Addizionale IRES
Addizionale IRES per gli enti creditizi e finanziari
Gli enti finanziari e creditizi non potranno beneficiare del taglio dell’IRES ma avranno come contropartita la piena deducibilità degli interessi passivi. Restano di conseguenza penalizzate tutte le società finanziarie che per lo svolgimento della propria attività non ricorrono generalmente all’indebitamento. Si tratta di tutti gli istituti di pagamento iscritti all’elenco di cui all’articolo 114 del Testo Unico Bancario (Tub), tra cui le società di money transfer, delle merchant bank non iscritte all’albo di cui all’articolo 106 del Tub (si veda Circolare Banca d’Italia del 15 giugno 2015), delle cosiddette “finanziarie di marca” e delle società di recupero crediti iscritte all’elenco di cui all’articolo 115 del Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (Tulps).
La legge di stabilità 2016 (Legge n. 208/2015) è infatti intervenuta a modificare l’articolo 77, comma 1 del TUIR, prevedendo la riduzione dell’aliquota IRES dal 27,5% al 24% per i soggetti passivi di cui all’art. 73 dello stesso testo unico.
La modifica avrà effetto per i periodi d’imposta successivi al 31 dicembre 2016, quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal 1° gennaio 2017.
L’abbattimento dell’aliquota IRES non sarà, di fatto, applicabile nei confronti degli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. n. 87 del 27 gennaio 1992: infatti, in base a quanto disposto dall’art. 1, comma 65 della L. n. 208/2015, per tali soggetti, a decorrere dal medesimo periodo d’imposta, è applicata un’addizionale IRES del 3,5%, mantenendo, in tal mondo, inalterato il livello di tassazione IRES al 27,5%. In base a quanto previsto dal successivo comma 67 della stessa legge di stabilità 2016, per compensare l’introduzione dell’addizionale gli stessi soggetti potranno, sempre a partire dal 2017, dedurre integralmente gli interessi passivi senza più considerare il limite del 96% fino ad ora previsto dall’art. 96, comma 5 del TUIR (ai fini IRES) e dall’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997 (ai fini IRAP).
In realtà, l’introduzione dell’addizionale IRES per enti creditizi e finanziari ha l’obiettivo di evitare, a tali soggetti, la necessità di svalutare le cosiddette Deferred Tax Asset (di seguito, per brevità, DTA), cioè le imposte differite attive.
Le DTA hanno origine dalla limitazione della deducibilità fiscale delle rettifiche di valore relative a svalutazioni e perdite su crediti nei confronti della clientela, contribuiscono a formare il patrimonio di vigilanza e possono essere utilizzate come crediti di imposta per i futuri esercizi, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 2 del D.L. n. 225/2010 (commi da 55 a 58), convertito dalla L. n. 73/2010. La disposizione, infatti, prevede che, nei casi di rilevazione di perdita civilistica e/o fiscale o avvio di procedure concorsuali, sia possibile dare rilievo alle DTA e trasformarle automaticamente in crediti d’imposta verso l’erario, senza attendere i tempi di recupero. Gli enti creditizi presentano in bilancio un ammontare rilevante di DTA che, sino al periodo d’imposta 2014, non erano immediatamente e integralmente deducibili. Infatti era possibile dedurre tali componenti in quote costanti in diciotto esercizi e dal 2013 nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi. Con le modifiche apportate dall’art. 16 del D.L. n. 83/2015 (convertito dalla L. n.132/2015), l’art. 106, comma 3 del TUIR prevede, dal 2015, la possibilità di deduzione immediata e integrale delle svalutazioni e perdite su crediti verso la clientela solo nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio. Da tale ricostruzione normativa deriva pertanto che a decorrere dall’esercizio 2015 le perdite e le svalutazioni dei crediti verso la clientela non generano più DTA.
Con la riduzione dell’aliquota ordinaria IRES senza la previsione della maggiorazione sarebbe stato indispensabile rettificare i valori dei crediti di imposta iscritti in bilancio, con conseguenze negative sia per il conto economico che per il calcolo del patrimonio di vigilanza.
La ratio sottostante all’introduzione dell’addizionale IRES è, quindi, quella di mantenere invariato il livello impositivo per il settore finanziario e bancario, evitando in tal modo l’obbligo di svalutazione delle attività per imposte anticipate fino ad ora accumulate: per far questo tuttavia, è stato necessario prevedere la deducibilità integrale degli interessi passivi. Infatti, ipotizzando un ammontare di componenti positivi per 1000 e componenti negativi rappresentati solo da interessi passivi per 100, dal 2017 la base imponibile risulta essere pari a 900 (per via dell’integrale deduzione degli interessi passivi) e l’IRES da pagare pari a 247,5, contro i 904 di reddito imponibile e 248,6 di imposta pagata sulla base delle precedenti disposizioni. In tal modo il carico fiscale, calcolato facendo il rapporto tra imposta pagata e base imponibile (248,6/904 e 247,5/900), si mantiene inalterato e pari a 27,5 %.
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione dell’addizionale IRES è necessario sottolineare che la legge di stabilità 2016 rinvia esplicitamente agli enti di cui al D.Lgs. n. 87/1992, provvedimento che alla data di approvazione della citata legge risultava già abrogato e sostituito dal D.Lgs. n. 136/2015. In questo modo il legislatore ha utilizzato la stessa locuzione dell’art. 2, comma 2 del D.L. n. 133/2013 (convertito dalla L. n. 5/2014) per individuare i soggetti destinatari dell’addizionale IRES del 8,5% (limitatamente al periodo d’imposta 2013). Il D.Lgs. n. 87/1992, recante le disposizioni relative ai bilanci degli enti finanziari e creditizi, indicava in maniera puntuale all’art. 1 i soggetti destinatari della disciplina1; mentre il D.Lgs. n. 136/2015, anch’esso recante le disposizioni in tema di redazione dei bilanci, non presenta un riferimento preciso e puntuale all’ambito soggettivo di applicazione, creando in tal senso dubbi interpretativi. Già l’Agenzia delle Entrate si era pronunciata a riguardo, con la circolare 15/E/2014(1) sull’addizionale prevista per il periodo d’imposta 2013, precisando che “il rinvio al D.Lgs. 87/1992 ha carattere tassativo”. Pertanto, considerando che nel momento di emanazione della legge di stabilità 2016 (precedente al D.Lgs. n. 136/2015), il D.Lgs. n. 87/1992 era stato già abrogato, è necessario valutare se i soggetti destinatari della nuova maggiorazione IRES continuino a coincidere con quelli indicati nel D.Lgs. n. 87/92, ancorché abrogato, e nella suddetta circolare, atteso che in quella circostanza la maggiorazione dipendeva esclusivamente dall’esigenza di gettito, mentre in questo caso vi è la necessità di evitare l’obbligo di rettifica delle DTA.
Il riferimento al decreto abrogato non sembrerebbe tuttavia una svista del legislatore. Piuttosto andrebbe interpretato nel senso di far riferimento agli enti finanziari e creditizi che redigono il bilancio secondo la disciplina che un tempo era dettata dal D.Lgs. n. 87/1992 e che ora è contenuta nel D.Lgs. n. 136/2015.
