Presentazione
La qualità dei contenuti de Il Sole24 ORE insieme all’esperienza di BigMat - il più grande Gruppo europeo di Punti Vendita di materiali per costruire e ristrutturare - sono gli elementi che hanno portato alla creazione de “L’osservatorio sull’edilizia” che oggi siamo lieti di proporLe. Uno strumento periodico di aggiornamento e informazione che seleziona per Lei articoli della redazione dedicati al mondo dell’ edilizia, con particolare attenzione agli aspetti normativi e agli aggiornamenti utili per lo svolgimento della Sua professione.
Un altro anno per il recupero edilizio
L’articolo 2 del Ddl di bilancio 2017 dispone la proroga fino al 31 dicembre 2017 della detrazione Irpef nella misura del 50% con il tetto massimo di spesa di Euro 96.000 per ogni immobile per gli interventi di recupero edilizio dell’articolo 16-bis comma 1 del Tuir. La proroga in oggetto ha scongiurato la possibilità di far scendere l’aliquota della detrazione al 36% con il massimale di 48.000 Euro così come previsto dalla normativa a regime. Si ricorda che lo sconto sui applica aii lavori di:
- manutenzione ordinaria (limitatamente alle parti comuni degli edifici residenziali), straordinaria , restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione ediliziasu singole unità immobiliari residenziali di qualsiai categoria catastale.
- realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali (relativamente alle sole spese di costruzione);
- eliminazione delle barriere architettoniche;
- misure antifurto e anti intrusione;
- cablatura degli edifici e contenimento dell’inquinamento acustico;
- opere per il raggiungimento di risparmi energetici non «qualificato»;
- finalità antisismiche;
- bonifica dall’amianto;
- opere volte ad evitare gli infortuni domestici.
La normativa si applica anche al 25% delle spese sostenute per l’acquisto o l’assegnazione di immobili in edifici interamente sottoposti ad interventi di restauro o risanamento conservativo eseguiti da imprese o coop edilizie di rcostruzione o ristrutturazione.
Informativa puntuale all’amministratore per le ristrutturazioni
Marco Panzarella e Silvio Rezzonico
Da “Opere sulle parti dell’edificio di proprietà comune” a “Opere su parti di proprietà o uso individuale”. Un cambiamento sostanziale, a partire dalla rubrica, è stato apportato all’articolo 1122 del Codice civile dalla legge di riforma del condominio, n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013.
Nella nuova formulazione, l’articolo sembra affrontare con maggiore decisione la delicata questione dei lavori eseguiti dal singolo condomino all’interno della sua proprietà o sulle parti comuni che ha in uso esclusivo, estendendo la propria efficacia, oltre che alle parti di proprietà esclusive, anche a quelle «normalmente destinate all’uso comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale».
La notizia «preventiva»
Secondo il Codice civile, «...il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso, è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
Prima di entrare nel cuore della questione, è opportuno precisare che, in presenza di un regolamento contrattuale condominiale, valgono sempre le regole riportate in tale ultimo documento. Questo significa che se il testo vieta, ad esempio, le tende da sole sul balcone, l’unico modo per procedere con l’intervento è che tutti i condòmini si esprimano favorevolmente in assemblea o fuori dall’assemblea.
Detto ciò, in assenza di un regolamento contrattuale, o se lo stesso non pone specifici divieti, nel rispetto dei limiti ex articolo 1122 del Codice civile, il condomino è libero di eseguire le opere senza passare dall’assemblea, ma è tenuto a informare l’amministratore, che a sua volta riferirà agli altri condòmini. Quest’ultimo passaggio introdotto dal legislatore non è ben definito e lascia spazio a diverse interpretazioni. A creare confusione è soprattutto l’incipit dell’ultimo capoverso della norma, “in ogni caso”, che non chiarisce in quali situazioni sia davvero necessario avvisare l’amministratore. Applicando il buon senso, la comunicazione dovrebbe ritenersi superflua per gli interventi nelle proprietà esclusive che non rechino danno alle parti comuni e alle proprietà individuali di ciascun condomino. Ma la definizione di “danno”, soprattutto se riferita al decoro architettonico, non è univoca e quindi, per evitare problemi, è preferibile avvisare “in ogni caso” l’amministratore.
