Osservatorio sull'edilizia - Presentazione

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Sopraelevazione, niente demolizione se il manufatto non si vede e non pregiudica l'estetica dell'edificio

Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole24ORE, Estratto da "Tecnici24"

Il caso. Alcuni comproprietari di unità immobiliari che lamentano la lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale conseguente alla sopraelevazione realizzata (per di più con lavori non eseguiti a regola d'arte) dai comproprietari originari, con il concorso di altre persone.

Di qui la richiesta al Tribunale di Roma di condanna alla demolizione del nuovo manufatto, previo accertamento dell'abusiva sopraelevazione, oltre al risarcimento dei danni anche non patrimoniali subiti. In subordine, chiedono l'indennità di sopraelevazione.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 9010 del 30 aprile 2019, ha accolto il parte dalla domanda. Il giudice ha infatti respinto la richiesta di demolizione, riconoscendo soltanto l’indennità di sopraelevazione.

Concetto di sopraelevazione. Il giudice romano ricorda come per sopraelevazione si intenda «l'intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato condominiale, mediante occupazione della colonna d'aria soprastante». Occorre, quindi, che si realizzi uno stabile accrescimento di cubatura e di altezza del preesistente fabbricato (calcolata al bordo superiore della linea di gronda o del parapetto piano o della media dei timpani).

Detto in altre parola, la sopraelevazione è l'occupazione dell'area comune sovrastante l'ultimo piano – con conseguente maggiore utilizzo dell'area, mediante sfruttamento della colonna – con un altro o più altri piani oppure con una nuova fabbrica, che può consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purché sia saldamente e stabilmente ancorata alla superficie di appoggio. E ciò, prosegue, a prescindere dal rapporto con l'altezza precedente dell'edificio.

Soprelevazione su terrazza di proprietà esclusiva. Ciò detto, anche la costruzione realizzata su terrazza di appartenenza esclusiva al proprietario dell'adiacente appartamento, se la terrazza sia quella dell'ultimo piano o piano attico e assolva da lastrico solare, andrà considerata sopraelevazione e sarà soggetta al relativo regime legale. La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata – anche per le regole sulle distanze – come nuova costruzione (Cass. civ. n. 15732/2018). E il proprietario dell'ultimo piano o il proprietario esclusivo del lastrico solare possano sempre elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo.

Diritto di sopraelevare. In pratica, la legge riconosce a questi soggetti di un utilizzo particolare dello spazio sovrastante, che, appartenendo a tutti i condòmini, sarebbe stato disponibile soltanto con il loro consenso. Ne consegue che un'eventuale esclusione convenzionale di tale facoltà connessa al diritto di proprietà dell'ultimo piano o del lastrico di copertura, andrà trascritta perché la si possa opporre ai subacquirenti, a meno che al titolo non si faccia espresso riferimento nell'atto di acquisto. La (normale) facoltà di sopraelevare, invece, è preclusa per legge conseguendone il diritto degli altri condòmini di agire per ottenere la demolizione del manufatto eseguito in violazione delle norme statiche o antisismiche, visto il divieto assoluto di sopraelevazione.

Decoro architettonico. Gli altri condòmini possono opporsi alla sopraelevazione (con prescrizione ventennale) anche qualora comporti una notevole diminuzione dell'aria o della luce ai piani sottostanti oppure danneggi l'aspetto architettonico dell'edificio.

Al riguardo va sottolineato che, secondo la giurisprudenza, le nozioni di aspetto architettonico (limite alle sopraelevazioni) e di decoro architettonico (limite alle innovazioni) sono ben diverse seppur complementari dovendo «anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l'originaria fisionomia e alterarne le linee impresse dal progettista» (Cassazione, 17350/2016). In sintesi, essendo l'aspetto architettonico relativo allo stile costruttivo dell'edificio percepibile da chiunque, anche la sola adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile visibilmente diverso da quello della parte preesistente comporta un apprezzabile (e, perciò, sanzionabile) peggioramento dell'aspetto architettonico complessivo.