Analizzando il D.Lgs. n. 136/2015 dal punto di vista letterale, esso pur non contenendo un’elencazione esplicita dei soggetti coinvolti, all’art. 1, tra le definizioni, distingue tra intermediari IFRS e intermediari non IFRS. Per i primi si fa riferimento agli enti elencati nell’art. 2 del D.Lgs. n. 38/2005, e quindi sono compresi nell’ambito applicativo del decreto legislativo in parola:
- Banche
- Società finanziarie che controllano banche, gruppi bancari o società finanziarie;
- SIM;
- SGR;
- Società che svolgono attività ai sensi dell’art. 106 TUB;
- Istituti di moneta elettronica;
- Istituti di pagamento.
Per i soggetti non IFRS invece si fa riferimento ai confidi e agli operatori del microcredito.
In conclusione, alla luce della disamina normativa effettuata si può concludere che i soggetti interessati dall’addizionale IRES sono “gli enti di cui al D.Lgs. n. 87/1992”, ora rientranti nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 136/2015. Pertanto, il richiamo del D.Lgs. n. 87/1992 dovrebbe essere interpretato nel senso di far riferimento ai soggetti destinatari delle disposizioni in tema di redazione dei bilanci, ora contenute del D.Lgs. n. 136/2015.
Nel caso in cui si intendesse interpretare il riferimento della legge di stabilità 2016 al D.Lgs. n. 87/1992 come indicazione dei soggetti che redigono il bilancio sulla base delle regole ivi contenute, occorre considerare che lo scenario normativo suddivide tali enti in tre categorie.
- I soggetti che erogano finanziamenti e società capogruppo dei gruppi bancari che devono redigere il bilancio secondo gli IAS/IFRS (D.Lgs. n. 38/2005);
- I confidi e i microcredito che redigono il bilancio secondo le regole previste dal D.Lgs. n. 136/2015;
- Tutti gli altri soggetti quali holding di partecipazioni finanziaria, intermediari finanziari e altri operatori come le merchant banks, gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica che devono redigere il bilancio secondo le norme previste dal D.Lgs. n. 127/1991, integrato e modificato dal D.Lgs. n. 139/2015.
Alla luce di tale ripartizione, le disposizioni normative in tema di addizionale IRES dovrebbero applicarsi nei confronti di:
- Banche;
- Società finanziarie capogruppo di gruppi bancari;
- Società di intermediazione mobiliare (SIM);
- Società di gestione dei fondi comuni d’investimento (SGR);
- Istituti di pagamento e istituti di moneta elettronica;
- Società finanziarie che esercitano attività di assunzione di partecipazioni in enti creditizi e finanziari, nonché a fine di successivi smobilizzi;
- Confidi;
- Microcredito
In definitiva, nonostante il D.Lgs. n. 136/2015 non preveda un esplicito ambito soggettivo di applicazione, esso ricomprende tutti i soggetti inclusi nell’ormai abrogato D.Lgs. n. 87/1992, che ora sono destinatari della nuova addizionale IRES.
Tuttavia se si intendesse svolgere un’analisi teleologica della disposizione in esame, e quindi individuare lo scopo, della norma, per identificarne i destinatari, non si può non tener conto della finalità per cui essa è stata emanata: evitare la svalutazione delle DTA iscritte in bilancio utilizzabili nei casi previsti dal D.L. n. 225/2010. In questa prospettiva i soggetti interessati dalla nuova addizionale sarebbero quelli che presentano in bilancio un considerevole ammontare di DTA e che applicano le disposizioni, sulla deducibilità delle svalutazioni e delle perdite dei crediti verso la clientela iscritti in bilancio, contenute nell’art. 106 comma 3 del TUIR, rivolto agli enti finanziari e creditizi di cui al D.Lgs. n. 87/1992. In questa ottica, che intende garantire l’invarianza del peso fiscale mediante un aumento dell’aliquota IRES ordinaria (attraverso la maggiorazione) bilanciato dalla piena deducibilità degli interessi passivi, occorre evidenziare che non tutti i soggetti cui si applica(va)no le disposizioni del D.Lgs. n. 87/1992, si trovano nelle medesime condizioni. Più precisamente non tutti i soggetti destinatari delle nuove disposizioni normative avranno la possibilità di compensare l’introduzione dell’addizionale IRES con l’integrale deduzione degli interessi passivi ai fini del calcolo della base imponibile: risulteranno infatti svantaggiati tutti quei soggetti la cui attività non è caratterizzata da un ammontare rilevante di interessi passivi la cui piena deducibilità consente di recuperare la maggiorazione dell’aliquota IRES.
A parità di condizioni, dal 2017, i soggetti con un rilevante ammontare di interessi passivi avranno una base imponibile e pagheranno pertanto un’imposta (IRES) minore rispetto all’attuale situazione. Infatti, ipotizzando due soggetti con lo stesso ammontare di componenti positivi (1000) e componenti negativi rappresentati da interessi passivi (800), la base imponibile e l’imposta, stante la disciplina attuale,(2) risultano rispettivamente pari a 232 e 63,8, mentre in base alle nuove disposizioni (3) risulteranno rispettivamente pari a 200 e 55.
L’attività caratteristica svolta da alcuni soggetti rientranti tra gli enti finanziari e creditizi (quali, ad esempio, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari, SGR, merchant banks) è caratterizzata da un ammontare non rilevante di interessi passivi e di perdite su crediti verso la clientela, pertanto, alla luce degli interventi normativi sopra illustrati, sulla base di una applicazione letterale delle novità normative, risultano in una posizione di forte svantaggio atteso che non hanno la possibilità di compensare la mancata riduzione dell’aliquota IRES con la deducibilità integrale degli interessi.
Di questa problematica, che crea un immotivato inasprimento fiscale su taluni soggetti rientranti nella categoria degli enti creditizi e finanziari, il legislatore si è peraltro reso conto: nella Legge di Bilancio 2017, recentemente approvata ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, all’art. 1, comma 49, è stata infatti prevista l’esclusione delle SGR dall’addizionale IRES e dalla possibilità di dedurre integralmente gli interessi passivi, in quanto tali soggetti sarebbero stati posti in una posizione di forte svantaggio competitivo sia rispetto ad altri settori produttivi ma anche rispetto alle stesse banche e agli altri intermediari finanziari.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, l’individuazione dell’ambito applicativo della maggiorazione IRES non crea dubbi a causa del richiamo ad un decreto ormai abrogato, in quanto, come è stato chiarito in precedenza i soggetti coinvolti dal decreto abrogante (D.Lgs. n. 136/2015) sono gli stessi di quello abrogato (D.Lgs. n. 87/1992), quanto piuttosto, non pare conforme ai principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva. Infatti, tenendo conto delle finalità della norma, come peraltro lo stesso legislatore ha fatto con la modifica apportata dalla Legge di bilancio 2017 in tema di SGR, l’applicazione della maggiorazione a tutti i soggetti individuati dal D.Lgs. n. 87/1992 (ora D.Lgs. n. 136/2015), crea dubbi in merito all’equità e alla correttezza di equiparare sotto il profilo fiscale i soggetti che presentano la necessità di non rettificare le DTA ed un ammontare rilevante di interessi passivi, ai soggetti che non hanno DTA iscritte in bilancio e/o che svolgono un’attività che non presenti un considerevole valore di interessi passivi tale da compensare la mancata riduzione dell’aliquota IRES, ancorché entrambi siano ricompresi nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 136/2015.