Altrettanto complicato è valutare cosa si intenda per “preventiva notizia”. Una semplice comunicazione orale o un rapporto dettagliato e comprensivo di documentazione? Anche qui la norma è carente e ci si deve affidare al buon senso. Così, se l’intervento implica un mutamento delle parti comuni, ad esempio l’apertura di un vano finestra, è consigliabile fornire all’amministratore più dati possibili, affinché possa riferire all’assemblea in maniera esaustiva. In tal modo, a lavori conclusi, si riducono le possibilità che un qualsiasi condomino possa ritenere l’opera inappropriata o pregiudizievole. La questione finirebbe dinanzi al giudice e questi potrebbe dar ragione al condomino dissenziente, obbligando chi ha eseguito l’intervento a ripristinare la situazione precedente, con un grave danno economico.
La trasformazione
Un caso controverso, che si può prendere a esempio, è quello della trasformazione del balcone in veranda. L’intervento, che consiste nel chiudere il volume compreso tra il piano di calpestio del balcone e la cornice sovrastante, è stato più volte ritenuto non lesivo del decoro dello stabile, non rappresentando una rilevante alterazione delle linee e dei volumi della facciata e delle sue caratteristiche architettoniche (Tribunale Milano 2 maggio 2002, n. 5203, e Cassazione 17 maggio 2001, n. 5365). La realizzazione della veranda rientra, fra l’altro, nei casi ipotizzati dall’articolo 1102 del Codice civile, secondo cui «...ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa».
Il vero ostacolo all’esecuzione dell’intervento riguarda spesso l’alterazione del decoro architettonico, che si configurerebbe qualora la veranda fosse realizzata in uno stile dissimile a quello dell’edificio. Anche in questo caso è preferibile, per chi esegue l’intervento, informare dettagliatamente l’amministratore.
Inoltre – anche se non è necessario ai fini della realizzazione dell’opera – per scongiurare problemi futuri, il condomino può chiedere all’amministratore di sottoporre la questione all’assemblea. Quest’ultima - salvo quanto disposto dall’articolo 1120, ultimo comma, del Codice civile, dettato in tema di innovazioni vietate - con la maggioranza ordinaria lo metterebbe al sicuro da eventuali ripensamenti di chi ha votato a favore. Resta il fatto che la trasformazione dev’essere compatibile con la normativa edilizia vigente nel Comune.
Un ultimo aspetto riguarda le responsabilità dell’amministratore, che, una volta ricevuta la comunicazione dal condomino, deve riferire in assemblea. Qualora ciò non avvenga, se l’intervento lede i diritti dei condòmini sulle parti comuni o sulle proprietà individuali di ciascun proprietario, è possibile addebitargli una grave irregolarità (a norma dell’articolo 1129 del Codice civile) e, comunque, una responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi di mandato.
In attesa della Scia unica titoli edilizi su sei livelli
Raffaele Lungarella
Anche per la segnalazione certificata di inizio attività (Scia) tutte le imprese e i cittadini degli oltre 8mila Comuni italiani potranno presentare gli stessi moduli e allegare la stessa documentazione. Indubbiamente una semplificazione, che però diventerà operativa solo con il varo del decreto di adozione dei moduli standard da parte del ministero della Semplificazione, in attuazione del Dlgs 126 del 30 giugno 2016, (il cosiddetto decreto “Scia1”).
Nel frattempo. entro il 1° gennaio 2017, i Comuni e le altre amministrazioni devono attrezzarsi per il rilascio di una ricevuta (anche telematica) contestuale alla presentazione della Scia (o di un’altra istanza). E la data di protocollazione deve coincidere con quella di rilascio della ricevuta (e di presentazione dell’istanza).
Il decreto Scia1
L’articolo 5 della legge 124/2015, sulla riorganizzazione della Pa delegava il Governo a individuare con precisione le attività private per le quali è sufficiente la Scia oppure opera il silenzio assenso, quelle che richiedono un’autorizzazione e la disciplina generale applicabile ai procedimenti delle attività assoggettate a Scia.
Una volta che tutti i decreti legislativi saranno emanati, tutte le attività per le quali non è indicato il procedimento da seguire potranno essere svolte liberamente .
Per ora, il Dlgs 126 definisce gli adempimenti che la Pa deve mettere in campo per facilitare i cittadini e le imprese che devono presentare una Scia (nei diversi settori), dando loro certezze sulla documentazione da allegare e sulle eventuali altre informazioni che possono essere richieste.
