Delude il vertice Fao. Sui biofuel decisioni rimandate

di Ugo Tramballi

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6 giugno 2008
Un'occasione persa per riorganizzare gli aiuti
Vertici inutili e le vere crisi globali
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Gli 852 milioni di affamati del mondo non si devono preoccupare: non saranno lasciati soli. Nonostante un vertice Fao, tre giorni di dibattito, d'impegni e di appelli dei più e dei meno potenti della Terra, qualche altro milione di esseri umani si unirà a loro e alla loro fame.
Era inteso che il vertice dovesse trovare i modi per diminuire, non moltiplicare gli affamati. Ma l'inesistenza di un serio accordo finale è la garanzia che al prossimo vertice, l'emergenza sarà ancora più drammatica. Il comunicato finale letto da Jacques Diouf, direttore della Fao, circa tre ore dopo l'ora annunciata, è un esempio di come anche la creazione del nulla sia un'opera dell'intelligenza umana e della sua pazienza diplomatica. Ma quel documento che dichiara di «eliminare la fame e assicurare cibo per tutti», senza dire come, è soprattutto una tragedia.
Il segno di un fallimento superiore ad aspettative che non erano mai state alte, lo ha dato Ed Schafer, segretario americano all'Agricoltura: «Meglio nessun accordo che un cattivo accordo». Erano passate le 16.30 e da sette ore 550 delegati di 183 Paesi e organizzazioni internazionali litigavano e limavano le quattro cartelle del documento finale. Quella bozza già era un compromesso preliminare raggiunto la notte prima, dopo settimane e giorni di mediazione degli sherpa.
Le premesse di una piccola rivoluzione in fondo c'erano: non si era mai visto tanto impegno nel finanziare (promettere di finanziare) la lotta all'emergenza alimentare. Ancora ieri Silvio Berlusconi è tornato sul tema promettendo che nel 2008 il contributo italiano passerà da 60 a 190 milioni di dollari. E la Banca africana di sviluppo ha annunciato un altro miliardo di dollari per quel continente. È difficile dire se questo vertice sarà ricordato come un successo per aver raccolto tanto denaro - 8 miliardi di dollari, ha detto Diouf; o come un devastante fallimento per non aver creato le condizioni per spenderlo. Lo stesso ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha bocciato la dichiarazione conclusiva come «deludente», aggiungendo di non aver «sentito la coesione unanime che sarebbe stata necessaria».
Perché il documento finale non è un manuale d'uso. Nella parte dedicata al biocarburante è piuttosto un manuale Cencelli, fatto per non scontentare nessuno. Il biofuel è «una sfida e un'opportunità»: dunque servono «studi approfonditi» sulla sostenibilità della produzione e dell'uso. Nessuno, non i produttori di sorgo del Kansas arricchiti dall'etanolo né un nemico di quella fonte energetica come gli sceicchi petrolieri del Golfo, potrebbe obiettare su un rinvio così generico: a quando gli studi finiranno.
Ma già dall'altra notte non era il biofuel la causa del fallimento. Tema troppo nuovo e controverso perché ricchi e poveri potessero trovare una seria mediazione. Lo scontro vero è stato altrove: sulla sovranità commerciale di ogni Paese. Tariffe doganali, protezionismo, export e import a seconda dei punti di vista, del genere commerciale e del momento. A sera il documento finale del vertice continuava a non uscire dalla sala dove lo si discuteva, perché l'Argentina non voleva riferimenti all'«uso di misure restrittive che potrebbero aumentare la volatilità dei prezzi». La Ue ha tentato una mediazione. Poi si è opposta all'Argentina, con Usa, Medio Oriente, Africa e Oceania. Gli argentini pensavano alle loro granaglie su cui grava una tassa sull'export. I boliviani volevano un passaggio dedicato al «multilateralismo e ai diritti umani». I cubani insistevano perché il blocco statunitense all'isola venisse equiparato alla peggiore forma di barriera doganale. Il G-77, il gruppo dei Paesi in via di sviluppo, si opponeva al punto in cui si diceva: «I membri del Wto riaffermano la volontà di una rapida conclusione dell'agenda di Doha». Volevano impedire che gli Usa riportassero tutto al Wto, dove probabilmente si sentono più a loro agio.
Ognuno ha interessi e aspirazioni, legittime se viste dal punto di vista nazionale ed elettorale. Ma non era questo lo spirito e l'obiettivo del vertice di Roma. Poiché la causa della fame sono le distorsioni del commercio mondiale, la Fao non era il luogo in cui trovare una soluzione. Forse il Wto, probabilmente il G-8. «C'è stata una crescita brutale dei prezzi e ci è stato detto di venire qui», constatava il presidente senegalese Abdoulaye Wade, uscendo con passo dinoccolato dal palazzo bianco della Fao: «Aspettavo una risposta sulle cose da fare ma proprio non c'è stata. Sono deluso».

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