Di contro, essendo il decoro architettonico tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare, anche una modifica strutturale di modesta consistenza o una aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione potranno – pur senza incidere sull'aspetto architettonico – comportare un pregiudizio di altre caratteristiche influenti sulla estetica dello stabile e, quindi, sullo stesso decoro. Tuttavia, l'illegittimità della sopraelevazione esige il verificarsi, per via della modifica della linea stilistica del fabbricato, anche di una concreta diminuzione del suo valore economico in relazione al suo aspetto esteriore «da valutarsi in considerazione della visibilità della nuova opera, tenuto conto che nessun pregiudizio, nel senso indicato, può essere riscontrato in manufatti che, secondo la valutazione di ogni concreta circostanza siano assolutamente invisibili ai terzi, ovvero siano visibili in posizioni tanto distanti e particolari da non lasciar spazio a un'eventuale compromissione estetica».

La decisione. Nel caso concreto, non avendo la sopraelevazione minato né statica e sicurezza dello stabile, né pregiudicato l'aspetto architettonico e né provocato notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti, il giudice non ha ravvisato alcuna illegittimità, respingendo la domanda di riduzione in pristino.

Il principio. È illegittima la sopraelevazione che, modificando la linea stilistica del fabbricato, ne diminuisca concretamente il valore economico per il suo aspetto esteriore valutato in base alla visibilità nuova opera. Non vi sarà alcun pregiudizio, dunque, per manufatti che, viste le circostanze, siano assolutamente invisibili ai terzi o visibili in posizioni tanto distanti e particolari da escludere una compromissione estetica. Ad ogni modo, in caso di accertato e rilevante danno estetico, in esso si riterrà insito quello economico senza necessità di specifica indagine.

Manutenzione ordinaria ed edilizia libera, le Entrate mettono i paletti

Andrea Cartosio, Il Sole24ORE, Estratto da "Quotidiano del Condominio"

L'Agenzia delle Entrate, con risposta all'interpello n. 383 del 16 settembre 2019 ha espresso due importanti precisazioni; la prima relativa al concetto di manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria, specificando ulteriormente la distinzione tra le due tipologie di lavori, mentre la seconda riguardante i lavori svolti in edilizia libera.

L'oggetto del predetto interpello sono stati i lavori eseguiti da un contribuente di sostituzione degli infissi, rientranti nell'agevolazione fiscale del 50% c.d. “bonus ristrutturazione”, con annesso e contestuale rifacimento, riparazione e tinteggiatura esterna del fabbricato comprendenti le opere accessorie necessarie, nel caso di specie l'impalcatura necessaria per lo svolgimento delle maestranze.

L'istante, ha evidenziato che, nell'ottica della semplificazione amministrativa i predetti lavori “declassati” ad edilizia libera, conservino le caratteristiche tecnico-economiche originarie per cui debbono essere considerati come interventi per i quali il contribuente può usufruire dei bonus fiscali, nel caso di specie il 50% di agevolazione fiscale entro il limite di spesa di 96.000 euro.

La novità insita nella risposta dell'Agenzia delle Entrate ha riguardato la possibilità, per il contribuente, di considerare lavori che autonomamente sarebbero stati valutati come di “manutenzione ordinaria”, qualora necessari per il completamento dell'opera, come interventi detraibili rientranti nel bonus fiscale.

Con numerosi documenti di prassi, l'Agenzia delle entrate ha delineato molteplici chiarimenti per quanto concerne la differenza tra interventi di manutenzione ordinaria e di manutenzione straordinaria, tra cui la Circolare n. 57/E del 1998, riportando le norme di riferimento, ha specificato che:
• ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001, gli interventi di manutenzione ordinaria sono quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle indispensabili ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti. Il principio cardine degli interventi di manutenzione ordinaria è il Caratteristica della manutenzione ordinaria è il mantenimento degli elementi di finitura e degli impianti tecnologici, attraverso opere sostanzialmente di riparazione dell'esistente;

• ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 380 del 2001, gli interventi di manutenzione straordinaria sono relativi a opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche alle destinazioni d'uso. A titolo esemplificativo, vi rientra la sostituzione di serramenti ed infissi con serrande, con modifica di materiale o tipologia di infisso.

