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Almunia: «L'euro troppo forte paga gli squilibri Usa»

di Adriana Cerretelli

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28 settembre 2007

Nuovi fondi da Fed e Bce

L'Europa non può pagare da sola la fattura degli squilibri altrui. Questa volta Joaquin Almunia, 59 anni, non si schermisce, è perentorio: l'euro forte ci preoccupa, dice chiaro e tondo. Anche se, precisa poi, non produce solo svantaggi. Dopo che per mesi i ministri dell'Eurogruppo insieme a Commissione e Bce hanno ostentato la linea del "benign neglect", ora si cambia musica. Di fronte a una moneta che quasi quotidianamente brucia record sul dollaro, per la prima volta Bruxelles suona ufficialmente l'allarme. Afferma che la fine delle turbolenze sui mercati finanziari potrebbe avere effetti positivi sui cambi, in ogni caso esclude ricette dirigiste, accordi tipo Plaza o Louvre. «L'economia globale è molto cambiata rispetto agli anni '80. Sarebbe impossibile ricorrervi oggi», afferma il commissario europeo agli Affari economici e monetari.
E in queste ultime ore di fuoco per la Finanziaria ribadisce il richiamo all'ordine rivolto a Italia e Francia: «Entro il 2010, i conti pubblici devono essere in pareggio nel loro interesse, non nel nostro». Sugli investimenti in Europa dei "fondi sovrani", russi, cinesi o arabi, Almunia respinge il protezionismo, predica apertura e trasparenza da parte di chi investe, nel rispetto di criteri ben precisi.

Supereuro e minidollaro: la miscela comincia a diventare esplosiva per l'economia europea. Non c'è solo la Francia di Sarkozy in armi, ormai molte imprese cominciano a temerne le conseguenze. Lei mantiene con l'Eurogruppo una calma olimpica o comincia a preoccuparsi?
Dal 2003 ripetiamo che un eccesso di volatilità dei cambi non è desiderabile, che la loro evoluzione deve riflettere i fondamentali economici e non decisioni dei pubblici poteri. Però è vero che nelle ultime settimane, in seguito alle turbolenze finanziarie, alle conseguenze che hanno avuto sull'economia americana e alle decisioni delle autorità Usa, si registra una perdita di valore del dollaro che ci preoccupa.

Perché?
Perché noi non siamo responsabili della creazione di squilibri nell'economia globale. Né ci si può attendere che restiamo passivi se qualcuno vuol scaricare sulle economie della zona euro le conseguenze di quegli squilibri.

Quindi?
Bisogna trovare il modo di affrontare il problema senza far pagare il grosso della fattura a chi non ne è all'origine. Detto questo, non bisogna neanche esagerare l'impatto che il caro-euro ha avuto finora.

Molti imprenditori europei non condividono la sua opinione...
Le esportazioni soffrono. Però altri settori ne beneficiano: oggi paghiamo il petrolio meno di un anno fa. I dati delle bilance commerciali in alcuni Paesi della zona euro non risentono in modo molto negativo dei cambi. Anche in Italia l'andamento dell'export nei primi sei mesi dell'anno ci risulta piuttosto positivo. D'altra parte l'aumento del deficit commerciale francese con la Germania non si può certo attribuire al cambio.

Conclusione?
La questione va inquadrata in un contesto più realistico: ci sono buone ragioni per essere preoccupati ma altrettante per non creare un clima troppo pessimista. Gli Stati Uniti ripetono di non volere una moneta debole ma forte. Speriamo nelle prossime settimane di riscontrare coerenza tra parole e fatti.

È immaginabile una riscoperta dei vecchi accordi del Plaza e del Louvre?
No. Rispetto agli anni '80 l'economia globale è molto cambiata. Non sarebbe più possibile seguire quella strada. L'economia europea d'altra parte è in fase di recupero, ha fondamentali sani e questo accresce la fiducia degli investitori e del mercato rispetto alle altre economie. Parte dell'apprezzamento dell'euro è dovuto a questo.

Insomma siamo preoccupati ma disarmati?
In aprile all'Fmi ci si è accordati su una tabella di marcia per ridurre gli squilibri in modo graduale e coordinato. Noi stiamo facendo i compiti a casa, con una maggiore crescita economica e una maggiore domanda. Speriamo che anche tutti gli altri facciano lo stesso. In ogni caso niente interventismi, bisogna dare fiducia ai mercati.

Non teme alla lunga che l'euro forte metta a rischio la coesione dell'area? Francia e Germania sono da tempo ai ferri corti....
No, dalle tensioni sui cambi vedo più rischi per la crescita economica. Mi preoccupa quello che succederà negli Usa, soprattutto se la crescita americana rallentasse sotto il 2%, quale sarà l'evoluzione delle condizioni del credito, il recupero o meno della fiducia sui mercati, perché se dovesse diminuire le difficoltà economiche aumenterebbero.

Eurolandia invece resta solida?
Per l'Europa questa è l'occasione per un maggiore coordinamento interno spingendo sull'integrazione dei servizi finanziari. E per creare un'unica rappresentanza esterna. L'euro in questa fase deve assolutamente parlare con una sola voce, disciplinata e coerente tra Bce e Eurogruppo. Non è più il tempo in cui un Paese europeo può vincere contro l'altro.

Però la Francia di Sarkozy prova a sgomitare, non trova?
Non è la prima volta che apre polemiche sul cambio. La verità è che alcuni Paesi dell'euro non sono abituati a vivere con una moneta forte. Altri invece sì. Però visti i benefici della moneta unica, bisogna fare gli sforzi necessari per adeguarsi.

A proposito di sforzi, Italia e Francia non sembrano affatto intenzionate a raggiungere l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2010...
Dicono che hanno difficoltà a raggiungerlo ma noi continuiamo a chiedere a entrambe di rispettarlo perché è nel loro interesse, non nel nostro, evitare in fase di ripresa politiche pro-cicliche che potrebbero farle ricadere in deficit eccessivo. Soprattutto se i maggiori rischi che pesano sulle prospettive di crescita nel 2008 dovessero materializzarsi.

Negli impegni di Berlino si dice anche che l'extra-gettito fiscale dovrebbe andare a riduzione di deficit e debito, in particolare nei Paesi ad alto debito come l'Italia. La nuova Finanziaria invece lo usa per ridurre le imposte. Che ne pensa?
Mi pronuncerò quando avrò il testo delle decisioni prese.

L'altro argomento che scotta di questi tempi è quello degli investimenti dei fondi sovrani: vanno ristretti, secondo lei, i loro margini di attività in Europa?
Ci vuole prudenza nell'usare questi strumenti perché sono importanti e lo diventeranno ancora di più. Secondo alcune stime il volume di asset di questi fondi si moltiplicherà per 5 nel giro di pochi anni. Già oggi gestiscono il doppio degli asset degli hedge fund.

Quale ricetta propone?
Evitare atteggiamenti protezionistici e al tempo stesso chiedere ai governi che li gestiscono di essere trasparenti.

Come e con quali criteri?
Devono dichiarare in che tipi di asset intendono investire, con quali criteri decidono i loro investimenti e con quale distribuzione. Il fondo del Governo norvegese dimostra che la trasparenza non nuoce alla redditività.

Ma se i fondi russi, cinesi o arabi non accettassero la regola della trasparenza?
Avremmo buone ragioni per reagire in certi casi: se investissero in settore strategici o tentassero di acquisire il controllo di alcune industrie. Siamo in grado di difendere i nostri interessi senza essere protezionisti.

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