Osservatorio sull'edilizia - Presentazione

La qualità dei contenuti de Il Sole 24 ORE insieme all’esperienza di BigMat - il più grande Gruppo europeo di Punti Vendita di materiali per costruire e ristrutturare - sono gli ingredienti fondamentali che hanno portato alla realizzazione dell’"Osservatorio sull’edilizia” che oggi siamo lieti di proporle. Uno strumento periodico di aggiornamento e informazione con una selezione di notizie ed approfondimenti del Gruppo 24 ORE dedicati al mondo dell’edilizia, con particolare attenzione agli aspetti normativi e agli aggiornamenti utili per lo svolgimento della sua professione.

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Finestra sul cortile, le distanze non valgono

Paolo Accoti, Il Sole 24ORE - Estratto da "Norme e Tributi"

I cortili condominiali assolvono alla funzione di dare aria e luce all’immobile attiguo e sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, quindi possono essere utilizzati (articolo 1102 del Codice civile) a condizione che non ne venga alterata la destinazione e non si impedisca agli altri di farne pari uso secondo il loro diritto.
In tale facoltà rientra anche l’apertura di luci e vedute realizzate con lo scopo di ottenere l’aria e la luce proveniente dal cortile comune o, comunque, di affacciarsi sullo stesso, senza che tale facoltà possa subire le limitazioni poste dagli articolo 901 - 907 del Codice civile, dato che prevale la speciale disciplina dettata dall’articolo 1102 relativa alle cose comuni. Questo nuovo “approdo” giurisprudenziale supera l’orientamento precedente ed è stato espresso dalla II Sezione civile della Corte di cassazione nell’ordinanza 17002/2018. La vicenda inizia con un condomino che cita in giudizio i proprietari dell’appartamento contiguo per ottenere il ripristino dello stato dei luoghi, alterato in conseguenza delle opere edili da questi realizzate, consistite – tra le altre – nell’apertura di vedute, luci e balconi sulla corte comune senza, tuttavia, osservare le relative distanze. Ma la Cassazione ha ritenuto che, riconosciuto che il cortile condominiale o, comunque, comune, risulta fruibile dai singoli condòmini tenuti solo al rispetto dell’articolo 1102, «nell’ambito delle facoltà riconosciute rientra anche quella di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte dagli artt. 901-907 c.c. a garanzia della libertà dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, della riservatezza e sicurezza dei rispettivi titolari, considerato che tali modalità di fruizione del bene comune ordinariamente non comportano ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizi agli immobili di proprietà esclusiva». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Cassazione: quando le opere sono in "totale difformità"

Donato Palombella, Il Sole 24ORE - Estratto da "Tecnici24"

Chi frequenta il cantiere sa bene che non è difficile riscontrare delle difformità tra quanto assentito e quanto realizzato. La casistica è estremamente varia: si passa dalle piccole difformità dovute alla necessità di risolvere piccoli problemi costruttivi, ai casi più gravi, in cui il manufatto venga realizzato in maniera totalmente diversa da quanto autorizzato. In ogni caso è necessario stabilire quando le variazioni debbano essere considerate “essenziali” perché potrebbero scattare sanzioni amministrative e penali a carico del proprietario, della ditta costruttrice e, ovviamente, del direttore lavori.

Vengono contestate variazioni essenziali
Ad una società viene contestato di aver realizzato delle opere in totale difformità dai titoli abilitativi rilasciati e in contrasto con la disciplina urbanistica. Secondo l'accusa, quelli che avrebbero dovuto essere dei piani interrati, in realtà erano stati realizzati in modo tale da essere considerati come locali a piano terra. Che cosa è successo? In sostanza il “trucco” è semplice: una parere risultava realizzata totalmente fuori terra, mentre gli altri versanti erano stati interrati mediante riporto di terrapieni artificiali, sorretti da muri di contenimento. In parole povere, tramite la realizzazione dei terrapieni, si cercava di “contrabbandare” il piano terra come interrato. In tal modo il costruttore aveva realizzato, a conti fatti, un maggior numero di piani rispetto a quelli autorizzati e una maggior cubatura pari ad oltre 10.000 mc (che corrisponderebbero a circa 2.800 mq vendibili).