Pertanto, se si lasciasse invariato il riferimento al D.Lgs. n. 87/1992 sarebbe necessario inserire una serie di esclusioni che tengano conto delle particolari condizioni in cui operano i singoli soggetti destinatari delle norme, così come è stato fatto con la modifica “ad personam” per le SGR: in una situazione analoga si trovano ad esempio gli istituti di pagamento che, fisiologicamente, per la natura dell’attività svolta, al pari delle SGR, non si trovano ad avere rilevanti crediti alla clientela e quindi DTA da ridurre ne interessi passivi considerevoli. Pertanto anche essi, si trovano ad essere ingiustificatamente penalizzati da un aggravio fiscale che non risponde peraltro alla finalità del legislatore.
Sarebbe quindi necessario riscrivere la norma o individuando in maniera più puntuale i requisiti dei soggetti che devono rientrare nella maggiorazione IRES e nella deducibilità piena degli interessi passivi, oppure, in alternativa, conservando il riferimento normativo ai criteri di redazione dei bilanci ma estendendo le esclusioni dalla nuova disciplina per tutti quei soggetti non hanno DTA da salvaguardare e rilevanti interessi passivi da dedurre, primi fra tutti gli istituti di pagamento. Ciò al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento che li possano porre in una posizione di forte svantaggio competitivo o addirittura che li possano spingere a localizzarsi in altri Paesi.
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(1) La misura interessava tutti i soggetti finanziari indicati nell’articolo 1 del decreto legislativo n. 87 del 1992, vale a dire: 1) banche; 2) società di gestione previste dalla legge 23 marzo 1983, n. 77; 3) società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell’albo; 4) società previste dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1; 5) soggetti di cui ai titoli V, V-bis e V-ter del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB); 6) società esercenti altre attività finanziarie indicate nell’articolo 59, comma 1, lettera b), del TUB, ai sensi del quale si considerano finanziari i soggetti esercenti: a) attività di assunzione di partecipazioni aventi le caratteristiche indicate dalla Banca d’Italia in conformità alle delibere del CICR; b) una o più delle attività previste dall’articolo 1, comma 2, lettera f), numeri da 2 a 12, e 15 del medesimo TUB; c) attività di cui all’articolo 1, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
(2)Interessi passivi deducibili al 96% e aliquota IRES al 27,5%.
(3) Interessi passivi deducibili al 100% e aliquota IRES al 24% + 3,5%.
Nuova disciplina interpelli
La nuova disciplina sugli interpelli a quasi un anno dall'entrate in vigore della riforma
1) Premessa
Il DLGS 24 settembre 2015, n. 156, che contiene le misure per la revisione degli interpelli e del contenzioso tributario, emanato in attuazione degli artt. 6 e 10 della legge delega n. 23/2014, non solo ha riformulato il procedimento di interpello - in termini di condizioni, modalità di proposizione, risposte dell’Amministrazione finanziaria ed effetti – ma ha anche modificato le tipologie di interpello cui i contribuenti possono ricorrere.
Secondo l’art. 11 della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) come modificato dal DLGS n. 156/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016, le forme di interpello sono sostanzialmente quattro:
- Interpello ordinario (che ricomprende anche quello qualificatorio)
- Interpello probatorio
- Interpello antiabuso (che ha sostituito il previgente interpello antielusivo)
- Interpello disapplicativo.
Le modifiche apportate dal Governo nel 2015 si fondano su taluni criteri direttivi:
- uniformare le regole procedurali tra le varie tipologie di interpello;
- assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri;
- procedere all'eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefìci ma solo aggravi per i contribuenti e per l'Amministrazione finanziaria.
Pertanto , la materia viene ora regolata (artt. da 1 a 8 DLGS n. 156/2015) da una disciplina generale unitaria (contenuta fondamentalmente nell’art. 1 DLGS n. 156/2015 che ha completamente riscritto l’art. 11 della L. n. 212/2000), variando solo alcuni particolari aspetti a seconda della tipologia di interpello. Quindi il procedimento, riportato nel paragrafo successivo, relativo all’interpello ordinario, riguarda anche le altre forme di interpello trattate successivamente.
LE FORME DI INTERPELLO
Interpello ordinario (art. 11, comma 1, lettera a) |
In presenza di condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie o sulla corretta qualificazione di fattispecie, e nel caso in cui non siano comunque attivabili le procedure relative all’accordo preventivo per le imprese con attività internazionale e all’interpello sui nuovi investimenti. |
Interpello probatorio (art. 11, comma 1, lettera b) |
Concernente la sussistenza delle condizioni e la valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti. |
Interpello antiabuso (art. 11, comma 1, lettera c) |
Questa tipologia di interpello è relativa all'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie. In proposito si ricorda che il recente D. Lgs. 5 agosto 2015, n.128 ha apportato modifiche all’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, aggiungendo l’art. 10 bis recante “Disciplina dell’abuso del diritto o l’elusione fiscale” che ha dato fondamento normativo alla definizione di abuso del diritto. Si rammenta che in relazione a quest’ultima norma sono state emanate istruzioni dalla Direzione centrale legislazione e procedure doganali con nota prot. n. 96267 del 24 settembre 2015. |
Interpello disapplicativo (art. 11, comma 2) |
Il contribuente richiede all’amministrazione un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento. Tale tipologia di interpello è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell'accertamento, in sede amministrativa e contenziosa |
2) Interpello ordinario
Quando sussistono obiettive condizioni di incertezza
Quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza (1):
- sulla corretta interpretazione delle disposizioni, ovvero
- sulla corretta qualificazione di fattispecie
e contemporaneamente non siano comunque attivabili le procedure (introdotte dagli artt. 1 e 2 DLgs. 147/2015) relative:
- all’accordo preventivo per le imprese con attività internazionale
- all’interpello sui nuovi investimenti.
Qualora l’Amministrazione finanziaria si sia pronunciata su una determinata disposizione normativa di natura tributaria, questa non può più considerarsi “obiettivamente incerta”, indipendentemente dalla portata del chiarimento fornito e dall’esistenza di orientamenti dottrinali o giurisprudenziali contrastanti. Viene data una “definzione negativa” delle obiettive condizioni di incertezze nel senso che le stesse non ricorrono qualora l’Amministrazione finanziaria abbia compiutamente fornito la soluzione interpretativa di fattispecie corrispondenti a quella prospettata dal contribuente, mediante circolare, risoluzione, istruzione o nota (art. 11, co. 4, L. 212/2000). Gli orientamenti ministeriali devono essere portati a conoscenza dei contribuenti attraverso la pubblicazione nella banca dati “Documentazione tributaria” del Ministero delle Finanze consultabile attraverso i siti Internet dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it) e del Ministero delle Finanze (www.finanze.it) e devono essere disponibili sia in tali siti, sia presso gli uffici della Direzione regionale e della Direzione centrale normativa dell’Agenzia delle Entrate.
Oggetto del diritto di interpello
L’ambito oggettivo dell’interpello è limitato alla interpretazione di norme primarie e secondarie; non è consentito adire interpello sugli atti privi di contenuto normativo (es. circolari, risoluzioni, note, istruzioni e atti similari). Non sono ricompresi nel perimetro applicativo gli accertamenti tecnici (ovvero le valutazioni estimative) mentre lo sono le disposizioni tributarie applicate dall’Agenzia delle Dogane.
Il tipo di tributo individua la competenza dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria legittimato alla trattazione della istanza.
