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DOPO LA CRISI / Per la finanza riforme radicali

di Martin Wolf

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21 Aprile 2010

Possiamo permetterci questo sistema finanziario? No, e capirlo è condizione necessaria per valutare le riforme proposte. Più siamo consapevoli dei rischi, e più diventa evidente che il radicalismo è la scelta più sicura.

Si presta troppa attenzione ai costi diretti dei salvataggi. Secondo Andrew Haldane della Banca d'Inghilterra, negli Usa e in Gran Bretagna rappresentano circa l'1% del Pil. I costi che contano sono però quelli della recessione e dell'enorme balzo del debito pubblico. Se solo un quarto del calo di produzione globale avvenuta durante la recessione si dimostrasse permanente, il valore attuale di questa perdita potrebbe ammontare al 90% del Pil mondiale.

Come mai? È molto semplice, il settore finanziario è cresciuto, i suoi rischi anche. Il caso britannico è clamoroso: negli ultimi 40 anni, le attività delle banche sono passate dal 50 al 550% del Pil. Il capital ratio è fortemente calato, mentre il return on equity saliva e diventava più volatile.

La combinazione di un'assicurazione statale (che protegge i creditori) e di una responsabilità limitata (che protegge gli azionisti) crea una macchina finanziaria da apocalisse e favorisce un'“improvvidenza razionale”. L'effetto più pericoloso viene dagli estremi del ciclo creditizio, e il massimo del pericolo dalle autorità costrette a sgonfiare altre bolle creditizie, per prevenire l'impatto devastante dell'esplosione delle precedenti. In fin dei conti, non importa quello che succede alla finanza, ma quello che la finanza fa subire all'economia.

Il sistema finanziario ingorgato di oggi produce benefici che giustificano simili costi? In un recente discorso, Adair Turner, presidente della Fsa, l'Autorità britannica per i servizi finanziari, rispondeva di no. I sistemi finanziari sono servi importanti dell'economia, ma pessimi padroni. Gran parte dell'attività del settore sembra una macchina per trasferire reddito e ricchezza dall'esterno al proprio interno e nel frattempo per rendere più fragile tutta l'economia. Vista la portata delle distorsioni del sistema dovute al governo, su questo punto dovrebbe concordare anche il sostenitore più accanito del libero mercato. È difficile individuare un sostanziale beneficio del massiccio leverage dell'economia: si pensi al settore immobiliare. È servito solo a creare guadagni illusori mentre andava su e danni reali mentre andava giù.

Le promesse della securitization, dice Adair Turner, non sono state poi mantenute. Sembrano assai discutibili gli argomenti a suo favore: il “completamento del mercato” e il maggiore accesso al credito. Colpisce in particolare che i credit default swaps non siano riusciti a segnalare in anticipo la crisi finanziaria. Tutto sommato, l'invenzione dei titoli complessi ha aggravato i problemi d'informazione e d'incentivi tipici dei sistemi finanziari complessi. Va riesaminato anche l'argomento che è meglio una maggiore liquidità sul mercato, invece del contrario: in realtà aggrava l'improvvidenza razionale.

Che fare, allora? Per rispondere alla domanda, occorre innanzitutto identificare i principali pericoli: il primo è che i paesi ad alto reddito, con un tasso di crescita economica limitato e i costi enormi legati all'invecchiamento della popolazione, non possono permettersi un'altra crisi, e il secondo è l'impatto sull'economia. Tenuto conto di questi dati, si possono valutare le idee che stanno circolando, tre delle quali vanno subito rimesse al loro posto.

Un'idea popolare nell'ambiente dei repubblicani americani è di dire no ai salvataggi, e basta. È una sciocchezza, le istituzioni finanziarie sono fortemente interconnesse, per essere credibile il governo non può impegnarsi a stare a guardare quando l'intero sistema è in pericolo.

Un'altra idea popolare tra i liberali americani è il concetto di “too big to fail”. Come dice Haldane, per le grandi banche l'assicurazione implicita è maggiore che per quelle piccole, e nel sistema bancario le economie di scala sono modeste. La gestione d'istituti così complessi è di una difficoltà immensa. Infine, la diversificazione che vanno cercando è illusoria: sono tutti quanti esposti ai rischi generali dell'economia. È importante non esagerare il significato della dimensione: alcuni dei sistemi che hanno attraversato senza troppi danni la crisi, quello canadese per esempio, sono dominati da un oligopolio bancario stabile. Negli Usa invece, la Grande Depressione ha mostrato che il fallimento di molte piccole banche non diversificate può essere molto distruttivo.

Una terza idea è che tutto fa perno sulla completezza della regolamentazione. Si dice che se fosse stata imposta una sorveglianza seria, l'andamento del leverage e della morosità avrebbe potuto essere fermato. Anche questo è improbabile. È difficile regolamentare la finanza andando contro gli incentivi di chi la gestisce. La soluzione deve comprendere un cambiamento, semplice e trasparente, degli incentivi. Per dirla brutalmente, i partecipanti devono temere le conseguenze di errori gravi, non basta dire loro di smetterla.

  CONTINUA ...»

21 Aprile 2010
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