Si profila ormai una guerra a colpi di carte bollate tra Italease e i clienti che hanno sottoscritto i derivati-boomerang dell'istituto milanese guidato fino al 4 giugno scorso dall'ex ad Massimo Faenza, costretto poi alle dimissioni.
Dopo l'invio a pioggia (si veda «Il Sole-24 Ore» del 17 luglio) agli oltre 2mila clienti delle lettere che chiedono il reintegro e il pagamento integrale delle perdite subite, gli "Italease-people" sono insorti. Molti di loro hanno scritto al giornale sdegnati facendo sapere di avere dato mandato ai legali per contestare la richiesta della banca. Altri hanno confidato di aver transato con la banca a valori assai più bassi di quelli pretesi inizialmente dall'istituto. Ed è proprio su questa linea che Italease sembra ora orientata.
Dopo il clamore suscitato dalla rivalsa della banca che pretendeva i quattrini (tutti) entro il termine ultimativo di otto giorni, c'è stato ieri un dietro-front totale. Italease in un comunicato spiega che rispetto alla quantificazione dell'onere «sono aperte ipotesi conciliative, per la cui valutazione è costituita un'apposita struttura interna».
Si andrà quindi a una sorta di patteggiamento sulle cifre per saldare il conto finale. Quei 700 milioni che la banca ha pagato alle sette banche d'affari che hanno confezionato prodotti così rischiosi e che la rete di Italease ha piazzato a piene mani nel corso negli ultimi anni.
I derivati-boomerang
Resta sullo sfondo il nodo gordiano dello scandalo che ha portato la banca a veder esplodere in sei mesi perdite cumulate per oltre 700 milioni di euro sui derivati. Che trascina con sé una domanda elementare. Cosa erano alla fine questi prodotti per produrre un buco di tale entità? La banca nella decina di contratti che «Il Sole-24 Ore» ha potuto visionare li denomina sempre Irs (Interest rate swap) e in effetti c'è uno scambio di tassi tra cliente e banca. Ma si tratta di uno scambio del tutto asimmetrico: mentre dalla parte della banca figurano strutture semplici (in genere paga l'Euribor a 3 mesi) e prive di leve moltiplicative sui tassi, da quella del cliente figurano strutture complesse spesso con moltiplicatori sullo spread e in qualche caso con «memorie» incorporate.
Che cosa vuol dire? Che quel differenziale sui tassi viene memorizzato la prima volta e ripagato per tutti i trimestri di vita utile del derivato. Insomma tutto fuorché dei prodotti di copertura come il più banale plain vanilla cioè un tasso fisso (sempre quello) valido per tutta la durata del debito da ripagare. Spiega Alessio Nava di Calipso, società di consulenza finanziaria ed esperto nella gestione dei rischi finanziari delle aziende che si è trovato tra le mani uno dei contratti in questione: «Per quello che abbiamo potuto analizzare sono prodotti speculativi.
Ad esempio in un contratto dopo un solo anno la differenza tra l'Euribor e il prezzo d'esercizio prefissato si applica, nella peggiore delle ipotesi, per ben 4,5 volte e poi con l'aggiunta di 0,95% di spread si perpetua su ben 16 trimestri di vita per un totale di 72 volte. O, detto in altri termini, il valore nominale cui è esposto il cliente non è più di 430mila, ma si tramuta addirittura in 31 milioni circa di euro». E non è finita qui. In casi come questo la banca si riserva pure il diritto di richiamare il prodotto quando questo sia in attivo per il cliente. E così quello che doveva rivelarsi uno strumento di protezione per chi l'aveva comprato era in realtà un'arma innescata.
Ai clienti, per come lo hanno raccontato a «Il Sole-24 Ore», veniva proposto così: una polizza di assicurazione contro il rialzo inaspettato dei tassi. Poi si è vista come è andata. Del resto quei derivati Irs, la banca continua a presentarli ancora oggi in un link sul suo sito Internet. «Il contratto Irs consente all'impresa, indebitata a tasso variabile di non subire le oscillazioni e le incertezze (...) il cliente ha l'opportunità di gestire e trasformare il tasso variabile in tasso fisso stabilendo così un prezzo del proprio indebitamento, per una durata prestabilita». Forse è giunta l'ora di toglierlo.