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Auto in crisi, a Washington
si prepara un piano di aiuti

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8 novembre 2008
La crisi dell'auto occupa la prima pagina di un quotidiano di Detroit. Sullo sfondo, la sede di Gm (Afp)

L'auto frena in tutto il mondo. Anzi, inchioda. Una crisi devastante, un calo verticale nelle vendite come non si vedeva da almeno un quarto di secolo. Con i tre grandi malati americani - General Motors, Ford, Chrysler - da una parte e a seguire tutti gli altri. Nel finale di settimana si sono susseguiti gli allarmi sui profitti per l'anno a venire, con target mestamente rivisti al ribasso perché ormai irraggiungibili.

Dal gigante giapponese Toyota, che ha soffiato il posto di numero uno mondiale proprio a Gm, alle tedesche Bmw e Daimler (che vuol dire soprattutto Mercedes), passando anche per la Svezia. Giusto sabato, a ventiquattro ore dall'allarme rosso lanciato da Detroit (il ceo di Gm, Rick Wagoner, dopo avere sospeso i piani di fusione con Chrysler, ha implorato l'aiuto del Governo allo scopo di evitare la bancarotta sempre più vicina per mancanza di liquidità) anche Volvo, che è peraltro parte del gruppo Ford, ha chiesto il sostegno pubblico, che potrebbe concretizzarsi «prima dell'estate». Soltanto il mese scorso la compagnia svedese ha triplicato i tagli di posti di lavoro, portandoli a 6 mila, un quarto del totale.

Certo, la crisi finanziaria che imperversa da metà 2007 e il credit crunch hanno la loro bella responsabilità. Ma è pur vero che, soprattutto nel caso dei big Usa, le vendite sono state sostenute nell'ultima manciata di anni dalla stessa politica del debito facile invogliata dalla politica monetaria espansiva della Federal Reserve che ha portato alla bolla dei mutui subprime. La campagna "Keep America Rolling" di Gm è stata una guerra combattuta a colpi di finanziamenti a tasso zero e sconti quando nessuno osava pensare cosa sarebbe successo se il vento fosse cambiato. Magari a cominciare dal prezzo del petrolio, la cui impennata prodigiosa dall'autunno 2007 sino all'estate scorsa ha convinto parecchi americani a prendere la via dei mezzi pubblici invece di impoverirsi riempiendo di galloni di benzina i Suv che non si potevano più permettere.

Altro peccato grave commesso dai big di Detroit, una politica di accordi sindacali che ha messo in crisi prima ancora che le casse delle aziende, i livelli di competitività con i concorrenti più aggressivi, dalle grandi case asiatiche come Toyota e Honda alle europee come Bmw, che hanno eroso fette di mercato anche nel segmento premium, quello delle vetture di lusso.

Le scelte industriali e commerciali sbagliate hanno portato le case automobilistiche a stelle e strisce a perdere 2,2 milioni di veicoli sul mercato interno tra il 2002 e il 2007: da 10,6 a 8,4. Nei primi dieci mesi di quest'anno è andata ancora peggio, con un calo di un milione e mezzo di unità, , ai minimi dai primi anni Ottanta. A tutto questo si aggiunga che la crisi dei mercati finanziari e la stretta del credito non hanno risparmiato i finanziamenti al consumo, colpendo duramente anche Gmac, braccio finanziario di General Motors che oggi consiglia ai clienti di bussare ad altre porte.

Morale: mentre in mezzo mondo gli altri produttori arrancano senza essere tuttavia ancora alla canna del gas quelli d'Oltreoceano, i carmaker che hanno fatto la storia delle quattro ruote nel Paese dove muoversi in auto è praticamente un diritto sancito dalla Costituzione, sono a un drammatico bivio. Come ha spiegato Dennis Virag, presidente di Automotive Consulting Group all'agenzia Bloomberg, è assai probabile che uno degli ultimi atti dell'Amministrazione Bush sia varare un piano di salvataggio per Gm, Ford e Chrysler. «O il Governo federale trova il denaro per risanare e ristrutturare l'industria in vista di un rilancio - ha chiarito Virag - oppure sarà la fine».

Del resto, sembra non avere eccessivo fondamento l'ipotesi che dall'Asia arrivi un cavaliere bianco pronto ad alleggerire i conti di Chrysler rilevando asset tra cui il brand Jeep. Voci su un'attività del fondo Cerberus (che controlla dall'anno scorso l'80% della casa di Auburn Hills, Michigan) mirata a condurre in porto l'operazione sono state smentite dai sudcoreani di Hyundai, che hanno precisato di non avere risorse per impegnarsi in un'acquisizione e di essere concentrati sulla costruzione di nuovi impianti.

D'altra parte gli stessi vertici di Gm, dopo avere registrato nel terzo trimestre perdite per 4,2 miliardi di dollari (ben 14,6 miliardi di risorse in liquidità andate in fumo se si sommano i guai della casa dell'Ovale Blu) e superiori al valore di Borsa, pari a meni di 2,5 miliardi, hanno gridato ai quattro venti che non c'è tempo da perdere perché il gruppo è talmente a corto di liquidità (16,2 miliardi di dollari dai 21 di appena tre mesi prima, e giusto sopra il livello di guardia che consente l'operatività quotidiana) da temere di non arrivare neppure alla fine dell'anno fiscale, a giugno 2009.

A poco è servito finora tagliare stipendi e chiudere impianti o annunciare la sospensione della produzione in Europa, come ha fatto anche Ford.C'è troppo poco tempo per salvare Detroit e tutto il suo gigantesco indotto se si pensa che soltanto nel 2010 andrà a regime l'intesa siglata con il sindacato (Uaw, United auto workers) che prevede una dieta severa all'assistenza pensionistica e sanitaria, irrinunciabile per riportare la struttura dei costi nel solco della competitività.

  CONTINUA ...»

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