La SCIA maschera un sottotetto abitabile
Alla società viene contestato, inoltre, di aver realizzato abusivamente ulteriori otto unità abitative ricavate all'interno dei sottotetti. In questo caso la società aveva cercato di mascherare l'abuso presentando una SCIA "in sanatoria" con cui veniva comunicata la realizzazione di alcuni locali non abitabili nel sottotetto. Il guaio è che, nella realtà si trattava di vere e proprie unità abitative, tutte dotate di impianti tecnologici adatti ad assicurare il comfort abitativo. In questo caso non solo veniva contestata la realizzazione abusiva delle opere ma, fatto ben più grave, veniva contestata la falsa dichiarazione contenuta nella SCIA.

Il giudice rileva l'esistenza di varianti essenziali
Il giudizio si svolge sostanzialmente a senso unico. La Corte di appello, in particolare, da atto che gli edifici erano stati realizzati con caratteristiche plano-volumetriche differenti rispetto a quanto originariamente assentito; erano stati realizzati nuovi volumi ed i sottotetti erano stati trasformati in plurime unità abitative. La Sez. III pen. della Corte di Cassazione, con la sent. n. 23186 del 23 maggio 2018 conferma sostanzialmente in verdetto; con l'occasione i giudici romani precisano quando le opere eseguite debbano essere definite in “totale difformità” da quelle assentite.

Quando gli interventi sono in totale difformità
Ove venga contestata la difformità, il problema di fondo consiste nello stabilire se l'intervento sia stato realizzato in totale difformità da quello assentito. L'articolo 31, comma 1, del TU edilizia,  qualifica come interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire “quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.”

Le precisazioni della giurisprudenza
La giurisprudenza della Cassazione ha precisato che  l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare, sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi tanto alla costruzione di un corpo autonomo, quanto all'effettuazione di modifiche con opere, anche soltanto interne, tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico" (Cass., Sez. III, del 18 giugno 2014, n. 40541; Cass., Sez. III, 25 novembre 2008 n. 3593 - dep. 2009).
La difformità totale, poi, si verifica ove si costruisca "aliud pro alio" (ovvero un bene invece di un altro); l'ipotesi ricorre quando i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale. Nel caso di specie, i giudici dell'appello hanno preso in considerazione l'effettiva consistenza delle opere realizzate riscontrando la loro oggettiva difformità da quelle legittimamente autorizzate.

Vietato anche il cambio d'uso
La difformità totale può essere riscontrata, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto a quanto previsto in fase progettuale. Il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.

La prescrizione salva dalle manette
Come spesso accade in casi simili, il costruttore riesce a salvarsi (almeno parzialmente) in calcio d'angolo invocando l'intervenuta prescrizione del reato. La Cassazione condivide, anche in questo caso, il parere della Corte d'appello: la data di consumazione del reato urbanistico coincide con quella dell'esecuzione del sequestro. Ciò permette di far valere il decorso del termine quinquennale e l'intervenuta prescrizione del reato con conseguente revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna.
 

Il tardivo adempimento formale non fa perdere il diritto all’ecobonus

Massimo Romeo, Il Sole 24ORE - Estratto da "Quotidiano del Condominio"

Va comunque riconosciuto il beneficio fiscale per le spese di riqualificazione energetica qualora il contribuente invii tardivamente la prescritta documentazione all’Enea, in quanto non può esserne pregiudicata la detrazione dall’imposta dovuta laddove dimostri l’esecuzione dei lavori e il sostenimento delle relative spese. Questo il principio della sentenza 2181/2018 della Ctr Milano, depositata il 16 maggio, che dà continuità all’orientamento delle commissioni di merito milanesi, in tema di agevolazioni, circa la prevalenza della “ sostanza sulla forma”.

