Romain Zaleski è stato «commissariato». Saranno le cinque maggiori banche italiane a tirare fuori dai guai il Warren Buffett della Valcamonica. Salvando un debitore o un azionista di riguardo?
Il bilancio di Zaleski all'attivo ha partecipazioni che valgono 6 miliardi, 5 dei quali in società quotate. Al passivo ha debiti verso le banche per oltre 6 miliardi. Le sue azioni sono in pegno presso le banche a garanzia dei prestiti ricevuti. Quelle azioni non sono azioni qualsiasi. Sono pacchetti «pesanti», fondamentali per gli equilibri di potere in alcuni santuari della finanza come Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca. Zaleski controlla la Mittel di cui è presidente Giovanni Bazoli che guida il consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. E conta in Edison, A2A, Montepaschi, Popolare di Milano, Ubi Banca.
Tra i suoi creditori c'erano due banche estere, la francese Bnp e la britannica Royal Bank of Scotland, che gli hanno chiesto di rientrare: di questi tempi un po' di liquidità (1,3 miliardi) fa comodo a tutti. Le cinque banche italiane (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Bpm e Mps) sono immediatamente «subentrate», altrimenti il finanziere francese avrebbe dovuto vendere le sue azioni in Borsa. Con una serie di effetti «negativi»: avrebbe perso parecchi soldi perché le quotazioni sono basse, avrebbe fatto scendere ancora il valore dei titoli,avrebbe messo a repentaglio l'assetto di controllo di importanti società.
Per le banche, che in totale hanno prestato 900 miliardi di euro alle imprese, dare altri 1,3 miliardi a Zaleski non è un problema. Tanto più se con la prospettiva di vendere le partecipazioni (non sul mercato) e di rientrare dei crediti. Magari nonè ben chiaro come farà Zaleski a pagare gli interessi se le banche non pagheranno cash i dividendi.
Quei soldi, però, si aggiungono ai 5 miliardi che già erano stati prestati a Zaleski. I 6,3 miliardi complessivi sono pari allo 0,7%dei crediti alle imprese.E in questi numeri c'è qualcosa che non torna. A un finanziere, a una persona fisica, è stato erogato dalle maggiori banche italiane lo 0,7% del credito complessivo concesso all'economia. Un'economia fatta di 4,4 milioni di imprese, di cui almeno 2 milioni non sono solo "partite Iva" ma aziende che producono, che danno lavoro, che investono. E che, nella gran parte dei casi, hanno bisogno di credito per compensare gli sfasamenti tra incassi e pagamenti, o per finanziare gli investimenti nei nuovi impianti o nella ricerca. Certo, non è che a ciascuna di queste imprese, per fortuna, servano 6 miliardi. Ma se Zaleski, che non produce, si accaparra da solo lo 0,7% per gli altri lo spazio si riduce. Non sorprende quindi che i Brambilla, i piccoli imprenditori, si arrabbino.