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DEBITO SOVRANO / L'Fmi di fronte al bivio Europa

di Kenneth Rogoff

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22 Aprile 2010

Con il ruolo centrale che ricopre nell'ambito del progetto della zona euro per il salvataggio in extremis della Grecia, quel prestatore multilaterale che è il Fondo monetario internazionale è ritornato al punto di partenza. Alle sue origini, all'indomani della Seconda guerra mondiale, l'Fmi aveva come compito fondamentale quello di aiutare l'Europa a rimettersi in piedi dalle devastazioni del conflitto. C'è stato un tempo in cui il Fondo ha avuto una notevole quantità di programmi in corso sul Continente. Fino alla recente crisi finanziaria, tuttavia, la maggior parte degli europei presumeva di essere ormai fin troppo ricca per dover sottostare ancora una volta all'umiliazione di chiedere assistenza all'Fmi.

Benvenuti in una nuova epoca. L'Europa è ormai diventata l'epicentro della più consistente influenza dell'Fmi da svariati anni a questa parte. Numerosi importanti paesi - tra cui Ungheria, Romania e Ucraina - già ora beneficiano di cospicui prestiti dell'Fmi. E adesso nella zona euro si è concordato che il Fondo può intervenire in Grecia, e anche in Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda qualora se ne dovesse presentare la necessità.

La rinascita dell'Fmi avvenuta negli ultimi anni è strabiliante. Castrato dalla retorica populista durante la crisi dell'indebitamento asiatico della fine degli anni 90, il Fondo ha dovuto combattere per dare nuove solide radici alle proprie politiche e per ricostruire la propria immagine. Quando nell'autunno del 2007 il timone dell'Fmi è passato nelle mani dal francese Dominique Strauss-Kahn, perfino i paesi poveri africani evitavano l'Fmi come la peste, preferendo di gran lunga stringere accordi con erogatori di prestito non tradizionali come la Cina. Venendo a mancare nuovi introiti, il Fondo ha dovuto procedere a drastici tagli di budget per garantire la propria sopravvivenza.

Che differenza può fare una crisi! Adesso l'Fmi è in vetta all'Olimpo. Nell'aprile 2009, i leader del G-20 hanno approvato un quadruplicamento delle sue capacità di prestito. L'aumento è apparso addirittura esagerato nella foga del momento, ma di fatto una buona fetta di quei capitali pare essersi materializzata. E per l'Europa gli aiuti non arrivano di sicuro troppo presto.

L'intervento dell'Fmi in Europa segnala forse l'inizio della fine per le difficoltà riconducibili allo spaventoso indebitamento nella regione? Non proprio. Il Fondo non distribuisce regali, ma eroga soltanto prestiti-ponte per concedere ai paesi in bancarotta il tempo necessario a risolvere i loro problemi di budget. Quantunque alcuni paesi riescano effettivamente in qualche caso a tirarsi da soli fuori dai guai imputabili al loro indebitamento - come è accaduto per la Cina durante la sua crisi bancaria degli anni 90 - i paesi in bancarotta, in genere, devono mettere in atto dolorose operazioni di restrizione del loro budget. Piuttosto che rischiare una situazione di default e d'inflazione, la maggior parte di essi è costretta a optare per un aumento del prelievo fiscale e per drastici tagli alle spese, e così facendo spesso innesca una recessione o contribuisce ad aggravarne una già in atto.

A essere onesti, la reputazione del Fondo di saper imporre l'austerità è in buona parte immaginaria. I paesi, di solito, invocano il suo intervento solo quando sono stati piantati in asso dai mercati internazionali del capitale e sono alle prese con disperati provvedimenti d'irrigidimento imposti loro ovunque si rivolgano. I paesi si orientano verso l'Fmi per aiuto perché di norma il Fondo si comporta in modo più conciliante con loro rispetto ai mercati privati. Si tratta di una gentilezza pur sempre relativa, però. Non solo per la Grecia, ma anche per tutti gli altri paesi europei sovraesposti sarà alquanto difficile irrigidire la politica fiscale nel bel mezzo di una recessione, senza rischiare che la spirale si avviti su se stessa. In termini assai semplici, nessuno ha voglia di essere il prossimo a chiedere aiuto all'Fmi.

Del resto, l'intervento dell'Fmi non significa neppure che chi possiede obbligazioni possa riprendere fiato. Ci sono stati numerosi casi in cui i paesi sono sì entrati in un programma dell'Fmi, ma sono ugualmente finiti in situazione di default. L'esempio più celebre è quello dell'Argentina nel 2002, tra quelli più recenti, anche Indonesia, Uruguay e Repubblica Dominicana. Per molti paesi europei l'esito potrebbe essere il medesimo. L'Ucraina è già ora in gravi difficoltà. Ma, in linea di massima, il processo di sovereign default è come il teatro Kabuki al rallentatore. Perché un paese dovrebbe preferire una situazione di default fintantoché ci sono ricchi benefattori desiderosi di prestare soldi per mantenere l'illusione della normalità? I mercati delle obbligazioni sono facilmente controllabili.

Le poste in gioco per l'Fmi in Europa sono considerevoli e non si tratterà di una semplice operazione di bilanciamento. Se il Fondo subordinerà i propri prestiti a rigide condizioni in "stile tedesco", rischierà di provocare un braccio di ferro immediato e un default. Questa è l'ultima delle cose che desidera. Finora è stato di mano alquanto leggera nell'Europa dell'Est, dove ha appoggiato programmi la cui riuscita dipendeva molto dalle proiezioni ottimistiche sia dei futuri tagli di budget sia della crescita economica.

  CONTINUA ...»

22 Aprile 2010
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