Riunioni dell’FMI e della Banca mondiale: una risposta fiscale alla rivolta populista

La Brexit, Trump e la rivolta populista contro la globalizzazione hanno dominato le conversazioni nei corridoi durante le riunioni annuali del FMI e della Banca mondiale a Washington, D.C., dove lo scorso weekend si sono incontrati esponenti delle banche centrali, funzionari di governo e investitori. Sebbene le paure per la politica, per il populismo e per il protezionismo fossero onnipresenti, i timori economici che avevano dominato le ultime riunioni annuali sono chiaramente venuti meno:

  • I mercati emergenti, che erano in cima alla lista delle preoccupazioni durante le riunioni dello scorso anno, non sono più visti come emergenza.
  • I rischi di deflazione, che erano stati un tema ricorrente dalla crisi finanziaria globale, non sono quasi stati menzionati.
  • La crescita economica è troppo bassa e tutti sembrano predirre adesso una stagnazione secolare, ma i rischi di recessione sono stati giudicati contenuti.
  • Nonostante i persistenti timori relativi all'Europa (che hanno dominato le riunioni del 2010-2013) e l'attenzione rivolta ai problemi del sistema bancario in Italia e in Germania, prevale l'opinione che l'economia e il settore finanziario in Europa continueranno a "tirare avanti".

Cambiamento del policy mix: meno politica monetaria, più politica fiscale

Ecco la principale conclusione cui sono giunto alla luce di quanto ascoltato a Washington: l'aumento delle apprensioni per la politica, per il populismo e per il protezionismo, unitamente ai minori timori di deflazione e di recessione, porterà probabilmente nel tempo a un policy mix molto diverso nelle economie avanzate, con meno politica monetaria e più politica fiscale.

Lo scorso novembre ho sostenuto che stiamo per vedere la fine dell'inasprimento fiscale nelle economie avanzate. Da allora, il Giappone è passato da una politica di bilancio restrittiva a una espansiva con il recente varo di un pacchetto di stimolo, il nuovo governo britannico prevede di porre fine all'austerità e molti altri governi europei, incluso quello della Germania, sono focalizzati sugli sgravi fiscali e su una maggiore assistenza ai soggetti lasciati indietro dalla globalizzazione. Come mi ha detto un funzionario a Washington, "la migliore difesa dal populismo è… il populismo". In breve, è lecito aspettarsi che la lotta alle disuguaglianze e per l'inclusione diventi una componente fondamentale delle politiche ufficiali in gran parte delle economie avanzate, quasi indipendentemente da chi vince le numerose elezioni in calendario.

La maggior parte delle banche centrali sarebbe lieta di essere supportata dalla politica di bilancio, poiché ciò agevolerebbe l'abbandono delle misure non convenzionali. Ma qui sta il problema: sebbene ciò sia auspicabile dal punto di vista economico, il passaggio dalla politica monetaria a quella fiscale è molto delicato poiché i mercati sono stati sedati e sedotti dalla prospettiva di tassi bassi più a lungo. Se questo mantra viene messo in discussione dalle crescenti aspettative che le banche centrali toglieranno il piede dall'acceleratore per far posto ai governi, la strana calma che caratterizza i mercati non durerà.

Cosa fare?

Entri la Banca del Giappone, che era stata una pioniera di politiche non convenzionali come i tassi zero, il quantitative easing (QE) e gli acquisti di obbligazioni corporate e di azioni ben prima di altre banche centrali. Ora, la Banca fa da apripista nel targeting della curva dei rendimenti, che può essere visto come uno strumento per evitare una pesante correzione dei titoli di Stato giapponesi se e quando il governo nipponico dovesse adottare imponenti misure di stimolo fiscale. La Banca Centrale Europea e la Banca d'Inghilterra potrebbero dover analogamente invitare i governi ad attuare un'espansione fiscale se vorranno ritirarsi dal QE ed evitare al tempo stesso un netto rialzo dei rendimenti obbligazionari, che potrebbe pregiudicare le condizioni finanziarie.