Rientrano nella competenza dell’Agenzia delle Entrate:
- le imposte sui redditi;
- l’imposta sul valore aggiunto;
- l’IRAP;
- l’imposta di registro;
- l’imposta sulle successioni e donazioni;
- l’imposta di bollo;
- le tasse sulle concessioni governative;
- l’imposta sugli intrattenimenti;
- gli altri tributi minori.
Rientrano nella competenza dell’Agenzia delle Entrate - Territorio (2) i seguenti tributi:
- l’imposta ipotecaria;
- l’imposta catastale;
- i tributi speciali catastali.
La procedura di interpello trova applicazione relativamente alle disposizioni tributarie applicate dall’Agenzia delle Dogane che non concernono le risorse proprie comunitarie, vale a dire il codice doganale comunitario (reg. CE 2913/92) e il relativo regolamento di attuazione (reg. CE 2454/93): quindi può trovare applicazione relativamente alle accise e ai tributi che le Dogane riscotono per conto di altre amministrazioni. (3)
Qualora l’istanza di interpello concerna l’applicazione di disposizioni in materia di tributi locali, la competenza è attribuita esclusivamente all’ente locale, in quanto titolare della potestà di imposizione, nella quale è compreso l’esercizio dei poteri di accertamento del tributo.
La competenza a gestire l’interpello in materia di IRAP è della stessa Amministrazione che esercita il potere di accertamento; detta potestà in materia di IRAP è attribuita all’Agenzia delle Entrate (artt. 24 e 25 del DLGS 446/97), salvo che non sia diversamente previsto dalle leggi regionali o dalle convenzioni intervenute in materia:(4) In tal caso si deve fare riferimento alle eventuali disposizioni emanate dalla singola Regione competente (5). Per l’IMU sono competenti i singoli Comuni impositori. (6)
Istanza di interpello
Quando proporla
La presentazione dell’istanza deve avvenire prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello, avendo quest’ultimo una funzione “preventiva”. In particolare l’istanza deve essere presentata “prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l'assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto o comunque connessi alla fattispecie cui si riferisce l'istanza medesima senza che, a tali fini, assumano valenza i termini concessi all'amministrazione per rendere la propria risposta” (art. 2 co. 2, DLGS n. 156/2015). Per i comportamenti che non trovano, invece, attuazione nella presentazione di una dichiarazione, occorre considerare elementi diversi (per quanto attiene, ad esempio, agli interpelli rilevanti in materia di imposta di registro, occorre far riferimento alla presentazione dell’atto per la registrazione). In sintesi l’istanza va presentata prima dell’assolvimento dell’obbligo fiscale oggetto dell’istanza o comunque connesso alla fattispecie.
Chi può presentarla
Può essere presentata da ciascun contribuente, persona fisica o giuridica, anche non residente, e dai soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti insieme con questi o in loro luogo all'adempimento di obbligazioni tributarie (art. 2, co. 1, DLgs. 156/2015).
L’Amministrazione ha precisato (7) che, per questioni attinenti l’applicazione dell’IVA, non sono legittimati a presentare istanze d’interpello i cessionari o i committenti considerati “consumatori privati” ai fini di tale tributo. Detti soggetti non possono essere, infatti, qualificati in termini di “contribuenti” in quanto su di loro non incombono obblighi in ordine all’attuazione del rapporto tributario.
Contenuto dell’istanza
L’istanza deve essere redatta (8) in carta libera ed esente da bollo e deve contenere (art. 3 co. 1, DLgs. 156/2015):
a) i dati identificativi dell'istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;
b) l'indicazione del tipo di istanza di interpello che si propone;
c) la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
d) le specifiche disposizioni di cui si richiede l'interpretazione, l'applicazione o la disapplicazione;
e) l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;
f) l'indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell'istante o dell'eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell'amministrazione e deve essere comunicata la risposta;
g) la sottoscrizione dell'istante o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale. In questo ultimo caso, se la procura non è contenuta in calce o a margine dell'atto, essa deve essere allegata allo stesso.
Deve essere allegata all’istanza la copia della documentazione non in possesso dell'Amministrazione procedente o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dall'istante, rilevante ai fini della risposta. Nei casi in cui la risposta presupponga accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell'Amministrazione procedente, alle istanze devono essere allegati anche i pareri resi dall'ufficio competente (art. 3 co. 2, DLGS n. 156/2015).
Nel caso in cui le istanze fossero carenti dei requisiti di cui alle suindicate lettere b), d), e), f) e g), l'Amministrazione invita il contribuente alla loro regolarizzazione entro il termine di 30 giorni. I termini per la risposta all’interpello iniziano in tal caso a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione viene effettuata (art. 3, co. 3, DLGS n. 156/2015).
Le modalità di presentazione
L’istanza di interpello deve essere presentata mediante:
- consegna diretta a mano;
- spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento;
- presentazione per via telematica attraverso l'impiego della posta elettronica certificata, ovvero attraverso l'utilizzo di un servizio telematico erogato in rete dall'Agenzia delle Entrate (art. 64 DLGS 7.3.2005, n. 82).
Per i soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, è altresì possibile la presentazione dell’istanza a determinate caselle di posta elettronica ordinaria (indicate nell’allegato “A” del Provv. Agenzia delle Entrate 4.1.2016 n. 27).
L’istanza riguardante i tributi erariali deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Le istanze concernenti l'imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché le istanze di interpello ordinario aventi ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale sono presentate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l'ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello. Per i tributi di competenza dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli-Area Dogane, diversi dalle risorse proprie tradizionali dell’Unione Europea, per le quali l’istituto resta disciplinato dalle norme comunitarie, l’istanza di interpello è presentata alla Direzione Interregionale, Regionale o Interprovinciale territorialmente competente per la soluzione del caso particolare. Per i tributi di competenza dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli-Area Monopoli l’istanza di interpello è presentata agli Uffici dei monopoli territorialmente competenti per la soluzione del caso particolare. (9) In deroga alle regole sopra esposte, le Amministrazioni centrali dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza nazionale, i soggetti non residenti, indipendentemente dalla nomina di un rappresentante fiscale in Italia o dalla circostanza che i medesimi soggetti assolvano gli obblighi o esercitino i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente (art. 35-ter co. 1, DPR n. 633/1972) ed i soggetti di più rilevante dimensione presentano le istanze:
- alla Direzione Centrale Normativa con riferimento a quelle riguardanti i tributi erariali;
- alla Direzione Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità immobiliare con riferimento a quelle concernenti l'imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché le istanze di interpello ordinario aventi ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale.
Le istanze delle stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti sono presentate alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale della stabile organizzazione.
In caso di presentazione dell'istanza ad ufficio incompetente ovvero ad un indirizzo di posta elettronica certificata o ordinaria diverso da quello corrispondente all'ufficio competente, essa deve essere trasmessa tempestivamente all'ufficio competente o all'indirizzo di posta elettronica corretto. In tal caso, il termine per la risposta dell’Amministrazione inizia a decorrere dalla data di ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio competente o dalla consegna dell'istanza all'indirizzo di posta elettronica corretto.