I moduli standard
In attuazione del Dlgs 126/2016, il ministero per la Semplificazione e quello competente per materia dovrà ora emanare il decreto con i moduli standard che dovranno essere adottati in ogni Comune, dal Brennero a Pantelleria. Prima dell’approvazione, il decreto verrà sottoposto al vaglio della conferenza unificata.
Quando il Dm sarà operativo, i Comuni dovranno pubblicare sui loro siti i moduli standard da utilizzare per presentare agli uffici comunali e regionali segnalazioni, comunicazioni o istanze relative alla realizzazione di interventi edilizi e all’avvio di attività produttive. In caso di inadempienza è previsto l’intervento sostitutivo delle Regioni o, in ultima istanza, dello Stato.
La situazione attuale
In attesa della definizione e del varo dei moduli standard, gli operatori devono confrontarsi con un quadro composito e articolato su sei “livelli” (si veda il grafico).
I Comuni dovranno pubblicare sui propri siti l’elenco della documentazione da allegare alla segnalazione, specificando, però, la norma che ne giustifica la richiesta.
Una volta che sul sito è stato pubblicato il modulo da compilare e la lista di documenti, il Comune non potrà più chiedere altri documenti, ma solo integrazioni se quelli presentati sono incompleti.
Se chiede informazioni e documenti diversi da quelli pubblicati sul sito, il funzionario responsabile del procedimento può essere accusato di illecito disciplinare e rischia la sospensione dal servizio e dallo stipendio da tre giorni a sei mesi. Non possono essere richiesti documenti già in possesso di un’amministrazione pubblica.
Il responsabile del procedimento deve anche stare attento a non fare decorrere il termine per interrompere i lavori nel caso in cui dall’esame della pratica risultino eseguiti in difformità dalle norme vigenti.
La protocollazione
Per accrescere la trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione e per dare ai privati e alle imprese certezza sulla tempistica, è stato introdotto un nuovo articolo 18-bis della legge 241/1990 sull’ordinamento degli enti locali. La data della protocollazione di una Scia o un’altra istanza deve essere quella nella quale viene presentata, anche se nell’immediato l’amministrazione interessata può rilasciare solo una ricevuta (anche per via telematica). Ma già quell’attestato deve indicare i tempi entro cui l’amministrazione deve, se tenuta, rispondere, o entro cui scatta il silenzio assenso e l’istanza può ritenersi accettata.
Approvato in conferenza unificata lo schema di regolamento edilizio unico nazionale che dovrà adottarsi entro un anno
Dopo l’accordo avvenuto in Conferenza unificata fra Governo, Regioni, Province autonome ed Enti locali, il Regolamento Edilizio “Unico” dovrebbe attuarsi in tempi molto brevi, avviando una massiccia semplificazione della normativa di settore. A tutt’oggi il Regolamento Edilizio varia per ciascuna Regione e gli stessi Comuni adottano strumenti spesso in difformità con quello regionale (differenze sono riscontrabili spesso anche nei regolamenti di Comuni limitrofi fra loro).
Con l’approvazione del nuovo schema di Regolamento unico, si vuole adottare uno strumento che possa rivelarsi quanto mai uniforme nella sua applicazione su tutto il territorio nazionale, nonché semplificare le procedure senza discordanze fra Comuni, Regioni e leggi nazionali. Il nuovo schema, contiene:
- regolamento edilizio tipo;
- quadro delle definizioni uniformi, 42 in totale (Allegato A);
- ricognizione delle disposizioni incidenti sugli usi e le trasformazioni del territorio e sull’attività edilizia (Allegato B).
Vediamo le singole voci partendo dallo “schema di regolamento edilizio tipo”, che stabilisce i principi e i criteri generali per semplificare e uniformare i regolamenti edilizi comunali, e che si suddivide in due parti:
- “Principi generali e disciplina generale dell’attività edilizia” (Parte 1): si richiama la disciplina generale che dovrà essere unica su tutto il territorio nazionale (parametri urbanistici ed edilizi, definizione degli interventi edilizi e delle destinazioni d’uso, procedure inerenti i titoli abilitativi, modulistica unificata (con relativi elaborati da allegare), i requisiti generali delle opere edilizie (limiti di altezza, densità e distanze tra edifici), limiti per edifici sotto vincolo);
- “Disposizioni regolamentari comunali in materia edilizia” (Parte 2): qui è raccolta tutta la disciplina di competenza comunale relativa all’organizzazione e alle procedure interne dell’ente, alla qualità, alla sicurezza, alla sostenibilità delle opere edilizie, dei cantieri e dell’ambiente urbano e che dovrà allinearsi allo schema generale valido su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, è specificato che i Comuni possono individuare autonomamente requisiti tecnici integrativi e complementari allo schema nazionale, anche attraverso ulteriori specificazioni e dettagli.
