Prospettive per le banche europee: la tempesta è passata
Flavio Carpenzano, product manager del team del credito presso la sede PIMCO di Londra, discute con Philippe Bodereau, responsabile globale della ricerca finanziaria di PIMCO, sulle prospettive per il settore bancario europeo nel 2017.
Flavio: Philippe, all'inizio dello scorso anno la redditività delle banche è stata fonte di grande preoccupazione. Ritieni che lo scenario sia cambiato nel 2017?
Philippe: Sì, penso che siano cambiate molte cose dal punto di vista del contesto macroeconomico. Circa un anno fa eravamo nell'occhio del ciclone, soprattutto per quanto riguarda le azioni bancarie, principalmente a causa dei timori di deflazione e della convinzione che la BCE avrebbe mantenuto i tassi bassi per un periodo prolungato, se non indefinitamente. Queste apprensioni si sono ormai decisamente attenuate, come dimostra l'irripidimento della curva dei rendimenti che ha avuto inizio durante l'estate e ha acquistato slancio con l'elezione del Presidente Trump. Questa dinamica è proseguita con l'annuncio del tapering della BCE: l'istituto non ama usare questo termine, ma di fatto è quanto è avvenuto quando è stata annunciata la riduzione degli acquisti mensili di obbligazioni da EUR 80 miliardi a EUR 60 miliardi (anche se il programma è stato prorogato di nove mesi). A ciò si aggiunge il miglioramento degli indici PMI e della crescita del PIL, che ha ribaltato le prospettive per la redditività delle banche.
Un secondo punto a favore delle azioni bancarie è il rallentamento del ciclo regolamentare. Ad esempio, Basilea 4 sarà probabilmente meno gravosa del previsto, e credo che ciò darà sollievo agli azionisti.
Flavio: Dopo la crisi finanziaria le banche hanno inoltre affrontato un notevole rischio di contenzioso, con costi legali e disciplinari pari a circa USD 300 miliardi dal 2009. Credi che questo rischio possa considerarsi superato o che altri scheletri si nascondano nell'armadio?
Philippe: Non credo che ci attendano molte nuove sorprese, ma diverse questioni rimangono in sospeso. Recentemente sono state raggiunte alcune importanti transazioni stragiudiziali, il che è positivo, ma altre cause sono in corso. Nel caso di alcune banche, inoltre, le procedure di risoluzione subiscono ritardi. Tuttavia, gli istituti a nostro avviso più vulnerabili godono di solide basi patrimoniali e dovrebbero essere in grado di assorbire anche spese onerose.
Flavio: L'Italia grava sulle prospettive per le banche europee da qualche tempo. Tuttavia, da dicembre abbiamo iniziato a rilevare sviluppi positivi, con lo stanziamento da parte del governo di EUR 20 miliardi per stabilizzare gli istituti più fragili. Qual è il vostro giudizio sull'Italia?
Philippe: Siamo lievemente più ottimisti. Ciò nonostante, negli ultimi anni, tra i sistemi bancari dei paesi europei periferici abbiamo espresso una netta preferenza per le banche spagnole e irlandesi rispetto a quelle italiane. Il nostro orientamento non è cambiato.
Un importante cambiamento avvenuto verso la fine dello scorso anno è stato il collocamento privato di titoli AT1 di UniCredit, abbinato a un notevole aumento di capitale e alla cessione di alcuni prestiti in sofferenza. Per il sistema bancario italiano si è trattato di una svolta: per la prima volta i crediti deteriorati sono stati oggetto di un'adeguata valutazione "mark-to-market", come è avvenuto in Irlanda e in Spagna due o tre anni fa. È il primo e importante segnale del fatto che si intende porre un limite alla valutazione di questi attivi.
Si tratta inoltre del primo piano coerente da noi osservato. In generale, sappiamo di cosa hanno bisogno le banche oberate da un ammontare significativo di sofferenze: di una soluzione per raccogliere capitali e per gestire di questi attivi. È estremamente positivo osservare per la prima volta in Italia un programma finalizzato ad affrontare entrambi i problemi.
Trovo inoltre incoraggiante il fatto che il mercato inizi a operare una distinzione tra le banche autosufficienti e non. Per banche non autosufficienti intendo quelle incapaci di attrarre capitali privati per ricapitalizzarsi e che quindi necessitano di qualche forma di sostegno statale o governativo.
Nel complesso, quindi, l'Italia ha compiuto un importante passo nella giusta direzione, ma si tratta pur sempre di un processo in evoluzione e di uno dei sistemi bancari più in difficoltà.
