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Clima, la Ue: «Sbagliate le stime italiane sui costi»

di Gianni Trovati

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19 ottobre 2008

Il commissario all'Ambiente contesta le stime fornite dal Governo e respinge l'ipotesi di un rinvio di Kyoto

«Le stime italiane dei costi del pacchetto Ue su clima ed energia non sono affatto corrette». Stavros Dimas, il commissario europeo per l'Ambiente, in un'intervista all'Apcom risponde punto per punto al Governo italiano, che afferma di basarsi proprio sugli studi della commissione europea per dire che i costi dei provvedimenti sull'ambiente sono eccessivi.

La battaglia dei numeri

Secondo Palazzo Chigi l'Unione europea parla di oneri pari all'1,14% del Pil, cioè 181 miliardi di euro, dal 2011 al 2020, ma Dimas ribatte secco: «Non abbiamo mai dato una cifra del genere, non sappiamo da dove provenga. Il riferimento all'1,14% del Pil - precisa poi il commissario europeo - potrebbe effettivamente provenire da uno studio di background elaborato per la Commissione, ma esamina uno scenario che non corrisponde alla nostra proposta legislativa».

La presa di posizione del commissario greco contesta il pilastro stesso della posizione italiana, che proprio sui numeri "targati" Ue ha fondato la propria opposizione al pacchetto. «Sono stime europee - ha sottolineato infatti il ministro dell'Ambiente italiano Stefania Prestigiacomo -, non ce le siamo inventate noi». Le cifre fornite oggi da Dimas, però, collocano i costi previsti poco sopra la metà dei 181 miliardi di euro evocati dal Governo italiano: «Secondo la Commissione - spiega - i provvedimenti possono costare al massimo lo 0,66% del Pil, calcolando non solo gli obiettivi relativi alla riduzione dei gas serra e allo sviluppo delle rinnovabili, ma anche i meccanismi flessibili che si possono utilizzare per raggiungerli».

Il commercio delle «quote»

L'analisi citata da Dimas, infatti, prende in considerazione anche tutti i sistemi "commerciali" che sull'esempio di Kyoto possono tradursi in un miglioramento delle performance del Paese. Il commercio dei diritti di emissione, ad esempio, permette alle imprese europee di scambiarsi le quote, concentrando le riduzioni effettive di emissioni nelle realtà dove è più economico realizzarle. Se gli interventi per frenare i gas serra avvengono fuori dall'Europa, le riduzioni possono invece essere calcolate nel continente per effetto delle compensazioni di Kyoto. Dimas ricorda poi che i provvedimenti in cantiere a Bruxelles permettono anche di acquistare da altri Paesi energie verdi, e metterle in conto nel proprio sistema nazionale con il meccanismo dei "certificati verdi". «Tutti questi - ha ribadito Dimas - sono elementi essenziali della nostra proposta legislativa, ma il Governo italiano non li prende in considerazione. Ovvio che in questo modo i costi aumentino.

Niente sconti su Kyoto

Nella sua riflessione il commissario europeo prende posizione anche sul rispetto del Protocollo di Kyoto, che l'Esecutivo italiano ha annunciato di voler ridiscutere per rinviarne le scadenze. Anche su questo fronte, le parole di Dimas non sembrano aprire nessuno spiraglio: «Il Protocollo non è un optional, ma un preciso obbligo giuridico il cui mancato rispetto verrebbe sanzionato. Con prezzi pesanti per le imprese». E secondo i dati della Commissione europea il rischio non è remoto: il Protocollo, e la legislazione Ue che ne è derivata, impone ai Paesi dell'Unione, nel quinquennio 2008-2012, di ridurre dell'8% le emissioni rispetto al 1990. L'Italia, come si legge nelle stime pubblicate giovedì scorso dalla Commissione, nel 2010 rischia invece di aumentarle del 7,5 per cento. Ricorrendo ai meccanismi commerciali citati prima, invece, il Paese centrerebbe una riduzione del 4,5 per cento. «È indispensabile - afferma quindi Dimas - che l'Italia prenda altri provvedimenti, per ridurre le emissioni di altri due punti percentuali». Altrimenti, si spalancherebbe la porta alle sanzioni.

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