Dopo alcuni mesi di incertezza e di relative discussioni nel consiglio direttivo, la Banca centrale europea è tornata ad aumentare i tassi ufficiali d'interesse, sia pure a piccole dosi (25 punti base), in modo da non creare problemi al consolidamento della moderata ripresa economica in atto.
Il cambio di rotta della
politica monetaria, al di là della sua prevedibile contenuta dimensione, è un evento importante, perché conclude un lungo periodo - durato ben due anni e mezzo, l'ultimo ritocco (al ribasso) risale al giugno 2003 - in cui il costo del denaro in tutta l'Europa continentale è stato ai minimi storici. Si tratta, inoltre, della prima decisione presa da Trichet di modificare i tassi da quando è diventato presidente della Bce nel novembre 2003.
Con questo rialzo il
tasso d'interessea breve termine (o di rifinanziamento principale) sale dal 2,00% al 2,25%, mentre ulteriori ritocchi di un quarto di punto sono possibili nel corso del prossimo semestre, così da portare il livello dei tassi ufficiali al 2,50-2,75% a metà 2006. La politica dei rialzi della Bce dovrebbe in ogni caso restare accomodante non andando oltre l'orientamento neutrale, anche perché la ripresa è prevista tutt'altro che vivace e ben al di sotto dei potenziali valori di crescita, nonostante qualche recente spunto di accelerazione.
La decisione di dare il via a un modesto rialzo nel costo del denaro avviene in un
quadro congiunturale che non si può certo definire né chiaro, né univoco: se l'inflazione è stata in aumento negli ultimi mesi, così come il credito al settore privato, la ripresa dell'economia rimane incerta e si appoggia sulle esportazioni più che sulla domanda interna, mentre il
cambio dell'euro non sembra granché indebolirsi; e non ci sono, poi, segnali di allarme su una possibile spirale prezzi-salari. Il nuovo orientamento della Bce sulla politica monetaria è probabilmente da attribuirsi al timore di avere troppo a lungo tassi d'interesse reali negativi, in una fase molto delicata e caratterizzata da un'abbondante liquidità sui mercati, tale da mettere a repentaglio la stabilità dei prezzi nel medio termine e da provocare distorsioni nell'allocazione del risparmio finanziario (come la bolla speculativa nel mercato immobiliare).
Tra bassa crescita, inflazione moderata e moneta abbondante
Il balzo dell'inflazione in autunno non ha riguardato solo l'indice generale armonizzato dei
prezzi al consumo, trainato dal caro petrolio, ma anche la componente "core" o di fondo, calcolata al netto dell'energia, che è moderatamente risalita. Non è, quindi, una sorpresa che la Bce abbia via via assunto un atteggiamento più preoccupato, decidendo così di intervenire sui
tassi ufficiali, fermi da troppo tempo, ritoccandoli al rialzo già prima della fine del 2005. La mossa, del resto, era stata anticipata dai mercati a inizio ottobre, con i tassi in crescita di circa un quarto di punto sia nell'interbancario, sia sui titoli pubblici e le obbligazioni societarie. I rischi per la stabilità dei prezzi non sono certo la preoccupazione dominante, oggi rappresentata piuttosto dalla bassa crescita dell'economia; ma l'inflazione può essere alimentata dagli effetti indiretti dei rincari petroliferi e dalla persistenza di un'
ampia liquidità in tutta l'area dell'euro, mentre la dinamica del costo del lavoro dovrebbe rimanere sotto controllo.
Il nuovo orientamento rialzista maturato tra i banchieri di Francoforte non va, tuttavia, interpretato come il segnale di avvio di una fase restrittiva nella politica monetaria da parte della Bce. Questo dipenderà dall'andamento delle
aspettative d'inflazione, ma anche dalle preoccupazioni per l'economia reale, la cui crescita non dovrà essere compressa soprattutto nello stadio iniziale della ripresa ciclica. Siamo in presenza, in altre parole, di una stretta monetaria "morbida", avviata e condotta con grande cautela, ben più lenta di quella con cui la
Federal Reserve americana ha riportato i tassi d'interesse dall'1% al 4% in un anno e mezzo, attuando dodici consecutivi rialzi di un quarto di punto.
Un livello neutrale dei tassi a breve può essere oggi stimato in Eurolandia sopra il 3% e non oltre il 4%, considerando la
dinamica del Pil e dell'inflazione, un valore a cui l'economia non riceve stimoli né espansivi né di freno. Il problema si pone, semmai, per il
debito pubblicoitaliano, che dovrà fare i conti in prospettiva con tassi d'interesse più alti di almeno un punto percentuale sui titoli di tutte le scadenze; ciò può significare a regime, data la struttura del debito, l'equivalente di una manovra finanziaria nell'arco di un triennio.