La questione controversa ruotava intorno al mancato riconoscimento delle spese di riqualificazione energetica da cui scaturiva l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta e l’emissione della cartella di pagamento oggetto d’impugnazione. Una pretesa fondata sul tardivo invio della documentazione all’Enea e sulla circostanza che l’agevolazione non spetta per gli interventi di ampliamento di edifici esistenti. Il contribuente contestava il carattere meramente ordinatorio del termine previsto dalla norma agevolativa per l’invio dei dati all’Enea nonché che gli interventi effettuati erano consistiti solo nell’installazione di quattro infissi, nella posa in opera del riscaldamento con caldaia a condensazione e nella posa di pannelli termici.

La Ctp di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente al mancato superamento del limite di detrazione complessivo per i tre immobili , respingendo le altre doglianze e ritenendo che il contribuente avesse disatteso il termine previsto per la trasmissione dei dati all’Enea e neppure regolarizzato la propria posizione mediante il ravvedimento operoso al fine di evitare che adempimenti formali , non eseguiti tempestivamente, precludano la possibilità di fruire dei benefici fiscali.

La Ctr accoglie integralmente la domanda del contribuente annullando in toto l’iscrizione a ruolo. Il focus dell’iter dei giudici d’appello si concentra sulla valutazione di due aspetti decisivi per la risoluzione della controversia: la decadenza dall’agevolazione per il tardivo invio della comunicazione dei dati all’Enea; il decorso del termine per la remissione in bonis quale ulteriore causa di decadenza dal beneficio.

Sul punto l’Ufficio, per confermare la legittimità del proprio operato, aveva richiamato alcune circolari e rammentato i requisiti per la remissione in bonis ovvero: a) effettuare la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile; b) versare contestualmente l’importo della sanzione minima, senza possibilità di compensazione; dovendosi, all’uopo, intendere che la prima dichiarazione dei redditi utile è quella il cui termine di presentazione scade dopo quello previsto per effettuare la comunicazione, ovvero, nel caso di specie, quello ordinario per la dichiarazione, non rilevando il periodo di tolleranza di 90 giorni dell’articolo 2, comma 7, Dpr 322/98 entro il quale la dichiarazione non si considera omessa (circolare 38/2012). Da questo ragionamento l’Ufficio ne aveva fatto discendere la conseguenza che nell’ipotesi in cui non si rientri nei termini della remissione in bonis l’omessa comunicazione all’Enea comporta la decadenza dell’agevolazione.

Telecamere personali: quando sono lecite?

Anna Nicola, Il Sole 24ORE - Estratto da "Quotidiano del Condominio"

