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L'Italia cresce, ma resta sotto la media Ue. Al Sud un quinto del lavoro è irregolare

di Nicoletta Cottone

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23 maggio 2007

La diagnosi dell'Istat sull'Italia multietnica

L'Italia cresce, ma resta sotto la media dell'Unione europea. Pieno di luci e ombre il rapporto annuale dell'Istat presentato a Montecitorio, che fotografa la situazione del Paese nel 2006. Lo scorso anno il Pil italiano è cresciuto dell'1,9%: si torna, dunque, all'espansione dopo 4 anni di stagnazione. Però il tasso di crescita del Pil, confrontato con gli altri Paesi dell'area dell'euro, la performance italiana è stata la peggiore, con un differenziale negativo di quasi un punto percentuale nel 2006, di poco inferiore all'1,3% registrato nel 2005. Secondo Luigi Biggeri, presidente dell'Istat, il Paese può crescere solo se aumenta il reddito delle famiglie e se le imprese impareranno a puntare più sugli investimenti di medio e lungo periodo che sulla redditivitá che costringono il sistema produttivo italiano a rimanere indietro rispetto agli altri paesi europei. Ma non solo. Motore della ripresa è anche il Sud che nonostante registri «situazioni dinamiche» continua a denunciare «una maggiore difficoltá» rispetto alle altre aree del Paese. La ripresa italiana è significativa nell'industria, mentre è ancora modesto il contributo dei servizi.

L'Italia, osserva il premier Romano Prodi commentando il rapporto Istat, ha tre anomalie: la situazione del Mezzogiorno, l'invecchiamento della popolazione, le difficoltà a entrare nel mondo del lavoro da parte di giovani e donne. Secondo il premier dai dati statistici emerge in particolare, oltre alla grave anomalia del Mezzogiorno, che «la partecipazione al lavoro, soprattutto femminile e giovanile, è simile ai dati del Nord-Africa e non del resto d'Europa». Il secondo segnale d'allarme, osserva Prodi, «è il grande invecchiamento della popolazione e quindi anche il costo di tale invecchiamento. Il terzo, è la partecipazione al lavoro di donne e giovani». Questi - ha concluso il premier, «sono i tre segnali di allarme con i quali abbiamo a che fare per mettere il Paese a posto nel futuro».

Lavoro. L'occupazione cresce, ma resta un differenziale di circa 7 punti percentuali rispetto al resto dell'Unione europea. Molto difficile la situazione occupazionale del Sud,c he non riesce a ridurre la distanza dal resto dell'Italia e dell'Unione europea. Difficile la situazione dei sistemi locali di lavoro, con una forte sottoutilizzazione delle risorse che colpisce, in particolare, Campania, Puglia, Sicilia e Caloria. Molto diffuso al Sud il lavoro irregolare, in molte zone vicina o superiore al 20%, pari a circa tre volte quella che si registra al Nord. La bassa partecipazione al lavoro, soprattutto dei giovani, frena le scelte individuali. Nel 2006 il tasso di occupazione giovanile è inferiore di 15 punti rispetto alla Media Ue a 15 e questo differenziale si è ampliato di 6 punti in dieci anni. Si allungano, dunque, i percorsi formativi, legati alla forte difficoltà di trovare un lavoro. Circa l'88% delle persone fra i 15 e i 24 anni in condizione non attiva è impegnato nel sistema formativo. In compenso si lavora più a lungo fra gli over 55. Si innalza anche la quota delle occupate e il loro tasso di partecipazione, tanto che oltre il 60% dell'incremento complessivo dell'occupazione (2,7 milioni in dieci anni) ha riguardato l'universo in rosa. L'inserimento delle donne nel mercato del lavoro, però, resta fortemente condizionato dagli impegni familiari, tarpato dall'offerta inadeguata dei servizi all'infanzia e dal sistema del Welfare che non sostiene le attività di cura e di assistenza alla famiglia.


