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Usa, bocciato il piano auto
Gm e Chrysler a rischio

di Marco Valsania

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12 dicembre 2008

Nessun salvataggio per Detroit. I negoziati al Congresso americano per varare aiuti d'emergenza all'auto sono naufragati tra violente polemiche sulla richiesta di drastici tagli nei compensi dei lavoratori. Democratici e repubblicani si sono arresi davanti all'impossibilità di trovare un'intesa sulle condizioni da imporre per stanziare 14 miliardi di dollari soprattutto per Gm e Chrysler, che ora potrebbero essere costrette della crisi a entrare in amminstrazione controllata entro fine anno. Ford ha chiesto linee di credito per il futuro. Gm ieri notte ha già ingaggiato esperti legali e finanziari, tra cui Harvey R. Miller di Weil Gotshal & Manges, per preparare un eventuale ingresso in Chapter 11. Senza accordi, un voto procedurale ha rapidamente condannato gli aiuti al fallimento al Senato: il piano ha ottenuto solo 52 voti a favore su cento, contro i 60 indispensabili a portare la legge in aula e a superare l'ostruzionismo degli oppositori.

La drammatica maratona negoziale si è interrotta dopo che i leader democratici e sindacali hanno respinto la principale richiesta repubblicana: che i salari dei dipendenti di Gm, Ford e Chrysler fossero ridotti al livello di quelli dei concorrenti non sindacalizzati, a cominciare dalle case giapponesi, gia nel 2009. Detroit oggi ha ancora un costo del lavoro orario, compresi i benefit, attorno ai 70 dollari contro i neppure 50 dollari dei rivali, anche se esistenti intese sindacali già prevedano la sua riduzione nei prossimi anni. I democratici hanno accettato la parità salariale con gli impianti non sindacalizzati ma non prima del 2011. I repubblicani hanno inoltre insistito per significativi sacrifici da parte dei creditori dei gruppi: l'obiettivo era una riduzione del debito di due terzi rispetto agli attuali 60 miliardi entro il 31 marzo.

Non è chiaro se il Congresso proverà nelle prossime ore a resuscitare una legge sugli aiuti. Ma il leader democratico al Senato Harry Reid, scoraggiato, ha dichiarato che «è finita». E ha aggiunto di sperare piuttosto che l'amministrazione Bush si convinca ad attingere per l'auto ai fondi del già esistente piano del Tesoro da 700 miliardi di dollari destinati al salvataggio delle banche. La Casa Bianca ha finora escluso una simile ipotesi. Nella notte si è detta «delusa» del fallimento in Congresso e ha affermato di voler valutare tutte le sue opzioni. Un'altra strada caldeggiata da alcuni leader democratici prevede aiuti da parte della Federal Reserve. I 14 miliardi per Detroit discussi dal Congresso sarebbero invece arrivati da fondi originalmente dedicati allo sviluppo di vetture ecologiche.

Ma come si è arrivati a questa clamorosa bocciatura? Democratici, repubblicani, rappresentanti dell'auto e del sindacato hanno trattato a porte chiuse fino a tarda sera alla ricerca di un'intesa in extremis che tenesse in carreggiata il salvataggio dell'auto. Secondo il senatore repubblicano del Tennesseee Bob Corker ad un accordo finale mancavano soltanto "tre parole", quelle sul costo del lavoro. E' stato un ostacolo insormontabile.

Un compromesso tra democratici e Casa Bianca era stato inizialmente siglato mercoledì: prevedeva gli aiuti in cambio soprattutto della nomina di uno "zar" dell'auto che avrebbe supervisionato la riorganizzazione delle aziende.
Strategie di risanamento di lungo termine erano richieste entro fine marzo, altrimenti lo zar avrebbe avuto il potere di ritirare gli aiuti e imporre soluzioni. Altri capitoli del compromesso prevedevano la partecipazione azionaria del governo nella imprese e riduzioni nei compendsi dei top executive di Detroit. La Camera aveva approvato il progetto nella stessa serata con 237 voti contro 170. I senatori repubblicani avevano tuttavia fin da subito attaccato il piano come del tutto inadeguato e non abbastanza "duro", guidati da Corker, dal leader di minoranza Mitch McConnell e da Richard Shelby, che nel recente passato si era opposto anche al salvataggio dell'alta finanza. I repubblicani ribelli avevano accolto con freddezza anche le pressioni del presidnete uscente George W. Bush: il vicepresidente Dick Cheney si era incontrato con loro mercoledì accolto da aperto scetticismo. Altre frenetiche telefonate della Casa Bianca nella giornata di giovedì non hanno sortito alcun esito.

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