Altro aspetto di notevole importanza trattato dall'Agenzia delle Entrate riguarda il Glossario dell'edilizia libera, introdotto in attuazione del decreto legislativo 20 novembre 2016 n. 222 ed i risvolti collegati alle detrazioni fiscali.

Tali previsioni normative hanno fatto sì che si concretizzasse un riordino complessivo dei titoli e degli atti legittimanti gli interventi edilizi, prevedendo nel contempo un ampliamento della categoria degli interventi soggetti ad attività completamente libera.

In estrema sintesi, il citato decreto legislativo - che modifica anche alcune disposizioni del D.P.R. n. 380 del 2001 - nel delineare i regimi abilitativi previsti in caso di realizzazione di interventi edilizi distingue, tra l'altro, tra interventi realizzabili in edilizia libera, senza alcun titolo abilitativo e interventi in attività libera realizzabili, invece, a seguito di una comunicazione asseverata di inizio lavori (CILA). Difatti nulla risulta mutato ai fini fiscali.

 

Se un condomino impedisce di riparare il sifone nella sua cantina risarcisce i danni

Valeria Sibilio, IlSole24ORE, Estratto da "Quotidiano del Condominio"

Risarcimento dei danni per non aver permesso al condominio di accedere alla propria cantina.È quanto è emerso dalla sentenza 21242 del 2019, nella quale la Cassazione ha esaminato un caso originato dal ricorso in tribunale di un condominio nei confronti di una coppia di condòmini, ottenendo il permesso di accedere alla cantina di questi ultimi per far eliminare l'intasamento di un sifone, causa di una fuoriuscita di liquami in alcuni degli appartamenti soprastanti, facenti parte dell'edificio condominiale. In precedenza, i condòmini, benché contattati, non si erano resi disponibili ad aprire la porta della cantina né a fornire la relativa chiave. I convenuti, costituendosi in giudizio, spiegavano che l'impossibilità del loro consenso all'accesso era dettato dalla loro assenza in quanto impegnati in questioni personali. Ragioni per le quali chiedevano il rigetto delle domande attoree e la condanna del Condominio al risarcimento del danno che l'intasamento del sifone aveva arrecato alla loro cantina. II Tribunale dichiarava il diritto del Condominio ad accedere alla cantina, compensando tra le parti le somme dovute dai convenuti per i danni subìti dal Condominio e quelle dovute da quest'ultimo a titolo di parziale risarcimento del danno alla suddetta cantina, ponendo a carico dei convenuti le spese di consulenza tecnica e le spese di lite.


In secondo grado, la Corte rigettava l'appello proposto dai condòmini, tenuto conto del loro ostruzionismo e disinteresse comportamentale nel non concedere l'accesso alla cantina, nonostante fosse stata provata l'urgenza che ne giustificava la richiesta. A norma dell'art. 12 del Regolamento di condominio, l'amministratore ha la facoltà di avvalersi dei mezzi in uso per accedere all'appartamento o nei locali chiusi quando, per guasti verificatisi nell'interno dei medesimi, vi sia l'assoluta urgenza e l'inderogabile necessità di evitare senza indugio danni all'edificio ed agli altri condòmini. La Corte, confermando la sentenza di Primo grado, determinava nella misura dei due terzi l'entità della responsabilità degli appellanti, compensando il restante terzo dei danni subìti dagli stessi con quello causato al Condominio in conseguenza della loro condotta oppositiva, pari ad euro 276,00.