Mondo produttivo. Molte imprese e pochi dipendenti: questa è la fotografia che il Rapporto Istat 2006 scatta al sistema produttivo italiano, dove un lavoratore su tre è autonomo. Le imprese italiane. Maggiormente orientate al sistema manifatturiero, hanno, infatti, dimensioni ridotte, specializzate in settori a basso valore aggiunto, con modelli di organizzazione basati sulla famiglia. La forza del sistema rimane il «made in Italy», mentre le note dolenti si confermano il livello di spesa in ricerca e sviluppo, stabile all'1% del Pil e ancora lontano dagli obiettivi del Piano per l'innovazione e la produttività, sempre inferiore alla media Ue. Rispetto al 2000, cresce la specializzazione in tutti i settori del Made in Italy, mentre si riduce quella nelle produzioni in cui all'inizio del decennio il nostro Paese era specializzato (fibre sintetiche e artificiali) o teneva il passo delle altre economie europee (farmaceutica).
Nel terziario, poi, l'Italia risulta relativamente più qualificata nei trasporti marittimi e terrestri, nelle attività di poste e telecomunicazioni e nel commercio all'ingrosso.
Rispetto al 2000, si accentua la specializzazione nei servizi di noleggio, mentre si contrae quella negli altri servizi professionali e imprenditoriali. Sensibili riduzioni ci sono anche nel settore alberghiero e nelle attività ausiliarie dei trasporti (incluse quelle delle agenzie di viaggio).
Nel triennio 2002-2004, la quota italiana di imprese innovatrici, sebbene inferiore a quella media europea (35,4% contro 38%), segna un lieve aumento rispetto agli anni 1998-2000. L'impegno finanziario delle imprese italiane è appena inferiore a quello medio europeo (nel 2004, 7.200 euro per addetto contro 7.800). Rispetto al periodo precedente la spesa per addetto cresce nei servizi (5.200 euro contro i 3.600 del 2000) e rimane stabile nell'industria (9.400 euro per addetto).
L'Italia è poi ancora indietro nell'utilizzo dell'Ict (Information and communication technology) ed è ancora basso anche il ricorso al telelavoro (4% delle imprese in Italia, 21% in Europa) e all'e-commerce, con uno scarto di 11 punti percentuali sia per gli acquisti sia per le vendite online. Fa eccezione l'uso di servizi online offerti dalla pubblica amministrazione, con uno scarto favorevole di 23 punti percentuali rispetto alla media europea. L'Ict, inoltre, è più diffuso nel terziario, mentre nel manifatturiero c'è invece una frequenza più elevata di siti web (62,4%) e di sistemi di gestione automatica degli ordini.


Allarme Sud. Le situazioni più positive del Mezzogiorno tendono comunque a essere peggiori delle situazioni negative del Nord. Qualche segnale di inversione di tendenza si rileva solo in Sardegna e in Abruzzo, mentre la Sicilia detiene il primato dei redditi più bassi. Si aggrava, dunque, il sistema duale della nostra economia. Di fatto, sono ripresi già da qualche anno i flussi migratori interni, e questo a conferma evidentemente del fatto che é preferibile vivere in una situazione ritenuta marginale al Nord piuttosto che in una positiva al Sud.