Il tema delle videoriprese in condominio può essere così riassunto: la telecamera di videosorveglianza può riprende le scale, il pianerottolo o solo le scale del vicino di casa. In questi casi non vi è alcun reato o lesione di privacy.
Vediamo perché.
Non sempre puntare la telecamera con visione su ambienti condominiali, come scale e pianerottoli, includendo anche parti del corpo di eventuali passanti è vietato. La recente decisione del Tribunale di Avellino 30.10.2017 spiega quando è possibile la telecamera sulla porta di casa. La sentenza si prende cura di distinguere il reato di interferenze nella vita privata e l'interesse a tutelare la propria sicurezza da ladri e altri malintenzionati. Importante è usare una telecamera di videosorveglianza senza ledere la privacy altrui.
Si pensi al caso del dirimpettaio che installa una telecamera proprio sopra la sua porta di casa. Lo scopo – almeno così lui dice – è quello di vedere, anche quando è fuori, chi passa per il pianerottolo e prevenire eventuali incursioni di ladri. Di fatto, però, l'angolo di visuale dell'inquadratura è talmente ampio da riuscire a riprendere anche i passaggi del condomino dell'alloggio di fronte anche quando, ad esempio, si dirige verso le scale o all'ascensore. Viene illustrato a detto condomino che la sua telecamera non può oltrepassare la visione del proprio tappeto di ingresso; diversamente, l'iniziale intenzione di tutelare la sicurezza dell'immobile e dei propri familiari sconfinerebbe in una illecita ingerenza nella vita privata altrui, potendo egli sapere quando entri ed esci di casa.
Poniamo caso cge il condomino non vuole modificare l'angolo di ripresa, non avendo senso riprendere un ladro quando è già in procinto di scassinare la serratura.
Il codice penale, all'art. 615 cp, tutela la sfera privata delle persone e si riferisce ad uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui. Il nodo è stabilire se questa sfera privata si estende anche sulle parti comuni dell'edificio, come scale e pianerottolo, oppure solo all'interno dell'appartamento e, al massimo, nelle sue strette adiacenze, come ad es. la porta dal lato esterno.
Si preferisce la tesi più restrittiva sulla cui base non possono essere considerati spazi ove si esplica la vita privata del condomino le scale o il pianerottolo. Se quindi le immagini prelevate dalla telecamera non vengono pubblicate o diffuse a terzi, ma sono utilizzate solo per finalità personali – come la tutela della incolumità della famiglia e della proprietà –il comportamento del vicino è perfettamente lecito.
È pur vero che il Garante della privacy, in materia di videosorveglianza in condominio, ha raccomandato di non sconfinare mai nell'altrui riservatezza; pertanto l'angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione). Resterebbero quindi escluse le parti comuni dell'edificio come il pianerottolo; in caso contrario si risponde del reato di interferenze illecite nella vita privata altrui. Ma la giurisprudenza ha invece fornito una interpretazione più ristretta dell'illecito penale, chiarendo che le aree comuni del palazzo non rientrano nei concetti di domicilio e dimora privata. Per cui, chi effettua riprese in tali aree non può essere incriminato. Ciò è quanto dire che le parti comuni di un edificio possono essere oggetto di sorveglianza video senza che con ciò venga violata alcuna norma anche posta a tutela della privacy.
Fermo restando il generale divieto di spiare il vicino di casa, perché sia lecito l'utilizzo della telecamera su spazi comuni è sufficiente che l'azione ripresa possa essere liberamente osservata da terzi senza ricorrere a particolari accorgimenti. Ciò significa che è vietato tutto quello che comporta una intrusione nei luoghi di privata dimora e tali sono le parti comuni dell'edificio, che per loro natura ben possono essere oggetto di sorveglianza video.
La tutela del domicilio – prevista anche dalla Costituzione ex art-. 14 Cost. sussiste solo se riferito a luoghi di privata dimora non visibili a terzi.
Pertanto si può denunciare il vicino alle forze dell'ordine quando la sua telecamera finisce per inquadrare parti private che non possono essere agevolmente (ad esempio un balcone) visibili da terzi.

Se vi è aumento di superficie si ha nuova costruzione

Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24ORE - Estratto da "Tecnici24"

Il fatto. Le attrici citavano in giudizio un loro cugino, sostenendo che essa avrebbe realizzato un fabbricato su terreno di cui esse attrici erano comproprietarie, senza il loro consenso ed a distanza inferiore a quella legale, prevista dai regolamenti edilizi del Comune, da un terreno e da altro fabbricato di loro proprietà. Chiedevano, quindi, che fosse accertato il loro diritto di comproprietà sulla metà del fabbricato in questione, con condanna al rilascio dell'immobile e del terreno, e che, ove la costruzione fosse stata ritenuta illegittima per violazione delle norme edilizie, il convenuto fosse condannato a demolire tale fabbricato.

In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda, mentre la Corte d’appello l’accoglieva in parte. La Cassazione, sentenza n. 15041 dell’11 giugno 2018 ha invece accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza impugnata.

Quando ricorre una “ristrutturazione” ? Secondo la suprema Corte, nell'ambito delle opere edilizie, la ristrutturazione ricorre ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura.

… e quanto una “ricostruzione” ? Per gli Ermellini, vi è, invece, una ricostruzione qualora dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio né, in particolare, aumenti della volumetria o cambiamenti della sagoma in altezza o larghezza con riferimento al confine.

Quando invece si ha una “nuova costruzione” ? In presenza dei predetti aumenti di volumetria, al contrario, si verte in una ipotesi di nuova costruzione, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della relativa edificazione.

