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L'Europa: tagliare gli stipendi d'oro

dall'inviato Adriana Cerretelli

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15 MAGGIO 2008
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A lanciare il sasso nello stagno europeo è stata l'Olanda, dopo che si è ritrovata vittima di un attentato scandaloso e manifesto al suo proverbiale egualitarismo. Il colpevole, Jan Bennink, 51 anni, il suo cittadino da 80 milioni di euro. Il top manager li ha accumulati in più anni tra buonuscite, stock option e paracadute vari facendo lo slalom ai vertici di vari gruppi: da Procter & Gamble a Danone, da Kraft a Royal Numico.

Con i suoi 22 milioni di superbonus anche Rijkman Groenink della Abn-Amro, lo scalatore di Antonveneta, ha però fatto la sua parte nello scatenare l'indignazione popolare in patria. Costringendo il Governo Balkenende non solo a presentare una legge, che quasi certamente sarà approvata entro l'anno, per porre almeno un argine fiscale alle retribuzioni stratosferiche. Ma a premere sui partner europei per indurli a fare altrettanto. Apparentemente con successo.
«Abbiamo deciso che la questione sarà affrontata nel corso del prossimo semestre, la presidenza francese si è impegnata a farlo con l'accordo generale», ha annunciato ieri, al termine della riunione dei ministri Ecofin, il presidente di turno, lo sloveno Andrej Bajuk. Di sicuro il dossier piace molto a Parigi. E al presidente Nicolas Sarkozy, sensibile alle battaglie per fustigare i cattivi costumi societari e tentare di moralizzare il capitalismo. Non solo a parole. In autunno in Francia è stato approvato un giro di vite sulle stock-option insieme a misure sui paracadute dorati che fissano in 1 milione di euro il tetto delle agevolazioni fiscali deducibili dagli utili imponibili delle società.
Il clima,d'altra parte,è favorevole in un'Europa dove la crescita economica rallenta e, peggio, l'inflazione torna a correre. Imponendo ai lavoratori la moderazione salariale infinita. «Quando si chiede disciplina per i salari, aumenti legati solo alla produttività, è necessario avere una posizione chiara sui livelli remunerativi che niente hanno a che vedere con la produttività e contengono fattori di rischio », ha avvertito ieri il commissario europeo Joaquin Almunia. E ha ricordato che nel dicembre 2004 la Commissione fece una raccomandazione proprio sulla governance societaria, iper-compensi compresi, ma che a una verifica effettuata nel luglio scorso il suo recepimento nei 27 Stati membri è risultato più che scarso. «Eppure nel frattempo sono maturati nuovi argomenti per pretendere una maggiore trasparenza della governance d'impresa, una miglior tutela dei diritti degli azionisti che devono potersi esprimere e decidere. Anche perché, nelle stesse conclusioni del,'Fmi,i meccanismi dei superbonus e simili si sono tradotti in incentivi negativi per le imprese, forse non estranei alla crisi finanziaria in corso».

Parole dure, quelle di Almunia, che non esclude «un intervento a livello internazionale e non solo europeo». Fanno il paio con quelle sferzanti del lussemburghese Jean- Claude Juncker. Il presidente dell'Eurogruppo ha parlato «di un vero flagello sociale, di eccessi eticamente inaccettabili contro i quali stiamo esaminando come lottare con adeguati strumenti fiscali» (si veda Il Sole-24 Ore di ieri). Altrimenti «rischiamo di non essere più capiti dai nostri cittadini », i cui redditi sono falcidiati dall'inflazione.

Pur senza sbilanciarsi più di tanto, «è troppo presto per dire che cosa fare», Giulio Tremonti ieri è apparso sostanzialmente in sintonia: «La mia opinione è estremamente critica sui meccanismi automatici. Servono dei limiti sulle remunerazioni. Non ho un'idea precisa ma tassare in modo diverso i bonus mi sembra giusto».

La materia in effetti è sdrucciolevole e non solo perché quando di mezzo c'è il fisco le competenza restano strettamente nazionali ma anche perché, come si legge nel rapporto presentato ieri ai ministri Ecofin, «continuano a scarseggiare le informazioni sulle politiche retributive dei manager, in particolare sul modo in cui sono legate ai risultati d'impresa». Con il dubbio che i superbonus «possano indurre ad assumere rischi sproporzionati ». Che sia per ragioni etiche, pratiche o prudenziali poco importa, l'Europa ieri è partita per una nuova crociata. In attesa di elaborare un approccio comune, ammesso che alla fine si riveli possibile, si sta già muovendo a ranghi sciolti. La Germania appare scatenata almeno quanto l'Olanda.

Nel Paese che gridò alle «locuste » del capitalismo, i socialisti premono dentro il Governo di Angela Merkel per varare una legge che fissi, come in Francia, a 1 milione di euro il tetto sulla quota delle retribuzioni dei top manager che le società possano dedurre dai profitti tassabili. Del resto, quando l'industria tedesca respinge l'introduzione del salario minimo nazionale – ma poi uno studio rivela che il potere d'acquistodei lavoratori è sceso del 3,7% negli ultimi quattro anni mentre nel solo 2007, tra l'altro l'anno del divorzio da Chrysler, i compensi del board di Daimler sono lievitati del 45% – le pressioni diventano comprensibili.

  CONTINUA ...»

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