L’Allegato A contiene le 42 definizioni standardizzate che vogliono finalmente ripulire il campo da discordanze applicative e interpretative che spesso si riscontrano fra Comuni, Regioni e norma nazionale (vedi ad esempio, SU superficie utile, SL superficie lorda, SA superficie accessoria, ecc.). tuttavia, anche queste definizioni potranno essere modificate in via transitoria dalle Regioni se avranno incidenza sulle previsioni dimensionali.
L’Allegato B contiene invece 118 norme statali che incindono sulle trasformazioni del territorio e sull’attività edilizia e dunque saranno quelle di riferimento per ogni regolamento edilizio comunale; queste si dividono in varie sezioni:
- sez. A: disciplina dei titoli abilitativi, esecuzione lavori, certificato di conformità edilizia e di agibilità:
- sez. B: requisiti e presupposti della legislazione urbanistica inerenti l’attività edilizia;
- sez. C: vincoli e tutele (dai beni culturali, a quelli paesaggistici, ai vincoli idrogeologici, idraulici, aree e parchi naturali);
- sez. D: la normativa tecnica (requisiti igienico-sanitari, sicurezza statica e antisismica, barriere architettoniche, impiantistica, consumo energetico, acustica, antincendio, ecc.);
- sez. E: requisiti tecnici e prescrizioni per alcuni insediamenti o impianti.
In base a quanto stabilito nell’art. 1 (Adozione del regolamento edilizio tipo), le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, possono adottare le finalità previste dallo schema approvato, compatibilmente con i rispettivi Statuti e le relative norme di attuazione. Per le altre regioni, invece, il termine per recepire il nuovo regolamento è di sei mesi, e altri sei mesi sono fissati poi per i Comuni che dovranno adottare il recepimento regionale.
Comunque va detto che il Regolamento non sarà propriamente unico per tutto il territorio nazionale, in quanto è data facoltà alle Regioni di aggiungere alcune norme nel campo dell’edilizia, come anche gli stessi Enti locali potranno integrare lo schema di regolamento relativamente all’efficienza energetica o ai materiali eco-compatibili. Stesso discorso per i Comuni, i quali oltre a dover recepire le eventuali integrazioni apportate dalla Regione di appartenenza, possono anch’essi prevedere requisiti tecnici integrativi.
Il cambio di destinazione d'uso senza i permessi è un reato
Si ha cambio di destinazione d'uso - rilevante a fini urbanistico/amministrativi - anche in caso di realizzazione di opere interne e di predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia, all'interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”. Ed infatti, tale tipologia di intervento, fa ritenere la destinazione abitativa dell'immobile. Questo in sintesi, il contenuto della sentenza della Cassazione Penale 30 agosto 2016, numero 36563, che si è occupata di un sottotetto, posto in un condominio, risultato - nonostante la destinazione a “vuoto tecnico”, (cioè sostanzialmente a solaio) – suddiviso in più ambienti, compreso il bagno, (ricavato mediante collocazione di una parete in cartongesso); arredato; munito di radiatori per il riscaldamento; di prese di corrente per i punti luce e per la televisione, nonché di porta blindata e di videocitofono. In tale contesto, il proprietario del solaio è stato condannato a 10 giorni di reclusione, oltre ad Euro 5.600,00 di ammenda, per la trasformazione del solaio, senza preventiva richiesta di permesso di costruire.
Per l'articolo 44, comma 1, lettera b, del Decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001, (Testo Unico Edilizia), infatti, “salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:…l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 10328 a 103290 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione”.
A nulla è valsa la difesa del proprietario/imputato, che ha, tra l'altro, eccepito: 1) la mancata prova dell'utilizzo, (“certo, effettivo e concreto”), del solaio come unità abitativa; 2) la mancata prova che il proprietario fosse consapevole dell'esecuzione delle opere contestate, essendo l'alloggio detenuto dall'inquilino.
Senonchè, per l'articolo 23 ter, comma 1, del richiamato DPR 380/2001, “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorchè non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purchè tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”. Il successivo comma 2, dell'articolo 23 ter, precisa che la destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.