Il ragionamento degli Ermellini. Nella specie, la corte d’appello ha ritenuto che il manufatto oggetto di causa costituisse una ricostruzione di un precedente edificio, con riferimento al quale era maturato il diritto del proprietario del fondo confinante a mantenerlo a distanze inferiore a quella legale. Peraltro, la stessa Corte di Appello ha pure accertato che vi era stato un lieve incremento della superficie e che era possibile fosse presente, altresì, un modesto aumento del volume. Tali circostanze, però, sono idonee ad escludere, in conformità alla menzionata giurisprudenza, la presenza di una ricostruzione, venendo in rilievo, al contrario, una nuova costruzione. Pertanto, il giudice del rinvio deve rivalutare il profilo concernente l'esistenza di una ricostruzione o di una nuova costruzione nella presente controversia, tenendo conto dell'elaborazione della giurisprudenza in ordine alla distinzione fra le due nozioni in presenza di modifiche, anche minime, di superficie e volume dell'opera successivamente posta in essere.

Il principio espresso dalla Cassazione. In presenza di aumenti della volumetria o cambiamenti della sagoma in altezza o larghezza con riferimento al confine, si verte in una ipotesi di nuova costruzione, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della relativa edificazione.

Sanzioni a chi viola il decoro architettonico, il regolamento le può prevedere

Valeria Sibilio, Il Sole 24ORE - Estratto da "Quotidiano del Condominio"

Il regolamento di condominio può contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, se ciò si rivela necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Rientra, dunque, nel potere dell'assemblea, la possibilità di prevedere sanzioni per le infrazioni al regolamento di condominio e decidere le questioni connesse con la maggioranza di cui all'art. 1138 c.c. e non con l'unanimità, salvo che si determini una limitazione di diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni o si attribuisca ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto ad altri. Lo ha stabilito il Tribunale di Cassino nella sentenza 467 del 2018 , relativa ad un caso originato dal ricorso di una condòmina che impugnava la deliberazione adottata dal Condominio avente oggetto “determinazioni in merito all'art. 38 del Reg. di condominio”. In particolare, ne chiedeva l'annullamento per incompletezza ed illegittimità dell'ordine del giorno di cui all'avviso di convocazione della assemblea, in quanto non veniva riportato, tra i punti, quello recante la discussione sul procedimento per la comminazione della sanzione al condominio colpevole di violazione del regolamento, poi risultante nel verbale di assemblea. Il procedimento di convocazione era irregolare, l'avviso di convocazione inesistente e non legittimato, non essendo identificati i soggetti che avevano proceduto alla convocazione, risultando come amministratore, uno studio associato privo di personalità giuridica.
Inoltre, le deliberazioni dell'assemblea del 8/11/2013 erano state adottate in seconda convocazione senza verificazione e acquisizione di informativa circa i motivi per cui la prima non aveva potuto deliberare. Per l'attrice, l'oggetto, oltre ad essere impossibile - non rientrando tra le attribuzioni dell'assemblea la materia in questione - risultava illecito, per indebita incidenza su diritti individuali. L'attrice lamentava l'inopponibilità dell'art. 38 del Regolamento di Condominio, poiché quest'ultimo non era allegato al contratto di acquisto della propria unità immobiliare, né sottoscritto e approvato dalla ricorrente e non trascritto nei registri immobiliari. Rilevando l'inapplicabilità dell'art. 38, in quanto in contrasto con l'art. 70 e poiché il regolamento non era sottoscritto da tutti i condomini, chiedeva la nullità del deliberato successivo.

