettera c) del Tuir).
Inoltre, mentre è pacifico che la riserva di rivalutazione ex lege 147/2013 sia una riserva in sospensione di imposta, e dunque tassabile in capo alla società in caso di distribuzione, un analogo regime non è stato esplicitamente previsto per la riserva derivante dall’applicazione del fair value quale sostituto del costo.
Da tutto ciò ne consegue che l’applicazione opzionale dei principi contabili IAS/IFRS, congiuntamente all’opzione, in sede di prima applicazione di tali principi, per la valutazione delle immobilizzazioni immateriali (o anche di singoli beni) al fair value in sostituzione del costo, potrebbe comportare effetti patrimoniali analoghi a quelli di una vera e propria rivalutazione, senza però l’obbligo di affrancamento fiscale.
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(1) "L'avviso di convocazione dell'assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. Nel caso di società cui si applichi l'articolo 2357, terzo comma, la riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la quinta parte del capitale sociale.
La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell'iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione."
(2) Circolare 10/E/2014