E, dunque, per la Cassazione, non poteva che applicarsi la consolidata giurisprudenza secondo cui, l'accertamento del mutamento di destinazione d'uso per difformità totale rispetto al titolo abilitativo, si verifica - nel caso di lavori in corso d'opera - sulla base dell'individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l'opera è destinata, (cioè abitativa/residenziale), e non invece coerenti con l'originaria destinazione (cioè solaio/vuoto tecnico).
In particolare, per la Suprema Corte, la modifica della destinazione d'uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne, così come esemplificativamente la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all'interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”, in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell'immobile. Si legge nella sentenza della Corte di Cassazione 36563 in commento: «…la sentenza di appello facendo buon governo dei principi che precedono - ha riconosciuto la fattispecie contestata proprio nell'immobile di proprietà del B., che - sottotetto in un condominio - era risultato suddiviso in più ambienti (compreso il bagno), giusta una parete in cartongesso, arredato, munito di radiatori, di prese per corrente, televisive e punti luce, nonchè di porta blindata e videocitofono. Elementi oggettivi…in forza dei quali la sentenza ha riconosciuto l'avvenuto mutamento della destinazione d'uso e, pertanto, la violazione dell'art. 44, lett. b) contestato; e senza che, pertanto, possa accedersi alla generica doglianza secondo cui non vi sarebbe prova di un “utilizzo certo, effettivo e concreto dell'immobile”, risultando invece questo…dagli esiti del sopralluogo della Polizia municipale… Ancora, la Corte di appello - nuovamente con argomento congruo e privo di qualsivoglia illogicità, quindi non censurabile - ha ricavato l'elemento soggettivo del reato dall'interesse che il ricorrente aveva ad intervenire sull'immobile nei termini suddetti, sì da aumentarne il valore commerciale; come confermato, peraltro, dalla ulteriore considerazione per cui il canone locatizio (250 Euro per 40 mq., come specificato nel gravame) sarebbe risultato eccessivo se riferito - come il contratto vorrebbe - ad un mero locale di servizio, non anche con riguardo ad un piccolo, ma completo appartamento».
Prezzi delle abitazioni: l'Istat stima -0,4% nel secondo trimestre, -1,4% su anno
Nel secondo trimestre 2016, sulla base delle stime preliminari, l'indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie, sia per fini abitativi sia per investimento, diminuisce dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell'1,4% nei confronti dello stesso periodo del 2015 (era -1,0% nel trimestre precedente).
Lo comunica l'Istat. La flessione è principalmente dovuta ai prezzi delle abitazioni nuove, la cui diminuzione su base annua si amplia (-2,3% da -0,5% del trimestre precedente), diventando per la prima volta, da quando sia le nuove sia le esistenti sono in calo, più ampia e quasi doppia di quella dei prezzi delle abitazioni esistenti (stabile a -1,2%). Il tasso di variazione acquisito dell'Ipab per il 2016 (la variazione media annua se nei successivi due trimestri i prezzi non variassero) rimane quindi negativo e pari -1,2% (era -0,9% nel trimestre precedente).
La lieve accentuazione del calo tendenziale dei prezzi delle abitazioni, segnala l'Istat, si manifesta contestualmente a una marcata crescita del numero di immobili residenziali compravenduti (+22,9% rispetto al secondo trimestre del 2015 secondo i dati diffusi dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle entrate). Su base congiunturale il ribasso dell'Ipab è dovuto alla diminuzione dei prezzi delle abitazioni nuove (-1,7%) mentre i prezzi di quelle esistenti sono stabili rispetto al trimestre precedente. In media, nel primo semestre del 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, i prezzi delle abitazioni diminuiscono dell'1,2%, sintesi di un calo dell'1,4% per quelle nuove (il cui peso sull'indice generale è poco più di un quinto) e dell'1,2% per quelle esistenti. Rispetto alla media del 2010, nel secondo trimestre 2016 i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 15,1% (-3,8% le abitazioni nuove, -19,9% le esistenti).
Il 2016 delle costruzioni: finora più ombre che luci
Avrebbe dovuto rappresentare l’anno della svolta, del grande rilancio dopo l’interminabile tunnel della crisi economica, ma le cose finora sono andate in modo diverso. Il 2016 delle costruzioni sta dimostrando plasticamente quanto fossero fragili i segnali di ripresa che si erano intravisti nell’ultimo biennio. La strada, dunque, è ancora lunga, come confermano i dati diffusi dall’Ance – l’Associazione di rappresentanza degli imprenditori edilizi – sull’andamento del comparto nei primi otto mesi di quest’anno.