Il condominio si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare nel rito la nullità della domanda per violazione dell'art. 163, comma 1, c.p.c., in quanto formulata con ricorso anziché atto di citazione e per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio. Nel merito, deduceva che la deliberazione sulle modalità di applicazione delle sanzioni rientrava tra i punti indicati nell'ordine del giorno, essendo corollario di quanto oggetto delle statuizioni che si andavano ad assumere. Il procedimento di convocazione era regolare, in quanto le assemblee precedenti erano sempre state convocate dallo studio a cui l'attrice aveva in passato versato la sua quota parte degli oneri condominiali. Tenuto conto che il ruolo di amministratore poteva essere ricoperto da uno studio associato, nell'assemblea del 14/02/06, l'amministratrice aveva portato a conoscenza i condòmini del cambio di denominazione del proprio studio. Il presidente, dando atto che la prima convocazione era andata deserta, con la presenza di cinque condòmini su sette, dichiarava l'assemblea validamente costituita in seconda convocazione. La delibera impugnata non aveva introdotto alcunché, essendosi limitata ad aggiornare importi economici di sanzioni già previste all'art. 38 del regolamento condominiale sin dalla prima approvazione, in attuazione della riforma della disciplina del condominio introdotta con legge n. 220 del 2012. Il regolamento condominiale era stato consegnato alla ricorrente nell'assemblea del 14/02/2006, senza ricevere alcuna contestazione, ed affisso, dal 2001, nell'atrio del portone. Tale regolamento era stato impugnato nell'aprile 2001, congiuntamente alla delibera dell'assemblea del 30/03/2001, dichiarata valida dal Tribunale congiuntamente a quella del regolamento e dell'art. 38, annullando la sola maggiorazione della sanzione.
Il Condominio, riunitosi in assemblea straordinaria del 08/11/2013, revocava parzialmente la deliberazione del 28/08/2013, in relazione al procedimento di applicazione della sanzione, confermando le decisioni assunte.

Il Tribunale ha ritenuto il ricorso infondato. Quanto all'entità della sanzione, la dichiarazione di nullità deve essere interpretata come parziale. Tale sentenza richiama Cass. 984/1995, richiamata a sua volta anche dalla Cass. 10329/2008 nella quale si osserva che «l'applicazione di una sanzione di gran lunga superiore alla misura massima inderogabilmente stabilita dal richiamato disposto legislativo, è nulla in quanto “contra legem”». La statuizione conclusiva adottata è quella di «inderogabilità della sanzione prevista dall'art. 70 disp. att. c.c..». Pertanto, il reale contenuto della dichiarazione di nullità de qua é l'inderogabilità della relativa sanzione. Con la deliberazione impugnata, il condominio convenuto aveva manifestato la volontà di ripristinare l'operatività dell'art. 38 del regolamento.

La deliberazione dell'assemblea è valida rientrando nei suoi poteri sia l'approvazione del regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 1138 c.c., sia le connesse sanzioni di cui all'art. 70 disp. att. c.p.c. Le clausole dei regolamenti condominiali, predisposti dall'originario proprietario dell'edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condòmini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero atribuendo ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall'unanimità dei condòmini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, quelle di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c., comma 2.

Il Tribunale ha, inoltre, osservato che il regolamento condominiale, quali che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, può contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto . L'assemblea, dunque, ha il potere di prevedere sanzioni per le infrazioni al regolamento di condominio e decidere le questioni connesse con la maggioranza di cui all'art. 1138 c.c. e non con l'unanimità, salvo che si determini una limitazione di diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni o si attribuisca ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto ad altri. Nella specie, la ricorrente non lamentava una limitazione dei propri diritti esclusivi dominicali, per cui l'inopponibilità di cui ella si duole non assume rilevanza, in quanto la trascrizione del regolamento riguarda sempre e solo l'opponibilità delle limitazioni dei diritti dominicali individuali (Cass. 21024/2016). La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condòmino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni “propter rem”, difettando il presupposto dell'”agere necesse” nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio. Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù ed avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Infondati anche il motivo concernente l'inesistenza dell'avviso di convocazione e la provenienza da soggetto non legittimato - essendo indifferente l'intestazione della missiva risultando chiara nel suo contenuto e nella provenienza, in quanto sottoscritta da “L'amministratore” - e quello concernente la mancata verificazione della legittimità della seconda convocazione, avendo il Presidente dato atto della diserzione della prima convocazione.

Il Tribunale ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese di lite, liquidate in euro 420,00 per competenze oltre spese generali nella misura del 15%.
 