Della data di ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio competente è data notizia al contribuente. La presentazione dell’istanza di interpello da parte del contribuente non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
Esame dell’istanza da parte dell’Ufficio
L’Ufficio destinatario dell’istanza dovrà procedere alla verifica della documentazione e dei dati di seguito riepilogati:
- verifica della competenza territoriale dell’Ufficio
- verifica di eventuali cause di inammissibilità dell’istanza
- richiesta di regolarizzazione della mancata sottoscrizione
- (eventuale) richiesta di documentazione in originale
- (eventuale) richiesta di integrazione della documentazione
- risposta con circolare o risoluzione (caso di interesse generale)
L’istanza è considerata inammissibile (art. 5 DLGS n. 156/2015) qualora:
a) manchino i dati identificativi dell'istante (o del suo legale rappresentante) o la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
b) non sia presentata preventivamente rispetto alla scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l'assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto o comunque connessi alla fattispecie cui si riferisce l'istanza medesima;
c) non ricorrano le obiettive condizioni di incertezza;
d) abbia ad oggetto la medesima questione sulla quale il contribuente ha già ottenuto un parere, salvo che vengano indicati elementi di fatto o di diritto non rappresentati precedentemente;
e) verta su materie oggetto degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale o riguardanti l’interpello preventivo indirizzato alle società che effettuano nuovi investimenti (DLGS n. 147/2015), ovvero riguardanti la procedura abbreviata di interpello preventivo sulla certezza del diritto (DLGS n. 218/2015);
f) verta su questioni per le quali siano state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell'istanza di cui il contribuente sia formalmente a conoscenza. In tal caso è stato precisato (Agenzia delle Entrate, circ. 1.4.2016, n. 9/E) che l’inammissibilità, visto che la norma fa riferimento non all’istante ma alle questioni oggetto dell’istanza, ricorre non solo per le attività riferite direttamente al contribuente (quindi anche a terzi), purché l’istante ne sia formalmente a conoscenza e opera anche nel caso in cui oggetto di accertamento non siano direttamente i comportamenti oggetto dell’istanza ma altri, riferiti a precedenti periodi di imposta, comunque strettamente correlati alla richiesta di interpello, perché, tra l’altro, perfettamente sovrapponibili;
g) il contribuente, invitato a integrare i dati che si assumono carenti (art. 3 co. 3 DLGS n. 156/2015), non provvede alla regolarizzazione nei termini previsti (30 giorni).
Non è previsto un termine perentorio entro il quale l’Ufficio deve comunicare al contribuente l’inammissibilità dell’istanza per mancanza delle obiettive condizioni di incertezza. Qualora l’Ufficio competente riscontri, invece, altre cause di inammissibilità dell’istanza di interpello, dovrà provvedere (art. 4 co. 1 del DM 209/2001) a fornire risposta scritta e motivata entro 120 giorni decorrenti dalla data di consegna o di ricezione dell’istanza o dalla sottoscrizione, senza alcun riscontro nel merito della questione, nemmeno a titolo di consulenza giuridica.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, resta ovviamente impregiudicata la facoltà di ripresentare l’istanza, qualora sussistano tutti gli altri presupposti, “fornendo quegli elementi utili la cui mancanza, nell’originaria istanza, ha comportato la pronuncia di inammissibilità” (10).
Nonostante non sia espressamente previsto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il contribuente deve indicare nell’istanza di interpello i valori economici della fattispecie rappresentata, “evidenziando in particolare l’eventuale beneficio fiscale (in termini di risparmio d’imposta ovvero di rinvio della tassazione ovvero sotto qualsiasi altra forma) di cui ritiene di potersi legittimamente avvalere attraverso la soluzione prospettata” (11).
Quando l’Ufficio non possa fornire una risposta sulla base dei documenti allegati dal contribuente, deve chiedere, una sola volta, all'istante di integrare la documentazione presentata. In tal caso il termine per la risposta è di 60 giorni, i quali iniziano a decorrere dal giorno di ricezione delle integrazioni richieste.
La mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno equivale alla rinuncia all'istanza di interpello, ferma restando la possibilità per il contribuente di presentare una nuova istanza, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge.
La documentazione integrativa richiesta dall’Ufficio deve essere consegnata o spedita dal contribuente, preferibilmente su supporto informatico.
Modalità per l’ottenimento del parere
La risposta scritta e motivata dall’Ufficio competente, in caso di interpello ordinario, deve essere fornita entro 90 giorni decorrenti (art. 11 co. 3 L. n. 212/2000):
- nel caso di consegna diretta, dalla data in cui l’istanza di interpello è assunta al protocollo dell’Ufficio;
- in caso di spedizione a mezzo servizio postale, dalla data in cui è sottoscritto l’avviso di ricevimento della raccomandata con la quale è stata spedita l’istanza;
- in caso di successiva regolarizzazione, dalla data in cui la regolarizzazione è stata effettuata (art. 3 co. 3 DLGS n. 156/2015);
- qualora l’Ufficio interessato non sia autorizzato a rispondere, dalla data di ricezione dell’istanza da parte dell’Ufficio competente;
- in caso di richiesta di integrazione della documentazione presentata, dalla data in cui l’Ufficio richiedente riceve la documentazione integrativa.
La risposta scritta e motivata deve essere notificata (art. 60 del DPR n. 600/1973) all’interpellante entro 90 giorni. In alternativa la risposta può essere comunicata:
- mediante servizio postale a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, presso il domicilio del contribuente o dell’eventuale domiciliatario;
- per via telematica tramite posta elettronica certificata o servizio telematico erogato in rete dall’Agenzia delle Entrate;
- per i soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, per invio telematico alla casella di posta elettronica ordinaria indicata nell'istanza.
La risposta si intende notificata o comunicata al momento della ricezione da parte del contribuente, ed in particolare si intende per data di consegna quella risultante:
- dall'avviso di ricevimento rilasciato dal sistema postale;
- dalla ricevuta di avvenuta consegna rilasciata dal sistema di posta elettronica certificata
- dalla ricevuta emessa dal servizio telematico erogato in rete dall’Agenzia delle Entrate o dalla casella di posta elettronica ordinaria nei casi previsti di utilizzo della stessa.
In pendenza dei termini di istruttoria dell’interpello il contribuente ha comunque la possibilità di presentare la rinuncia espressa all’interpello all’ufficio competente. La rinuncia è comunicata con le stesse modalità di presentazione dell’istanza.
Qualora la risposta dell’Ufficio su istanze ammissibili e recanti l’indicazione della soluzione interpretativa che il contribuente intende adottare non pervenga al contribuente entro 90 giorni “il silenzio equivale a condivisione, da parte dell'amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente”.
Comunicazione del parere con circolare o risoluzione
L’Amministrazione finanziaria può fornire una risposta collettiva all’istanza mediante la pubblicazione di una circolare o di una risoluzione se:
- un numero elevato di contribuenti ha presentato istanze aventi ad oggetto “la stessa questione o questioni analoghe tra loro”;
- il parere sia reso in relazione a norme di recente approvazione o per le quali non siano stati ancora resi chiarimenti ufficiali;
- siano stati segnalati casi di comportamenti non uniformi da parte degli uffici;
- ritiene il caso ed il relativo chiarimento fornito di interesse generale.
In ogni caso resta ferma la necessità della comunicazione della risposta ai singoli istanti.
La tutela processuale
Con la riforma in commento sulla disciplina degli interpelli è stato stabilito che le risposte alle relative istanze non sono impugnabili (art. 6 DLGS n. 156/2015).