I condòmini proponevano ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi, ai quali resisteva, con controricorso, il Condominio. Con il primo motivo, i ricorrenti, censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'appello aveva attribuito all'amministratore il pieno potere, una volta accertata la loro assenza. Motivo giudicato inammissibile, in quanto il condominio ha il diritto di provvedere alla riparazione e alla manutenzione dei beni comuni dell'edificio ed ha l'obbligo di farlo per evitare danni alle proprietà esclusive dei condòmini. Nel caso in cui mancasse la collaborazione di questi ultimi, l'amministratore può agire in giudizio, in rappresentanza del condominio. Il giudizio di secondo grado aveva accertato l'esistenza del diritto cautelato, non rinvenendo che il provvedimento cautelare fosse stato eseguito senza la necessaria prudenza. Il ricorrente, perciò, non avrebbe avuto alcun vantaggio concreto dall'accoglimento della domanda né in termini di esonero dal pagamento delle relative spese, né al risarcimento dei danni.


Nel secondo motivo, i ricorrenti ritenevano che la Corte avesse errato nel ritenere che la disposizione condominiale non poteva esimere il singolo condòmino dal consentire l'ingresso da parte dell'amministratore, affermando, inoltre, che essi avevano avuto un comportamento di disinteresse e di ostruzionismo, trasformando, in modoillogico, l'assenza dei convenuti da casa in un vero e proprio diniego all'accesso. Motivo anch'esso giudicato infondato. Se non si contesta l'inesistenza, nei del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la decisione adottata sulla base di elementi ritenuti dal giudice di merito determinanti. Risulta, quindi, inammissibile la deduzione del vizio per sostenere semplicemente il mancato esame di documenti da parte del giudice del merito. Il ricorrente non aveva dedotto quali sono stati i fatti storici che la corte d'appello avrebbe omesso di esaminare, limitandosi a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio.

Con il terzo ed ultimo motivo, il ricorrente, censurava la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, affermava che gli appellanti erano corresponsabili dei danni riscontrati nella loro cantina. Inoltre, l'art. 1227 c.c. prevede che il risarcimento dei danni dev'essere diminuito solo in caso di concorso del fatto colposo dello stesso danneggiato. Il consulente tecnico d'ufficio aveva stabilito che il pregiudizio fosse quantificabile in euro 700,00 mentre i maggiori costi subiti dal Condominio per il ritardo addebitabile era da computarsi in euro 276,00, per cui gli stessi avrebbero dovuto ricevere, a titolo d'indennizzo, la somma di euro 424,00, pari alla differenza tra euro 700,00 ed euro 276,00. Un motivo, per gli ermellini, infondato in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del tema del giudizio di secondo grado e non possono riguardare nuove questioni di diritto se postulano indagini ed accertamenti non compiuti dal giudice del merito. Escludendo, inoltre, il diritto dei convenuti al relativo risarcimento.


La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, liquidate in euro 2.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%.
 

L'Agenzia allarga le maglie per l'applicazione dei benefici prima casa

Angelo Busani, Il Sole 24ORE, Estratto da "Quotidiano del Fisco"

Può avvalersi dell’agevolazione “prima casa” il contribuente che sia già proprietario di un’abitazione e ne compri un’altra, a condizione che (ai sensi del comma 4-bis della Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa Parte Prima annessa al dpr 131/1986, testo unico dell’imposta di registro):

a) entro un anno dal rogito d’acquisto venda la casa precedentemente acquistata;

b) la casa oggetto di vendita sia stata comprata con l’agevolazione “prima casa”.

A questa situazione, prevista dalla legge, è parificabile in via interpretativa (lo afferma l’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 377 del 10 settembre 2019) quella del contribuente che abbia comprato la casa (quella che deve essere rivenduta entro un anno dal nuovo acquisto) fino alla data del 21 maggio 1993, avendo come venditore un’impresa costruttrice.

Antecedentemente al 22 maggio 1993, infatti, l’aliquota Iva era fissata prima al 2 e poi (dal 1989) al 4 per cento per chiunque, a prescindere dal fatto che l’acquirente avesse i presupposti per beneficiare dell’agevolazione “prima casa”. Con il Dl 155/1993 venne invece disposto che l’Iva fosse applicabile con l’aliquota 4 per cento solo per chi beneficiasse dell’agevolazione “prima casa”.

