Il signor Mercato, il dottor Stranamore e il Presidente Trump

Dopo un breve shock iniziale post-elettorale, diversi investitori sembrano aver adottato un atteggiamento da dottor Stranamore ("Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba") nei confronti dell'elezione di Donald Trump. Le azioni dei mercati sviluppati, i rendimenti obbligazionari e il dollaro statunitense hanno registrato un rally sulla scia delle speranze di uno stimolo fiscale e di una minore regolamentazione. (L'unica eccezione degna di nota all'apparente ottimismo dei mercati è rappresentata dagli attivi dei mercati emergenti, che hanno accusato una brusca flessione per via dei timori di una svolta protezionistica negli Stati Uniti e delle conseguenze sfavorevoli del rafforzamento del dollaro e dell'aumento dei tassi "privi di rischio").

Io non sono il dottor Stranamore e ritengo che sia prematuro smettere di preoccuparsi. Una visione più articolata delle potenziali conseguenze economiche e politiche a lungo termine dell'elezione di Donald Trump deve tenere conto sia delle notevoli incertezze che ancora circondano le politiche economiche del prossimo governo statunitense, sia dei collegamenti tra le economie e i mercati a livello globale (divenuti più stretti nel corso degli anni).

Ecco cinque aspetti che gli investitori dovrebbero considerare prima di "amare la bomba".

Innanzitutto, il rischio di eventi estremi sia positivi che negativi per l'economia e i mercati globali è destinato probabilmente ad aumentare durante il mandato del Presidente Trump. Se si concentrasse sulle riforme fiscali, sull'incremento della spesa per infrastrutture e su un allentamento della regolamentazione, la nuova amministrazione potrebbe stimolare la domanda e la crescita del prodotto potenziale senza creare un'inflazione eccessiva. Per contro, una notevole enfasi su dazi e divieti d'immigrazione rischierebbe di scatenare ritorsioni da parte di altre nazioni e potenzialmente di causare una guerra commerciale in grado di alimentare un processo di deglobalizzazione. È ancora troppo presto per dire se e quale di questi due scenari finirà per avere la meglio. Intanto, è probabile che i mercati oscillino tra speranza e timore.

In secondo luogo, anche se una recessione negli Stati Uniti nei prossimi uno-due anni appare ora meno probabile, il rischio che l'attuale espansione si concluda bruscamente nel 2019 o nel 2020 è aumentato. Ciò è dovuto al fatto che un'ulteriore azione di stimolo fiscale darebbe slancio alla domanda in una fase in cui il mercato del lavoro è prossimo al pieno impiego e iniziano già a emergere i primi segnali di pressioni salariali. Le spinte al rialzo su prezzi e salari si acuirebbero se il Presidente Trump attuasse realmente le restrizioni al commercio e all'immigrazione annunciate durante la campagna elettorale. È possibile che inizialmente la Federal Reserve accolga con favore un incremento dell'inflazione e tolleri un superamento del proprio obiettivo per un certo periodo di tempo. Tuttavia, in tale contesto l'istituto dovrebbe probabilmente innalzare i tassi in modo più aggressivo rispetto a quanto farebbe in assenza di stimoli fiscali e di un'inflazione da costi causata dal protezionismo, il che potrebbe far scivolare l'economia in recessione nel 2019 o 2020.

Terzo, è probabile che l'indipendenza della banca centrale come la conosciamo venga ulteriormente minacciata, alla luce sia dell'atteggiamento da tempo critico dei Repubblicani conservatori nei confronti della Fed che degli attacchi del Presidente eletto verso la politica di Janet Yellen. Come minimo, il nuovo governo nominerà due candidati dall'orientamento restrittivo per i due posti vacanti nel Consiglio della Federal Reserve. Inoltre, al termine del mandato di Janet Yellen, nel febbraio 2018, potrebbe essere designato un nuovo presidente. Tutto ciò sarebbe prassi comune e legittima e di per sé non costituirebbe un attacco all'indipendenza della Fed. Tuttavia, resta da vedere in quale misura la politica promossa da eventuali nuove figure si adeguerà all'orientamento della nuova amministrazione. Soprattutto, la maggioranza repubblicana al Congresso potrebbe iniziare a promuovere alcune delle proposte volte a ridimensionare il mandato della Fed avanzate in passato dagli ambienti conservatori. Anche solo le voci di una modifica del mandato della Fed potrebbero incidere sulle decisioni di politica monetaria.

Quarto, a fronte della brusca correzione dei mercati obbligazionari, la nuova strategia di "controllo della curva dei rendimenti" adottata dalla Banca del Giappone appare adesso ancora più ingegnosa e potrebbe fungere da modello per altre banche centrali, forse anche per la Federal Reserve. Immaginiamo uno scenario in cui un ampio programma di stimolo fiscale (o la prospettiva di tale programma) spinga al rialzo i rendimenti obbligazionari con una violenza tale da penalizzare gli attivi di rischio e l'economia. Per evitare fibrillazioni, la banca centrale potrebbe arginare l'aumento dei rendimenti intervenendo direttamente nel mercato obbligazionario. Il modo più pulito per farlo sarebbe annunciare un limite ai rendimenti e tenersi pronti ad acquistare quantitativi illimitati di titoli per mantenere tale limite, se necessario.

Infine, la reazione del mercato all'elezione di Donald Trump rappresenta un ottimo banco di prova per l'"accordo di cooperazione di Shanghai", come ho battezzato l'intesa informale tra le principali banche centrali mondiali, secondo cui l'eccessivo vigore del dollaro è sfavorevole per tutti e deve essere evitato. Il biglietto verde si è apprezzato non solo nei confronti delle valute dei mercati emergenti, ma anche dell'euro e dello yen negli ultimi giorni. La Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone accoglierebbero probabilmente con favore un indebolimento delle rispettive valute in un contesto di inflazione persistentemente bassa, ma un eccessivo vigore della valuta statunitense penalizzerebbe i debitori in dollari dei mercati emergenti, i prezzi delle materie prime e il settore statunitense dell'energia, e potrebbe indurre la Cina a svalutare con maggiore determinazione lo yuan rispetto al dollaro, al fine di evitare un apprezzamento prolungato nei confronti del paniere di valute.

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