La medesima conclusione, peraltro, era già sostenuta sia dall’Agenzia delle Entrate (12)
L’unica eccezione legislativamente prevista riguarda le risposte al nuovo interpello disapplicativo, avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all'atto impositivo.
Gli effetti della risposta
La risposta scritta e motivata dell’Amministrazione finanziaria (artt. 11 co. 3 L. n. 212/2000) vincola ogni organo dell’Amministrazione:
- limitatamente al richiedente;
- con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza di interpello.
Il riferimento ad “ogni organo dell’Amministrazione” ricomprende anche quelli “ausiliari” come la Guardia di Finanza o Equitalia. Pertanto, ad esempio, in sede di accessi, ispezioni e verifiche, dovrebbe essere prelusa la possibilità di formulare rilievi nel PVC se le stesse questioni sono già state oggetto dell’analisi dell’Amministrazione in sede di risposta all’interpello presentato dal contribuente. Tale preclusione verrebbe meno nel caso in cui nel corso della verifica siano emersi fatti o elementi nuovi e diversi rispetto a quelli indicati nell’istanza di interpello.
In ogni caso è espressamente previsto che sono nulli gli atti amministrativi, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanati dagli uffici in difformità della risposta ovvero della interpretazione sulla quale si è formato il silenzio-assenso. L’Amministrazione ha precisato che la risposta non determina effetti vincolanti nei confronti del contribuente, che resta libero di uniformarsi o meno all’interpretazione fornita dall’Ufficio (13).
Il parere non è dunque vincolante per il contribuente, ma solo per l’attività e l’operato degli uffici in relazione al caso oggetto di interpello. La risposta non vincola, pertanto, in alcun modo l’interpretazione della norma in sede di giudizio. L’efficacia della risposta dell’Amministrazione si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo la possibile rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'Amministrazione, con valenza però esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell'istante (art. 11 co. 3 L. 212/2000).
La risposta rettificativa
La risposta comunicata o notificata dall’Ufficio non mette al riparo il contribuente da successivi “ripensamenti” dell’Amministrazione finanziaria. Già nella disciplina precedente alla riforma era previsto che L’Ufficio potesse notificare una successiva risposta diversa da quella fornita in precedenza (art. 5 co. 3 del DM n. 209/2001), con recupero delle imposte eventualmente dovute e dei relativi interessi, a condizione che il contribuente:
- non abbia ancora posto in essere il comportamento specifico prospettato;
ovvero
- non abbia ancora dato attuazione alla norma oggetto di interpello.
Non sono irrogate sanzioni.
La formazione del silenzio-assenso - decorso il termine dei 90 giorni - non attribuisce certezza all’interpretazione o al comportamento prospettato dal contribuente in sede di istanza. L’Ufficio può, infatti, fornire risposta all’interpello anche oltre il termine dei 90 giorni. In tal caso, vale quanto sopra esposto con riferimento alla rettifica della prima risposta fornita dall’Ufficio.
3) Interpello probatorio
Il contribuente può presentare istanza richiedendo un parere in relazione alla sussistenza delle condizioni ed alla valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti per l’accesso a specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 11 co. 1 lett. b), L. n. 212/2000).
In sintesi tale interpello ha un campo applicativo molto ampio, ricomprendendo numerosi casi, tra loro anche molto eterogenei, peraltro in passato caratterizzate dall’obbligatorietà, caratteristica che ora viene meno.
Si tratta di una figura di interpello facoltativo (come tutti gli altri ad eccezione di quello disapplicativo).
L’unica differenza nella disciplina rispetto a quello ordinario sta nella tempistica della risposta dell’Amministrazione: quest’ultima ha, infatti, 120 giorni di tempo per rispondere, anziché 90.
Il DLGS n. 156/2015 ha eliminato molte figure di interpello obbligatorio: si è voluto in tal modo evitare un eccessivo aggravio degli obblighi ed adempimenti del contribuente. Conseguentemente molti casi di interpello obbligatorio sono stati di fatto “trasformati” in ipotesi di interpello facoltativo, in particolare nella forma di quello probatorio (art. 7 DLGS n. 156/2015).
Di seguito una elencazione non esaustiva delle forma di interpello probatorio previste:
- società di comodo (art. 30 L. n. 724/94): istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative”. Il contribuente che non ha presentato interpello ovvero, avendolo presentato, non ha ricevuto risposta positiva, deve dare indicazione in dichiarazione dei redditi dell’esistenza delle condizioni esimenti (art. 30 co. 4-quater L. 724/94 introdotto dal co. 12, lett. c) dell’art. 7 DLGS n. 156/2015);
- permanenza nel regime del consolidato nazionale (art. 124 DPR n. 917/1986); istanze presentate in occasione dell’effettuazione di operazioni di riorganizzazione generalmente interruttive del medesimo (ad esempio fusione con enti non appartenenti al consolidato), al fine di verificare che anche dopo le stesse sussistono ancora i requisiti ai fini dell’accesso al regime (art. 117 DPR n. 917/1986). La società o l’ente controllante che intende continuare ad avvalersi della tassazione di gruppo ma non ha presentato la relativa istanza di interpello probatorio per i casi suindicati ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva, deve segnalare tale circostanza nella dichiarazione dei redditi (co. 5-bis dell’art. 124 DPR n. 917/1986, introdotto dal co. 2, lett. b) dell’art. 7 DLGS n. 156/2015);
- accesso al regime del consolidato mondiale (artt. 130 e ss. DPR n. 917/1986): istanze presentate per verificare la sussistenza dei requisiti per il legittimo esercizio dell’opzione. Anche in tal caso chi intende accedere a tale regime ma non ha presentato l’istanza di interpello ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva, deve segnalare detta circostanza nella dichiarazione dei redditi (co. 5 dell’art. 132 DPR 917/86, introdotto dal co. 3 lett. c) dell’art. 7 DLGS n. 156/2015);
- applicazione del regime delle imprese estere controllate: istanze presentate per dimostrare l’esistenza delle condizioni previste per le CFC (art. 167 DPR n. 917/1986). In caso di mancata presentazione dell’interpello ovvero di ricezione di una risposta negativa allo stesso, la mancata segnalazione in dichiarazione dei redditi di partecipazioni in società residenti in Stati con regime fiscale privilegiato comporta l’applicazione di una sanzione;
- applicazione del regime di aiuto alla crescita economica (art. 1 DL n. 201/2011): istanze presentate per dimostrare che le operazioni effettuate non comportano duplicazioni del beneficio concesso. Il contribuente che intende fruire del beneficio ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva, deve separatamente indicare nella dichiarazione dei redditi gli elementi conoscitivi indicati con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entra (co. 8 dell’art. 1 DL n. 201/2011, introdotto dal co. 13 dell’art. 7 DLGS n. 156/2015);
- partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari (art. 113 DPR n. 917/1986): istanze presentate dagli enti creditizi per verificare la sussistenza delle condizioni per la non applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze (art. 87 DPR n. 917/1986) alle partecipazioni acquisite nell’ambito di interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria, nel rispetto delle diposizioni in materia di vigilanza bancaria. Da evidenziare che l’ente creditizio che non intende applicare il regime di esenzione delle plusvalenze ma non ha presentato l’istanza di interpello suindicata, ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva, deve segnalare nella dichiarazione dei redditi gli elementi conoscitivi essenziali da individuare con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (co. 6 dell’art. 113 DPR n. 917/1986, introdotto dal co. 1 dell’art. 7 DLGS n. 156/2015).
