Cambiare o non cambiare. Questo è il dilemma. È meglio mantenere il beneficio del contributo datoriale offerto dal fondo pensione negoziale, o affrontare il destino finanziario e previdenziale senza questo supporto, contando invece sulla maggiore sofisticazione di fondi aperti e Pip e della consulenza offerta da chi li colloca. Valutare i pro e i contro. E con un tratto di penna dire addio al vecchio fondo e a un 2008 di tribolazioni finanziarie che hanno colpito l'acerbo mondo della previdenza complementare italiana.
E chiudere i conti col passato, cambiando fondo, scaduto il biennio di permanenza obbligatoria in una forma previdenziale, come stabilito dalla legge 252/2005. Oppure no: forse è il caso di perseverare nella scelta iniziale, presa soprattutto sulla base dei minori costi.
Elsinore previdenziale
Quasi un milione di lavoratori italiani hanno aderito ai fondi pensione nel corso del primo semestre del 2007: novelli Amleto, scaduti i due anni di permanenza vincolata agli strumenti scelti in occasione del semestre di silenzio/assenso sulla destinazione del Tfr, tra poche settimane potranno scegliere di trasferire tutta la propria posizione pregressa e quella maturanda altrove. All'epoca la gran parte delle adesioni aveva riguardato i fondi negoziali (600mila nuovi iscritti nell'anno), mentre meno avevano raccolto aperti (circa 200mila) e Pip (100mila). Nelle nebbie danesi della previdenza, dunque, ci sono soprattutto aderenti a fondi di categoria che ora vengono sempre più spesso avvicinati da intermediari finanziario e assicurativi, che propongono loro strumenti indivuduali: fondi pensione aperti e Pip. In particolare queste ultime forme sono state le protagoniste del 2008: cresciute tra i lavoratori dipendenti privati del 43,8% l'anno scorso, a fronte del + 12% degli aperti e del +4% dei negoziali.
Collettivi vs. individuali
È evidente che oggi gli intermediari di forme individuali cercano di conquistare la quota maggioritaria di iscritti ai fondi negoziali; i quali non vengono collocati da vere e proprie reti, pur contando su costituende strutture sindacali che col tempo stanno lentamente imparando a fornire consulenza previdenziale ai lavoratori. Un'asimmetria difficilmente sanabile, anche perchè le pensioni di scorta nate con la 252/2005 (riforma Maroni) nascono con un peccato originale: far confluire nel secondo pilastro previdenziale strumenti individuali come aperti e Pip, per loro natura di terzo pilastro. Inevitabile, dunque, che la forza delle reti riescano a convincere soggetti pur appartenenti a settori altamente sindacalizzati come i metalmeccanici a rinunciare anche al vantaggio di un contributo datoriale.
Scorciatoia
In realtà un pronunciamento della Covip dello scorso febbraio ha aperto una finestra nel vincolo biennale: la commissione di vigilanza sui fondi pensione ha stabilito che un lavoratore può sospendere la contribuzione (Tfr, volontario e datoriale) ad un fondo di categoria e iniziare a versare i suoi contributi a un fondo pensione aperto ad adesione collettiva, in attesa di trasferire anche lo stock pregresso. Una volta maturati i due anni nel categoriale.
Il check-up
Prima di decidere di cambiare fondo è necessario disporre di ogni elemento di valutazione. Per evitare di cadere proverbialmente dalla padella nella brace. Uno strumento lo forniscono questi due test pubblicati qui a fianco. Hanno lo scopo di valutare salute e efficienza del proprio fondo pensione. Per utilizzarli a dovere, è necessario rispondere alle domande sulla base della comunicazione che i fondi pensione hanno recentemente inviato ai propri iscritti, con i rendiconti 2008. Sulla base di queste e di altre informazione è possibile decidere se il proprio fondo pensione è da buttare oppure no. Fateci sapere come è andata.
TFR / ACCADDE 2 ANNI FA |
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Il detonante fu la lettera ricevuta da oltre 12 milioni lavoratori nella loro busta paga di maggio 2007. Solo allora il 90% di loro prese la decisione: lasciare il Tfr in azienda (8,5 milioni) o destinarlo al fondo pensione (oltre 900mila). Pochi si erano già mossi e un 2% scarso non comunicò nulla, entrando così nel novero dei «silenti», iscritti d'ufficio alla previdenza complementare. Quasi tutti, insomma, decisero solo negli ultimi giorni disponibili. Un sondaggio pubblicato da «Il Sole 24 Ore» rivelò che quasi la metà di chi scelse di mantenere il Tfr in azienda, l'aveva fatto a causa dell'irrevocabilità della scelta, in attesa di approfondire la materia. Un approfondimento che per quasi tutti deve ancora arrivare. Gli altri, scaduti i due anni di vincolo di adesione, oggi possono cambiare fondo. |
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