Pensioni. Nel 2005 in Italia ci sono 71 pensionati ogni 100 occupati. Nel 2005 il nostro Paese, spiega l'Istituto di statistica nel capitolo relativo alle condizioni economiche delle famiglie, «ha speso 215 miliardi di euro, pari al 15 per cento del Pil, per le prestazioni pensionistiche previdenziali e assistenziali. Di questi, 12 mila euro medie annue sono per le pensioni di vecchiaia, 4 mila per quelle di guerra». I pensionati nel 2005 «sono 16,5 milioni, di cui il 53 per cento donne, ma gli uomini assorbono il 56 per cento del reddito da pensione complessivo: in media annua 16 mila euro per gli uomini, 11 mila per le donne». Nelle regioni settentrionali si concentra la maggior parte delle prestazioni previdenziali (48 per cento del totale) e della spesa erogata (51 per cento); nel mezzogiorno le pensioni erogate sono il 31 per cento, la spesa il 27 per cento. Il 31% dei pensionati percepisce un importo compreso tra 500 e mille euro, il 24% meno di 500 euro, il 23% un importo compreso tra mille e 1500 euro; il restante 22% supera i 1500 euro mensili. Nel Nord ci sono più percettori di pensioni di vecchiaia in relazione alla popolazione residente. Nel Mezzogiorno ci sono
più beneficiari di prestazioni assistenziali e di assegni ordinari di invalidità (pensioni sociali, pensioni e/o indennità di invalidità civile). Nel Centro si concentra il numero più alto, rispetto alla popolazione residente, di pensioni di guerra.


L'invecchiamento. L'Italia è il Paese più vecchio d'Europa. Al 1° gennaio 2006 si contano 141 persone di 65 anni e oltre 100 con meno di 15 anni. Nel mondo invecchia più di noi solo il Giappone con 154 anziani ogni 100 giovani. L'invecchiamento è il vincolo strutturale più complesso da gestire, avverte l'Istat. La fecondità, scesa negli anni Settanta sotto il livello di sostituzione (due figli per donna), è tuttora a basso livello (1,35 nel 2006), anche se si registra una ripresa rispetto all'1,19 registrato nel 1995. Il nostro Paese è, però, in testa alla graduatoria mondiale di speranza di vita (78,3 anni per gli uomini, 84 per le donne, alla nascita; 16,8 anni per gli uomini e 20,6 per le donne, a 65 anni): migliorano le condizioni di vita, c'è più attenzione alla prevenzione, si registra un forte progresso della tecnologia medico-sanitaria, condita da stili di vita più salutari. La foto scattata dall'Istat registra che le famiglie sono sempre più costrette a utilizzare servizi di assistenza con costi ingenti ed evidenti ripercussioni sui bilanci familiari.


Condizioni delle famiglie. Sono le famiglie siciliane le più povere d'Italia, visto che proprio nell'isola si registra il reddito medio familiare più basso, pari a quasi 21 mila euro. Al top della classifica delle famiglie benestanti si trova, invece, la Lombardia, con un reddito medio di oltre 32.000 euro. Il check-up del paese mostra una forte differenziazione tra Nord e Sud resta in tutta la sua gravità: il reddito delle famiglie che abitano nel Mezzogiorno è infatti pari a circa tre quarti del reddito delle famiglie residenti nelle regioni settentrionali.
Forte il disagio economico nel Mezzogiorno: le famiglie in condizioni di disagio economico nel 2005 risultavano nel Sud il 22,3%, contro il 12,1% della media italiana. Se il 14,7% delle famiglie italiane dichiarava di arrivare con grande difficoltà a fine mese, la percentuale saliva al 22,8% nel Mezzogiorno, dove il 42,5% non riusciva a far fronte a una spesa imprevista di 600 euro, il 15,3% aveva arretrati nel pagamento delle bollette, il 22,4% non poteva riscaldare adeguatamente la casa, il 28,3% non aveva soldi da spendere per l'abbigliamento, il 21% non poteva affrontare le spese mediche e il 7,4% per quelle alimentari. Il 5% non aveva potuto, addirittura, permettersi un'alimentazione adeguata.
Al Sud la percentuale di famiglie che possono contare sulla pensione come unica fonte di reddito è nel Mezzogiorno del 27,5%, contro il 21,2% del Nord. A fonte di questa situazione, invece, è proprio nelle regioni del Sud che si registra la spesa sociale più bassa: 36 euro per le politiche di aiuto alle famiglie contro i 135 del Nord-est, 46 euro per ogni anziano (contro 173), 448 euro per ogni persona con disabilità (contro 4.182).

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