4) Interpello antiabuso
Il contribuente può presentare (art. 11 co. 1 lett. c), L. n. 212/2000) istanza richiedendo all’Amministrazione se determinate operazioni che intende realizzare configurino o meno un’ipotesi di abuso del diritto (art. 10-bis L. n. 212/2000): si tratta della figura di interpello che è andata a sostituire quello antielusivo, il quale è stato abrogato. In base al comma 5 di detto articolo è prevista la possibilità di proporre interpello antiabuso “per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”. Si rientra in tali casi quando viene posta in essere un’operazione priva di sostanza economica che, pur nel rispetto della legge, realizza fondamentalmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni, seppur formalmente legali, non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato (14) che le istanze presentate non potranno genericamente limitarsi a chiedere il parere dell’Amministrazione in ordine all’abusività o meno di un’operazione o di una fattispecie, ma dovranno contenere nel dettaglio:
- gli elementi qualificanti l’operazione o le operazioni;
- il settore impositivo rispetto al quale l’operazione pone il dubbio applicativo;
- le puntuali norme di riferimento, comprese quelle passibili di una contestazione in termini di abuso del diritto con riferimento all’operazione rappresentata;
- le valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.
Anche in tal caso si tratta di una figura di interpello facoltativo e il termine per la risposta dell’Amministrazione è di 120 giorni.
A differenza degli altri tipi di interpello, in via transitoria fino al 31.12.2017, le relative istanze devono essere presentate direttamente alla Direzione centrale Normativa. (15)
5) Interpello disapplicativo
Il contribuente può presentare interpello per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi (art. 11 co. 2 L. 212/2000).
Si tratta dell’unico caso di interpello obbligatorio.
Il termine per la risposta all’interpello disapplicativo è di 120 giorni, ma alcuni effetti della risposta sono diversi rispetto alle altre categorie di interpello. Innanzitutto nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole dall’Amministrazione, il contribuente ha comunque la possibilità di dimostrare che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi non possono verificarsi anche nelle successive fasi dell’accertamento, sia in sede amministrativa che contenziosa. Inoltre, a differenza di tutti gli altri casi di interpello, le risposte a quello disapplicativo sono impugnabili, potendosi avverso le stesse proporre ricorso, anche se solo unitamente all’atto impositivo (art. 6 co. 1 DLgs. 156/2015). Tuttavia il ricorso al giudice tributario non può essere immediato, dovendosi attendere il successivo atto impositivo dell’Ufficio (16). A mitigare questa limitazione nella tutela del contribuente, sono stati previsti alcuni specifici obblighi per l’Amministrazione che voglia emettere un avviso di accertamento (art. 6 co. 2 DLGS n. 156/2015): se è stata fornita risposta negativa all’interpello disapplicativo, il successivo atto impositivo avente ad oggetto:
- deduzioni;
- detrazioni;
- crediti d’imposta;
- altre posizioni soggettive del contribuente,
deve essere preceduto, a pena di nullità, dalla notifica di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di 60 giorni.
Detta richiesta viene notificata dall’Amministrazione entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti, ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere, e quella di decadenza dell’Amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo, devono intercorrere almeno sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo viene automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.
Altro obbligo in capo all’Amministrazione finanziaria riguarda la motivazione dell’accertamento: quest’ultimo deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente.
Ultima caratteristica di tale tipologia di interpello riguarda l’espressa previsione di una sanzione nei casi di sua mancata presentazione (art. 11 co. 7-ter DLGS n. 471/1997, inserito dall’art. 15 co. 1 lett. m) n. 6 del DLGS n. 158/2015) atteso il carattere obbligatorio dell’interpello in questione. Tale sanzione va da Euro 2.000,00 a Euro 21.000,00, ma viene raddoppiata qualora l’Amministrazione disconosca la disapplicazione delle norme aventi ad oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.
Tale forma di interpello dovrà essere presentato in relazione a qualsiasi disposizione che a fini antielusivi ponga dei limiti all’utilizzo di deduzioni, detrazioni, crediti di imposta ed altre situazioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario.
A titolo meramente esemplificativo rientrano in questa tipologia di interpello:
- quella prevista nell’art. 84, comma 3, ultimo periodo del TUIR, che prevede la presentazione dell’istanza di interpello per la disapplicazione della norma in base alla quale non è consentito il riporto delle perdite fiscali negli esercizi successivi nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni del soggetto che titolare delle perdite venga trasferita e venga modificata l’attività principale esercitata nei periodi di imposta in cui le perdite sono state realizzate;
- quella dell’art. 172, comma 7 del TUIR, che dispone la presentazione dell’istanza per la disapplicazione della parte del comma citato che prevede limitazioni al riporto delle perdite fiscali ante fusione e test di vitalità per le società coinvolte nella fusione che hanno maturato le suddette perdite fiscali in periodi precedenti.
Questa forma di interpello, obbligatoria in quanto non dettata dall’esigenza di fornire al contribuente uno strumento di interpretazione “autentica” della norma, quanto piuttosto introdotta a presidio di fattispecie considerate a rischio dal legislatore fiscale, ha subìto, nel corso del 2016, delle importanti limitazioni in termini di ambiti applicativi.
Infatti, a decorrere dal periodo di imposta 2016:
- a seguito del decreto internazionalizzazione, l’interpello per la disapplicazione della disciplina delle CFC, di cui all’art. 167, comma 8-ter del TUIR, da obbligatorio è divenuto facoltativo;
- analogamente, anche l’interpello disapplicativo delle società di comodo, di cui all’art. 30, comma 4-quater della L. n. 724/1994, non è più obbligatorio ai fini della disapplicazione della disciplina per le società di comodo, dovendo il contribuente darne notizia in sede di dichiarazione dei redditi nel caso di mancata presentazione ovvero di risposta negativa da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La consulenza giuridica
Questo strumento non è stato toccato dalla riforma. L’Agenzia delle Entrate ha fornito le istruzioni per la presentazione delle richieste di consulenza giuridica da parte dei contribuenti e per la relativa trattazione da parte degli Uffici (17). E’ stato precisato che la consulenza giuridica rientra tra gli strumenti di supporto per il contribuente, insieme all’attività di informazione, all’attività di assistenza e a all’interpello. A differenza di quest’ultimo, la consulenza giuridica riguarda l’attività interpretativa finalizzata al corretto trattamento fiscale di fattispecie di rilevanza generale, non immediatamente riferibili ad una fattispecie concreta imputabile ad uno specifico soggetto. Essa si svolge al di fuori di una disciplina normativa tipica, come invece avviene con riferimento alle varie tipologie di interpello, per le quali, il legislatore ha dettato una disciplina puntuale sia sotto il profilo degli effetti sia sotto il profilo del procedimento.
Essa continua ad esplicarsi in tutte le ipotesi non riconducibili nei presupposti dell’art. 11 dello Statuto del contribuente (18), in particolare quella richiesta da associazioni sindacali e di categoria, ordini professionali, enti pubblici o privati che esprimono interessi non personali ma di rilevanza generale.
Soggetti legittimati
Infatti le istanze possono essere presentate:
- dagli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, inclusa Equitalia (consulenza interna);
- dalle Associazioni sindacali e di categoria e dagli Ordini professionali (consulenza esterna);
- da Amministrazioni dello Stato, da enti pubblici, da enti pubblici territoriali e assimilati e da altri enti istituzionali operanti con finalità di interesse pubblico (consulenza esterna).