Il primo elemento che balza agli occhi, da questo punto di vista, è il segno meno che torna a fare capolino a proposito dei bandi di gara di lavori pubblici, come noto fondamentali per le aziende operanti in questo settore. A differenza di quanto avvenuto nel biennio appena trascorso, questa prima parte del 2016, invece, fa registrare un arretramento sia sotto il profilo del numero delle gare bandite, sia per quanto riguarda il loro relativo valore. Da gennaio ad agosto, infatti, i bandi di gara pubblicati sono diminuiti del 8,6%, mentre l’importo medio del 14,5%. Una flessione da spiegare soprattutto in considerazione delle difficoltà – in parte preventivabili (ma non in questa misura) – derivanti dall’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti. Come osservatori ed esperti stanno mettendo in evidenza da mesi, il sistema sta faticando più del previsto ad adeguarsi alla nuova normativa. A sentirsi in particolar modo smarrite appaiono proprio le Pubbliche amministrazioni appaltanti, le quali di fronte ai problemi palesati dal nuovo Codice – e in attesa che prenda corpo definitivamente la disciplina d’attuazione – sembrano essersi rifugiate, almeno in parte, nell’inerzia. E la conseguenza è la paralisi in corso dallo scorso 19 aprile quando il nuovo Codice è entrato in vigore.
A questo riguardo colpisce che lo stallo riguardi non solo i lavori economicamente più rilevanti, ma anche quelli di piccole dimensioni. Esemplificativa in tal senso è la situazione con cui sono costretti a fare i conti i comuni – di regola veri e propri motori trainanti del settore – grazie ai cui bandi di gara trovano lavoro migliaia di piccole e piccolissime aziende e i rispettivi operai. Le difficoltà sono state confermate dalla stessa Anci – l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani – che ha indicato quali siano le previsioni contenute nel nuovo codice maggiormente lesive nei confronti delle amministrazioni comunali. A questo proposito si può citare l’abrogazione di un articolo del regolamento d’attuazione del vecchio Codice – il 105 – che consentiva l'esecuzione dei lavori di manutenzione a “prescindere dall'avvenuta redazione ed approvazione del progetto esecutivo”, ma ad esclusione degli interventi di manutenzione che prevedessero “il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere”. Questa previsione sta creando gravissimi problemi visto che oggi anche per i lavori di manutenzione è necessario preparare e approvare previamente il progetto esecutivo. Ciò nella pratica sta determinando due conseguenze: anzitutto il notevole allungamento dei tempi – che si sta verificando per tutti i comuni – e, in secondo luogo, una reale difficoltà tecnica per le realtà comunali più piccole, spesso prive al loro interno delle competenze necessarie a redigere un progetto esecutivo. Si pensi a tal proposito ai piccoli e piccolissimi comuni italiani, quelli con poche centinaia di abitanti e con strutture tecnico-amministrative ridotte all’osso: è chiaro come tali enti siano sprovvisti al loro interno di figure in grado di preparare i progetti esecutivi.
Sempre in tema di nuovo Codice degli appalti, ci sono comunque alcuni segnali positivi da cogliere, dai quali partire per iniziare a far funzionare davvero le nuove regole. Il riferimento è alle gare pubbliche di sola progettazione che, su base annuale, sono aumentate del 27,2%, mentre la crescita – se si considera i soli mesi estivi – si attesta addirittura al 41%. Solo una piccola parte di quello che è il ben più vasto mercato delle costruzioni e delle opere pubbliche, ma pur sempre molto rilevante. In proposito il presidente dell’OICE (l’associazione che rappresenta le organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica) Gabriele Scicolone ha commentato: «La scelta compiuta con il nuovo codice dei contratti pubblici di puntare sull’obbligo di appaltare le opere con progetti esecutivi si sta rivelando giusta anche sotto il profilo dell’apertura di un mercato in precedenza compresso tra incentivi ai tecnici delle pubbliche amministrazione e liberalizzazione dell’appalto integrato. Ora bisognerà attendere qualche mese perché gli effetti si vedano anche sul fronte delle imprese di costruzioni». C’è, dunque, la speranza di “un contagio positivo” tra aree diverse dello stesso settore, anche se non è detto che vada in questo modo. In particolare, infatti, l’OICE sottolinea l’importanza di aver abbandonato l’appalto integrato, a sua volta però fortemente rimpianto dalle pubbliche amministrazioni che aggiudicano i lavori pubblici.