Città del Nord e province turistiche spingono le compravendite di case

Cristiano Dell'Oste e Raffaele Lungarella, Il Sole 24ORE – Estratto da "Primo Piano"

Mercato immobiliare, istruzioni per l’uso. Dopo 13 trimestri di crescita delle compravendite – ma prezzi ancora lontani da un’effettiva ripresa – è sempre vero che chi compra ha il coltello dalla parte del manico? Mentre gli analisti prevedono quotazioni ancora in calo nella seconda parte dell’anno, tranne che nelle zone pregiate e nei centri maggiori, un indizio in più per orientarsi può arrivare dall’andamento delle compravendite su base territoriale.

Il Sole 24 Ore del Lunedì ha rielaborato i dati Omi su base comunale, così da misurare la vitalità del mercato nelle province e città metropolitane (in termini di transazioni ogni 10mila abitanti), oltre al trend dei rogiti registrato l’anno scorso. I dati confermano il dinamismo del Ponente ligure (...) e della Valle d’Aosta, grazie alla domanda di seconde case e alla maggiore incidenza degli acquirenti non residenti.

Emerge anche la forza dei grandi centri del Nord, con Milano, Torino, Genova, Venezia e Bologna tutte nella top ten. Qui la vivacità delle trattative promette di accorciare i tempi del closing (a vantaggio dei venditori) e conferma la presenza di una componente di investitori, attratti dalle maggiori prospettive di locazione e da una relativa liquidabilità del bene, in caso di necessità di disinvestire.

Nelle grandi città con più di un milione di abitanti, nel 2017, sono passate di mano 130 abitazioni ogni 10mila abitanti, cioè 40 in più del dato medio nazionale. Il sostegno delle grandi città alla ripresa del mercato è confermata anche considerando un altro indicatore: a Milano, Bologna, Torino, Venezia il numero di compravendite ogni 10mila abitazioni censite al Catasto supera 200, contro una media di 150.

A prescindere dalla popolazione, più è alto il grado di urbanizzazione dei Comuni, più sembra dinamico il loro, piccolo o grande, mercato. Non dappertutto, però, la buona performance della domanda registrata nel 2017 implica un aumento del numero delle compravendite rispetto al 2016. C’è un altro dato, infatti, che va osservato con cura. Ed è la geografia della variazione delle compravendite che fa registrare luci e ombre senza linee nette di demarcazione territoriali. Il mercato si è mostrato in affanno a Rieti (-7,3%), L’Aquila (-5,3%), Sondrio (-5,3%), nelle province di Benevento e Isernia e in alcune aree dell’Italia centrale, come quelle marchigiane, con la sola eccezione di Ancona. Al polo opposto, troviamo Lucca (+15,5%), Trapani (+11,5%), Vibo Valentia (+10,9%), Bari (+10%), Enna (+9,8%) e Pistoia (+9,2%).

A conti fatti, tra le zone in cui le compravendite sono cresciute di più ce ne sono molte di quelle in cui il mercato è storicamente meno attivo. È un fatto che potrebbe trovare una spiegazione nell’andamento dei prezzi. La ripresa dei rogiti, infatti, è partita dai grandi centri e si è allargata alle zone marginali. Che sono quelle in cui i prezzi sono diminuiti di più, e stanno continuando a diminuire, anche se meno che in passato. E questo ha verosimilmente aumentato il numero di chi può comprare una casa, anche con redditi stazionari.
La dimensione delle abitazioni non sembra influenzato dall’andamento del mercato: i tassi di crescita più elevati si sono registrati per i piccoli alloggi fino a 50 metri quadrati e quelli oltre i 145.

Che cosa se ne conclude? Dove il mercato cresce di più (o è storicamente più attivo) è ragionevole aspettarsi che gli spazi per comprare casa “facendo l’affare” stiano iniziando a restringersi: l’attesa degli analisti non è per una diffusa ripresa dei prezzi, ma i pezzi migliori non resteranno invenduti a lungo. Nelle altre zone, invece, il mercato ancora lento può favorire gli acquirenti, magari approfittando dei tassi per i mutui che restano bassi e per ora non stanno risentendo dell’allargamento dello spread.
 

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