Questa sequenza normativa pone dunque il dilemma: la possibilità di vendere la casa preposseduta entro un anno dal nuovo acquisto, spetta solo a chi l’abbia comprata con l’agevolazione “prima casa”? O anche a chi non si sia avvalso dell’agevolazione per il semplice motivo che l’Iva era dovuta con l’aliquota ridotta da chiunque e, quindi, anche da chi avrebbe potuto chiedere l’agevolazione ma non l’ha chiesta poiché non vi era alcun bisogno di chiederla?

La risposta delle Entrate è, dunque, in quest’ultimo senso.
Un’analoga risposta era già stata data dall’Agenzia con la Circolare 19/E del 2001 in tema di credito d’imposta di cui all’articolo 7, legge 448/1998: in base a tale norma, matura un credito d’imposta (che, di regola, si utilizza in sede di nuovo rogito) il contribuente che vende l’abitazione acquistata con l’agevolazione “prima casa” e, entro un anno, compra un’altra “prima casa” (il credito è pari all’importo dell’imposta assolta per il primo acquisto fino al limite però in cui non oltrepassi l’importo dell’imposta dovuta per il secondo acquisto). Anche in questo caso le Entrate concessero il credito al contribuente che aveva effettuato il primo acquisto senza agevolazione “prima casa” perché in data anteriore al 22 maggio 1993.

In conclusione, il contribuente che oggi compra un’abitazione, se già abbia la proprietà di un’altra abitazione acquistata da impresa costruttrice prima del 22 maggio 1993, può avvalersi dell’agevolazione “prima casa” in sede di nuovo acquisto qualora:

-la casa acquistata prima del 22 maggio 1993 sia l’unica di sua proprietà nel Comune ove è ubicata la casa oggetto del nuovo acquisto;


-non abbia, in tutto il territorio nazionale, la proprietà di altra casa acquistata con l’agevolazione “prima casa”.

Prezzi delle case: aumento dell'1,3% nel secondo trimestre, calo annuo a -0,2%

Emiliano Sgambato, Il Sole24ORE, Estratto da "Casa24 online"

I prezzi delle case in Italia scendono ancora su base annua, ma registrano un aumento nel periodo da marzo a giugno rispetto a inizio 2019.?Secondo i dati Istat sul secondo trimestre, infatti, le quotazioni sono cresciute dell’1,3% sul trimestre precedente e diminuite dello 0,2% nei confronti dello stesso periodo del 2018 (il dato era pari -0,9% nel primo trimestre 2019).

La nota positiva è soprattutto il fatto che l’aumento su base congiunturale è dovuto ai prezzi delle abitazioni usate, che crescono dell’1,5% (la variazione più ampia dal secondo trimestre 2011), mentre i prezzi delle abitazioni nuove sono praticamente stabili (-0,1%).

Invece, «la lieve flessione tendenziale dell’Ipab (l’indice del prezzo delle abitazioni, ndr) – nota l’Istat – è da attribuire unicamente ai prezzi delle abitazioni esistenti, che registrano una variazione negativa pari a -0,4%, in attenuazione dal -1,3% del trimestre precedente. I prezzi delle abitazioni nuove, invece, aumentano su base tendenziale dello 0,1% rallentando, quindi, rispetto al +1,5% del primo trimestre del 2019».

L’aumento delle quotazioni rispetto a inizio anno e la conferma della tenuta delle nuove costruzioni sono indicatori positivi per il prossimo futuro, ma il mercato rimane molto debole e legato all’andamento dell’economia. Sono dei giorni scorsi le previsioni negative di S&P, che evidenziano come le stime sul fronte prezzi in Europa, per i prossimi due anni siano negative solo per l’Italia.