Flavio: Un problema spesso citato dagli investitori è il rischio politico. Qual è il tuo giudizio sulle prossime elezioni in Europa e sul loro impatto sul settore bancario e sul mercato del credito in generale?
Philippe: Il 2016 ci ha insegnato innanzitutto che dovremmo essere molto cauti nel formulare previsioni politiche. Inoltre, anche se sappiamo a cosa andiamo incontro, potremmo comunque finire per prendere la decisione sbagliata. Pertanto in questo tipo di scenario è necessario adottare una prospettiva di lungo periodo e restare investiti.
Infatti, se all'inizio del 2016 avessimo saputo che vi sarebbe stata la Brexit, che Trump avrebbe conquistato la Casa Bianca e che Renzi avrebbe perso il referendum sulla riforma costituzionale, probabilmente non avremmo scommesso sul fatto che i mercati azionari e del credito registrassero rendimenti positivi.
In Europa, dove il calendario elettorale si intensifica con il passare dei mesi, il voto in Francia sarà di gran lunga il più monitorato. Abbiamo già iniziato a osservare una certa volatilità sul mercato degli OAT (titoli di Stato francesi) e a mio avviso questa dinamica potrebbe proseguire.
Come affrontiamo la situazione? Non ci affidiamo ai sondaggi, perché possono essere poco accurati. Secondo le indagini demoscopiche attuali, da un punto di vista puramente statistico le possibilità di vittoria della leader di estrema destra Marine Le Pen sono prossime allo 0%. Vedere la questione in questo modo sarebbe ridicolo. Ci basiamo quindi sull'ipotesi che vi sia una probabilità (seppur modesta) che Marine Le Pen vinca le elezioni.
Come posizioniamo i nostri portafogli in quest'ottica? Abbiamo un'esposizione piuttosto limitata alle banche francesi e una più ampia ai paesi non appartenenti all'Eurozona, come il Regno Unito e la Svizzera, che in termini relativi dovrebbero registrare un andamento più favorevole nell'eventualità di un esito inatteso delle elezioni in Francia.
Inoltre, la volatilità non è sempre deleteria: abbiamo elevate disponibilità liquide e approfitteremo delle opportunità per acquistare attivi con valutazioni interessanti in vista delle elezioni.
Flavio: Puoi darci qualche informazione in più su altri paesi e dirci dove ravvisi opportunità nei titoli finanziari oggi?
Philippe: Un aspetto sorprendente è l'attuale disallineamento tra le valutazioni negli Stati Uniti e in Europa. Negli Stati Uniti il premio al rischio per il debito subordinato è estremamente basso; la differenza tra il debito senior non garantito e il debito subordinato è di circa 40 punti base, mentre quella tra il debito subordinato e i titoli privilegiati si attesta a 80 punti base, un livello piuttosto ridotto. Di conseguenza, nel settore bancario statunitense lo scorso anno abbiamo privilegiato le posizioni lunghe nel debito senior.
Dopo l'elezione di Trump abbiamo chiuso le posizioni azionarie negli istituti di credito americani. Si è registrato un rally significativo – oltre il 20% per le azioni bancarie statunitensi – e riteniamo opportuno attendere gli ulteriori sviluppi sul fronte delle politiche economiche. Soprattutto, credo che sia consigliabile effettuare prese di beneficio, dal momento che i multipli degli istituti statunitensi ‒ sia i rapporti prezzo/utili che quelli prezzo/valore contabile tangibile ‒ sono ai massimi dalla crisi finanziaria.
Il Regno Unito, la Svizzera e la Spagna rimangono tra i nostri paesi preferiti. In Spagna il debito senior presenta spread relativamente contenuti; di recente, i maggiori istituti bancari hanno emesso debito senior a cinque anni al LIBOR + 50-60 punti base. Si tratta di un dato importante: significa che il mercato sconta un rischio di default estremamente basso. Se consideriamo la parte inferiore della struttura del capitale, le azioni bancarie spagnole evidenziano multipli tra i più elevati nel settore finanziario europeo, a suggerire che il mercato azionario considera queste banche interessanti e redditizie sotto il profilo commerciale.
Eppure, nonostante questi chiari segnali ai due estremi della struttura del capitale, i titoli ibridi quotano con rendimenti dell'8%-8,5%. Siamo convinti che si tratti di un'anomalia significativa, e questo non è che un esempio.
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