Ci sono poi anche altri indicatori che non permettono di sorridere, ma che al contrario devono spronare a fare di più affinché il mercato delle opere pubbliche e delle costruzioni possa rimettersi effettivamente in moto. Tra essi va certamente menzionato il dato relativo agli investimenti in costruzioni, anche frutto ovviamente dello stallo che ha colpito le Pubbliche amministrazioni: secondo le stime di Ance, nel 2016 aumenteranno solo dello 0,3% su base annua. Troppo poco per voltare pagina: sono gli investimenti, infatti, una delle leve principali sulle quali agire per far sì che il ciclo economico torni a far registrare numeri positivi.
In questo contesto anche i permessi a costruire rimangono al palo, anzi continuano a precipitare, anche se i dati pubblicati da Ance attengono al 2015, mentre ancora non si sa nulla sull’andamento del 2016. I numeri, comunque, non sono certamente positivi. Nel 2014, infatti, il numero di permessi SCIA (acronimo di segnalazione certificata di?inizio attività) e DIA (dichiarazione di inizio attività) ritirati per la costruzione di nuove abitazioni e per l’ampliamento di abitazioni esistenti è risultato pari a 53.791, registrando un ulteriore calo dell’11,8% su base annua. Per il 2015 l’Ance stima in 47.500 i permessi ritirati: in dieci anni un crollo che definire verticale è poco considerato che nel 2005 le abitazioni interessate furono oltre 305.706). Uno dei livelli più bassi mai raggiunti prima: anche nel 1936, infatti, le cose andarono meglio con circa 58.000 abitazioni progettate.
Inevitabile corollario di questa situazione le notizie non positive che arrivano dal fronte occupazione. Nel secondo trimestre del 2016 un ulteriore calo degli occupati: -4,9% rispetto allo stesso periodo del 2015.
A evidenziare tutte le difficoltà che l’edilizia sta vivendo anche e soprattutto dal punto di vista del lavoro è il paragone con altri comparti produttivi: ad esempio – sempre nei primi sei mesi di quest’anno – l’occupazione è aumentata del 6,5% nell’agricoltura, dello 0,9 nell’industria e del 2,7% nei servizi. I dati, peraltro, erano stati all’insegna della riduzione dei posti di lavoro anche nel primo trimestre del 2016 quando le costruzioni avevano subito una riduzione del 3,5%, a fronte di una crescita complessiva dell’intero sistema economico pari all’1,1%. Da osservare come – a livello territoriale – tutte le aree del Paese siano interessate da questo calo: il numero di occupati è diminuito dello 0,9% nel nord ovest, del 5,7 nel nord est, dell’11,1 al centro e del 4 nel mezzogiorno.
Fortunatamente, però non ci sono solo notizie negative all’orizzonte: nonostante i tanti indicatori in negativo, ce n’è infatti anche qualcuno che lascia ben sperare. La boccata d’ossigeno è arrivata dall’Agenzia delle entrate che ha confermato il trend positivo in corso nel mercato immobiliare, residenziale e non. Il secondo trimestre del 2016, infatti, ha visto consolidarsi le performance già incoraggianti del primo trimestre con un incremento rispetto allo stesso periodo del 2015 pari al 22,9% delle compravendite aventi ad oggetto immobili ad uso residenziale. Una performance da accogliere con ottimismo anche perché testimonia il cambio “di umore” generale di cui sono protagonisti gli italiani in questa fase. In sostanza, malgrado tutte le difficoltà e la crisi economica ancora non superata definitivamente, il segnale che la fiducia – così importante per ogni sistema economico – è tornata a crescere dopo gli anni bui della crisi. Tra le grandi città, il risultato migliore lo fa segnare Milano, con un aumento del 29,7% rispetto al secondo trimestre 2015. Seguono Bologna, Genova, Napoli, Torino, Firenze, Roma e, infine, Palermo con un pur buono + 12%. Peraltro, il momento positivo dell’immobiliare non riguarda solo il residenziale: nel secondo trimestre 2016 le transazioni aventi ad oggetto capannoni industriali sono cresciute del 28,7%, le compravendite nel settore terziario di quasi il 15% e quelle di immobili a uso commerciale di circa il 13%.