Tornando ai dati Istat, la crescita dei prezzi delle abitazioni su base congiunturale si registra, «seppur con diversa ampiezza, in tutte le ripartizioni geografiche». Ma, «su base tendenziale, mentre il Nord-Ovest e il Nord-Est mostrano un aumento (rispettivamente +0,2% e +1,7%), i prezzi delle abitazioni al Centro e nel Sud e Isole, pur riducendo l'ampiezza del calo, flettono rispettivamente dell’1,7% e dell’1%».

Milano conferma la crescita vivace su base annua: + 6,9% confermando la variazione del primo trimestre. I prezzi delle abitazioni crescono, seppur in misura più contenuta, anche a Torino (+1,7%), mentre a Roma diminuiscono del 2,8%.

Nonostante la stagnazione dei prezzi, il “fatturato” legato alle compravendite residenziali continua a salire: secondo le previsioni del Centro Studi Sigest, il mercato residenziale italiano potrebbe arrivare a toccare i 100 miliardi di euro di transato a fine anno, raggiungendo circa 600mila scambi transazioni.

«Non crediamo che ci siano fattori esogeni tali da influenzare significativamente questa previsione – afferma Enzo Albanese, Ceo di Sigest – infatti riteniamo che in questo momento tali elementi vadano nella direzione di un consolidamento dei numeri. In questa previsione Milano, con 26mila ipotetiche transazioni e oltre 8 miliardi di euro di ricavi, riveste un ruolo di prim’ordine a livello nazionale».

L'abuso edilizio non si sana con il consenso del condominio

Anna Nicola, Il Sole24ORE, Estratto da "Quotidiano del Condominio"

Poniamo il caso del condomino che esegue interventi per installare una veranda e che detti lavori siano poi stati diversi rispetto al contenuto dell'autorizzazione a suo tempo ottenuta dal Comune: ti chiedi se è opportuno presentare al Comune una domanda di permesso di costruire in sanatoria o se occorre procedere in diverso modo. Il tecnico a cui ti rivolgi propende per la prima soluzione perché ti permette di evitare di incorrere nel reato di abuso edilizio, peraltro evitando le eventuali denunce degli altri condomini.

In Comune affermano che è necessario essere muniti del verbale dell'assemblea di condominio che autorizza i lavori.
Questo è il pensiero di molti, pensiero errato per vari motivi.

La normativa urbanistica e il piano regolatore del Comune devono essere rispettati ma ciò non vuol dire che occorre il consenso del condominio, essendo le relative normative in ambiti diversi e autonomi. Non vi è alcuna norma di diritto amministrativo che subordina la sanatoria o il permesso al consenso dell'assemblea di condominio e pertanto al deposito del relativo verbale di approvazione dei lavori. Le autorizzazioni comunali devono essere emesse senza che occorra la documentazione condominiale perchè i rapporti tra vicini hanno rilevanza privatistica e non devono interessare il Comune, che non è tenuto ad effettuare accertamenti sull'esistenza e validità di diritti reali, essendovi la clausola di salvaguardia generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando vi sia dubbio sul titolo privatistico di un immobile. Questa disposizione sancisce infatti che <<il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.

Occorre che il progetto sia in regola sotto il profilo edilizio e urbanistico, non potendo l'ente amministrativo domandare documentazione che attiene a sfere differenti. Resta sempre salvo il diritto dei condomini o dei vicino di contestare che le opere sono in violazione di altri ambiti, quale appunto il condominio.

Chi esegue interventi sulla sua proprietà deve rispettare i seguenti vincoli: non creare rischi alla stabilità dell'immobile; non arrecare danni al decoro architettonico dell'edificio.

Il nuovo art. 1122 c.c. dispone che <<Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio>>

Non solo.

Il condomino può eseguire lavori sulle parti comuni per ottenere un migliore e più intenso utilizzo del proprio immobile se non preclude un pari utilizzo per gli altri, non altera la destinazione d'uso della parte oggetto di lavori.

In ambito condominiale ciò è possibile nei limiti dell'art. 1102 c.c., il cui testo così recita: << Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.>>

Qualora le opere fossero contrarie a queste disposizioni, il condominio può far condannare il singolo alla demolizione delle nuove opere.

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