Organi competenti
Il primo livello di trattazione delle richieste è attribuito alle Direzioni Regionali; il secondo alla Direzione Centrale Normativa.
La Direzione Centrale Normativa risponde esclusivamente ai quesiti inoltrati:
- dalle Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate e dalle strutture centrali dell’Amministrazione finanziaria;
- dalle rappresentanze nazionali delle Associazioni sindacali e di categoria e degli Ordini professionali;
- dalle Amministrazioni centrali dello Stato, dagli enti pubblici e assimilati aventi rilevanza nazionale e da altri enti istituzionali operanti con finalità di interesse pubblico.
Entro 40 giorni dalla data di ricezione devono essere trasmessi alla Direzione Centrale Normativa i quesiti che:
- presentano particolare complessità;
- sono riferiti a norme sulle quali l’Agenzia non si è ancora pronunciata;
- incidono su chiarimenti forniti in precedenti atti di prassi;
- presuppongono la soluzione di questioni relative ad interessi diffusi su tutto il territorio nazionale.
I quesiti trasmessi devono essere corredati da un parere motivato sottoscritto dal Direttore regionale in cui viene prospettata la soluzione interpretativa ritenuta corretta.
Modalità di presentazione delle istanze e trattazione
La richiesta di consulenza giuridica, redatta in carta libera e non soggetta al pagamento dell’imposta di bollo, può essere presentata mediante consegna a mano o spedizione in plico raccomandato con avviso di ricevimento e deve contenere:
- la qualificazione del tipo di istanza (“consulenza giuridica”);
- i dati identificativi del soggetto istante, con la sottoscrizione del rappresentante legale o del suo delegato e l’indicazione del domicilio fiscale, del codice fiscale o della partita IVA;
- l’indirizzo presso il quale si desidera ricevere le comunicazioni dell’Agenzia, l’indirizzo di posta elettronica, il numero di telefono e di fax.
Le richieste di consulenze esterne devono inoltre contenere:
- una descrizione chiara ed esaustiva della questione;
- ogni elemento rilevante ai fini dell’inquadramento e della definizione della questione stessa;
- la soluzione ritenuta corretta con riferimento alla situazione esposta.
Avendo carattere generale, non verrà fornita risposta a richieste volte al riesame di atti in precedenza emessi dall’Amministrazione finanziaria; la trattazione del quesito non è inibita anche in caso di emanazione di atti di accertamento o di attività di controllo in corso, qualora sussista l’interesse dell’istante a conoscere il parere dell’Amministrazione al fine di orientare il futuro comportamento dei propri associati o rappresentati. Nei confronti del responsabile del relativo procedimento, la richiesta di parere non sospende l’azione di controllo, non sposta le competenze e non giustifica il mancato rispetto dei termini di decadenza.
Tempi
Le strutture interpellate si impegnano a rispondere “entro un termine normalmente non superiore a 120 giorni dalla data di ricezione della richiesta”, ferma restando la possibilità di richiedere ulteriore documentazione ad integrazione dell’istanza (circ. 42/E/2011).
Effetti della risposta
Le risposte fornite non sono vincolanti: il richiedente è libero di non attenersi alla soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate. Nei confronti dei contribuenti che si adeguano al parere reso in risposta alla consulenza giuridica non sono irrogabili sanzioni, né richiesti interessi moratori.
GLI STRUMENTI DI “DIALOGO” CON L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
TIPOLOGIA |
NATURA |
OGGETTO |
TEMPI DI RISPOSTA |
EFFETTI DELLA RISPOTA |
RIMEDI |
Interpello ordinario |
Facoltativo |
Obiettive condizioni di incertezza su norme tributarie (primarie e secondarie) e qualificazione fattispecie |
90 gg. |
Vincola solo il richiedente L’Amministrazione la può rettificare |
Risposta non impugnabile
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Interpello probatorio |
Facoltativo |
Valutazione elementi di accesso a regimi fiscali speciali |
120 gg. |
Vincola solo il richiedente L’Amministrazione la può rettificare |
Risposta non impugnabile
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Interpello antiabuso |
Facoltativo |
Verifica circa l’applicabilità dell’abuso del diritto alle fattispecie presentate dal contribuente |
120 gg. |
Vincola solo il richiedente L’Amministrazione la può rettificare |
Risposta non impugnabile
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Interpello disapplicativo |
Obbligatorio |
Richiesta di disapplicazione di norme tributarie che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto |
120 gg. |
Vincola solo il richiedente L’Amministrazione la può rettificare Sanzione in caso di mancata presentazione |
Risposta impugnabile insieme all’atto impositivo
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Consulenza giuridica |
Facoltativa |
Interpretazione di fattispecie di rilevanza generale (promossa da associazioni ed enti) |
120 gg. |
Risposta non vincolante
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Risposta non impugnabile
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(1) Esse ricorrono “ricorrono in presenza di previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato della norma. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie, spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori. La previsione va estesa ovviamente anche alle disposizioni normative di non recente emanazione, qualora ricorrano i presupposti appena richiamati” (circ. Agenzia delle Entrate 31.5.2001 n. 50 - § 2.3).
(2) Cfr. C. Ag. Del Territorio 7.8.2001, n. 7
(3) Cfr. Circ. Ag delle Dogane 19.6.2001, n. 25.
(4) Cfr. CM 31.5.2001, n. 50.
(5) Cfr Dipartimento politiche fiscali – Ufficio federalismo fiscale 29.1.2002, n. 1/DPF.
(6) Cfr. CM 6.7.2012, n. 63.
(7) Cfr. CM 1.4.2016, n. 9/E.
(8) Cfr. Provv. Agenzia Entrate 4.1.2016, n. 27
[9] Cfr. Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Determinazione Direttoriale prot. n. 10539/R.U. del 28.1.2016.
(10) Cfr. CM 14.6.2010, n. 32- § 5.
(11) Cfr. CM 14.6.2010, n. 32- § 5.1
(12) Cfr. CM 3.3.2009, n. 7-§ 4.
(13) Cfr. CM 3.3.2009, n. 7-§ 2.2
(14) Cfr. CM 1.4.2016, n. 9/E.
(15) Cfr. Provv. Agenzia delle Entrate n. 27 del 4.1.2016.
(16) L’Agenzia delle Entrate, nella CM 1.4.2016 n. 9/E, ha precisato che l’impugnazione della risposta congiuntamente all’atto impositivo “si giustifica prevalentemente in ragione del timore che per le istanze di disapplicazione il contribuente che avesse correttamente atteso la notifica dell’atto impositivo per proporre ricorso sarebbe potuto incorrere in preclusioni di ordine processuale in ordine ai vizi contestabili (ai sensi, in particolare, dell’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546). La regola dettata dal decreto, infatti, nel confermare che il solo atto suscettibile di impugnazione è l’atto impositivo, elimina del tutto il rischio che, in sede di giudizio instaurato avverso quest’ultimo, il contribuente non possa contestare eventuali vizi della risposta all’interpello, sempre nel presupposto che questi abbiano influenzato la legittimità dell’atto impositivo”.
(17) Cfr. C.M. 5.8.2011, n. 42.
(18) Cfr. C.M. 31.5.2001, n. 50, par. 11 e C.M. 18.5.2000, n. 99/E.