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«È Murdoch la grande sfida della Disney»

di Alessandro Plateroti

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Sabato 19 Gennaio 2008
Bob Iger, presidente e CEO di Walt Disney Company (AP Photo/Jae C. Hong)
Con la «Premium Gallery» Mediaset rinnova la pay-tv

In quest'intervista, una delle poche rilasciate alla stampa, del gennaio 2008 già erano indicati i punti chiave della strategia di crescita del Magic Kingdom

L'idea di un matrimonio con Apple computer, almeno per ora, gli crea soltanto i brividi: «Una fusione o un'alleanza strategica tra la Disney e il gruppo di Steve Jobs è pura speculazione di mercato: la Apple è un nostro socio e partner importante e Jobs è la mente più creativa nel mondo dei media e della tecnologia.

Ma conoscendo personalmente Steve Jobs, so che per ora è bene tenerlo a una certa distanza. In futuro si vedrà: oggi c'è un'alleanza commerciale che ci permette di crescere». Bob Iger, 56 anni, è appena al terzo anno alla guida della Disney e già vede cambiare il mondo intorno a sé: «La trasformazione del nostro settore è talmente veloce - dice il top manager del colosso dell'intrattenimento e dei media - da imporre un adeguamento costante delle strategie all'evoluzione del processo di convergenza tra i media».

In questa intervista a Il Sole 24 Ore, rilasciata in una pausa del suo breve viaggio in Italia, il primo da quando ha assunto la guida della Disney nell'ottobre del 2005, Iger accetta di parlare non solo del nuovo modello di impresa che sta costruendo intorno alla «casa di Topolino», ma anche dei protagonisti e dello scenario competitivo globale che si sta delineando nell'industria dei media. Parla quindi non solo di Steve Jobs – figura-chiave nel consiglio della Disney e soprattutto nel garantire alle produzioni del gruppo i più importanti canali di distribuzione digitale della Apple – ma anche dell'amico-nemico Rupert Murdoch, che a suo giudizio rappresenta l'unica vera sfida alla Disney e più in generale al vecchio mondo delle media company.

«Murdoch è il più grande di tutti e quando ne ho l'occasione glielo dico personalmente: solo uno come lui poteva essere in grado di portare a termine l'acquisizione della Dow Jones, una mossa che non sarebbe riuscita a nessun altro. Ciò detto, Murdoch è per noi la vera sfida: il suo è un gruppo integrato e mondiale. E grazie alla piattaforma Sky, in Europa ha una forza d'urto imbattibile sul mercato dei diritti televisivi in campo sportivo. Ha praticamente un monopolio. In ogni caso, penso che il mondo dei media abbia oggi due personaggi chiave: Steve Jobs per la creatività tecnologica e Rupert Murdoch per la visione strategica nell'evoluzione del mercato». E Silvio Berlusconi? «Quando lo ho conosciuto parecchi anni fa – dice sorridendo Iger – sono rimasto colpito: non mi aspettavo di trovare in Italia una personalità così dirompente. Mi ha fatto una grandissima impressione, da solo riempiva la stanza con la sua esuberanza. Ma oggi Berlusconi si occupa d'altro, e i risultati politici non spetta a me giudicarli».

Il personaggio
Nell'era dei dopo-mogul del settore dei media, Bob Iger può essere tranquillamente definito come un archetipo. Quando fu scelto per sostituire Michael Eisner al vertice della Walt Disney, Iger fu definito da molti come una brutta copia del suo ex-capo, come un dirigente serio e preparato ma privo del carisma e dell'autorevolezza del suo predecessore. Invece, in poco più di 2 anni Iger ha restituito alla Disney il ruolo-guida nel mondo dell'intrattenimento e dei media, di internet, del turismo e persino del settore educativo, nuova frontiera dell'unica multinazionale americana i cui asset intangibili - da Topolino a Ratatouille - non si sono svalutati neppure con la crisi dei mutui subprime. Ma il passo forse più importante compiuto da Iger, un manager apparentemente mite ed estremamente disponibile alla conversazione informale, è stata proprio la ricucitura dei rapporti con il genio della Apple, Steve Jobs, entrato precedentemente in collisione con la Disney di Michael Eisner. Il buon rapporto con Jobs gli ha permesso prima di comprare la Pixar, il colosso americano del cinema digitale animato, e poi di veicolare le proprie produzioni e contenuti televisivi e cinematografici su quei miracoli di tecnologia e costume che si chiamano iPhone, iTunes e iPod. Un lavoro che negli ultimi due anni ha permesso al titolo della Disney di guadagnare distanza rispetto ai concorrenti e allo stesso indice Standard & Poor's.

Media company addio
«Il motivo per cui andiamo meglio degli altri sia in Borsa che sul mercato dell'intrattenimento – spiega Iger – è perché siamo il prototipo di un nuovo modello di impresa: mentre i grandi concorrenti come Time Warner, Viacom o Cbs continuano a inseguire il modello della media company, noi lo abbiamo già superato, diventando qualcosa di totalmente nuovo nello scenario competitivo. Se la media company era l'architettura vincente negli anni 90, oggi la formula che si afferma è quella della branded creative content company, cioè quella di un'impresa il cui primo obiettivo è creare contenuti creativi e originali sotto un unico marchio da utilizzare in una pluralità di mezzi di comunicazione e di intrattenimento. Noi abbiamo aperto a Milano la nostra Accademia mondiale dei creativi, la nostra fucina di uomini e di idee: da qui nascono le menti di ogni parte del mondo che stanno dietro le produzioni di film, telefilm, spettacoli, programmi educativi e cartoni animati destinati al cinema e alla televisione via cavo e via etere. Chi esce dall'Accademia Disney di Milano viene poi inserito nelle strutture Disney sparse per il mondo e dove nascono poi concretamente le varie produzioni». Iger sottolinea una svolta importante per il gruppo: «In passato le produzioni Disney nascevano in America e venivano poi distribuite in gioro per il mondo. Oggi le produzioni per mercati importanti come l'India o la Cina vengono fatte dalle Disney nazionali e commercializzate nell'area di riferimento. La centralizzazione americana è stata sostituita dalla personalizzazione su base locale».

  CONTINUA ...»

Sabato 19 Gennaio 2008
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