BCE: un'ulteriore estensione del QE prima di un'uscita irta di insidie

Assicurare un'uscita priva di ostacoli dalla politica monetaria non convenzionale sarà un'impresa non certo invidiabile

L'imponente sostegno fornito dalla Banca Centrale Europea ha rafforzato la capacità di tenuta dei mercati finanziari dell'Eurozona, ma li ha anche resi dipendenti da una continua azione di stimolo volta a mantenere la stabilità. Il tema di come disabituare i mercati a una politica monetaria accomodante – un esercizio delicato per la BCE – assumerà crescente importanza il prossimo anno e giustifica il nostro approccio prudente di lungo termine all'investimento nell'Eurozona.

La BCE ha di fatto salvato l'Euro nel 2012 agendo da "prestatore di ultima istanza" nei confronti dei suoi "azionisti" sovrani afflitti da difficoltà finanziarie. Anche le autorità di governo hanno offerto assistenza, creando il meccanismo europeo di stabilità (MES) per sostenere i membri dell'Eurozona in condizioni finanziarie precarie e gettando le basi per un'unione bancaria.

Il MES ha aggiunto un importante pilastro fiscale (che affianca quello monetario fornito dalla BCE) alla struttura di governance dell'area Euro, che è priva di un parlamento e di un bilancio propri. Con un capitale versato di poco superiore a EUR 80 miliardi, le risorse finanziarie del MES sono limitate. Tuttavia, dato l'elevato volume di titoli di Stato dell'Eurozona acquistati dalla BCE, i fondi del MES sono necessari solo alla Grecia, che non ha ancora riguadagnato accesso ai mercati.

Ulteriore espansione a breve termine

Adesso che la crisi dell'Eurozona è rientrata, la BCE è tornata a concentrarsi sulla stabilità dei prezzi. Dal 1998, anno in cui la banca centrale ha definito la stabilità dei prezzi come un tasso d'inflazione al consumo "inferiore, ma prossimo al 2%", quest'ultimo si è attestato in media all'1,7% all'anno, mancando l'obiettivo del 2% a partire dal 2014. Dopo cinque anni di scarso dinamismo dei prezzi, le aspettative di inflazione rischiano di radicarsi su livelli inferiori al target: questa è una delle principali ragioni per cui, a nostro avviso, la BCE attuerà una nuova espansione monetaria.

Due scenari di uscita

I dettagli dei prossimi passi della BCE sono importanti, ma gli investitori a lungo termine devono considerare anche altri fattori. A noi di PIMCO interessa capire quale sarà l'andamento degli attivi attualmente sostenuti dalla politica monetaria una volta rimosso lo stimolo delle banche centrali.

Il ragionamento del mercato sembra suggerire che se la presenza del QE riduce i tassi d'interesse reali a lungo termine, la sua rimozione li spingerà necessariamente al rialzo.

Ma il contesto è importante. Consideriamo, quindi, i due scenari economici nei quali la BCE potrebbe iniziare a ridurre il QE.

Capacità inutilizzata. In questo scenario, mentre alcune aree dell'Eurozona continuano a presentare capacità inutilizzata nei mercati del lavoro e sul fronte degli investimenti, i costi involontari della politica monetaria accomodante cominciano a superare i benefici, inducendo la BCE ad abbandonare progressivamente il QE. Il rischio per gli investitori è che la conclusione del QE in un quadro di crescita stagnante possa determinare un incremento dei rendimenti obbligazionari a livelli tali da rinfocolare i timori per la sostenibilità del debito, specialmente per i paesi con elevati oneri debitori e tassi di espansione contenuti.

Assenza di capacità inutilizzata. In questo scenario la crescita effettiva raggiunge il livello potenziale, con la chiusura dell'output gap: esattamente l'obiettivo cui mira la BCE e che le consente di abbandonare le misure non convenzionali. Ciò che ci interessa qui è la sostenibilità dei saldi delle partite correnti dei paesi dell'Europa meridionale. Ai tempi dell'introduzione dell'euro questa regione presentava un modesto disavanzo corrente e un tasso di disoccupazione di poco superiore all'11%. Nella fase di boom che ha condotto alla crisi finanziaria, la disoccupazione è scesa al 7% e il disavanzo delle partite correnti è salito al 7% del PIL. Durante la crisi i capitali esteri che finanziavano tale disavanzo sono fuggiti, provocando un brusco rallentamento della crescita e un aumento di nove punti percentuali del saldo delle partite correnti, passate così a un avanzo del 2% del PIL, ma al costo di una disoccupazione del 16%.

Se questi paesi ritrovassero in qualche modo una condizione di pieno impiego, le loro partite correnti tornerebbero probabilmente in disavanzo, poiché nelle ragioni di scambio o nella composizione delle esportazioni non vi sono elementi che suggeriscano un miglioramento strutturale dei loro saldi con l'estero. Il recente calo della disoccupazione e l'aumento dell'avanzo corrente sono senz'altro sviluppi favorevoli, ma ascrivibili per lo più agli effetti ritardati del deprezzamento dell'euro, cioè alla politica monetaria della BCE.

Se le partite correnti tornassero in effetti in disavanzo, gli investitori dovrebbero considerare quali sono i premi al rischio adeguati per i paesi che dipendono da capitali privati esteri. In alternativa, se l'uscita dal QE comportasse un apprezzamento dell'euro, la disoccupazione potrebbe restare elevata, alimentando lo scontento sociale.

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Saldo delle partite correnti (% del PIL)

Fonte: Eurostat, PIMCO, ottobre 2016
Disoccupazione e saldo delle partite correnti in Grecia, Italia, Spagna e Portogallo