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Le grandi banche italiane
in regola con lo stress test

di Morya Longo

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10 maggio 2009


L'Ocse vede nero: la locomotiva economica dell'Italia frenerà del 4,4% nel 2009. La Banca d'Italia mette in guardia: i crediti in sofferenza, a causa della recessione, aumenteranno. Dopo l'esito degli stress test americani, e alla luce di queste previsioni, una domanda è legittima: le banche italiane sono in grado di far fronte a questo scenario? Se quelle americane necessitano di un'iniezione da 75 miliardi di dollari per stare in piedi, le italiane come sono messe? Il Sole 24 Ore ha ottenuto il risultato di uno stress test "top secret", effettuato da una grande società internazionale di ricerca che preferisce restare anonima, in cui queste domande trovano una risposta tranquillizzante: le prime sei banche italiane non dovrebbero avere bisogno di nuovo capitale. Dimezzeranno gli utili e ridurranno drasticamente la redditività, ma – se le previsioni dell'Ocse saranno confermate dai fatti – UniCredit, Intesa Sanpaolo, Montepaschi, Banco Popolare, Ubi e Banca Popolare di Milano non avranno bisogno di nuove iniezioni di capitale. Stanno bene così. Solo in uno scenario ben peggiore, più vicino all'apocalisse che alla realtà prevedibile, il fabbisogno di capitale potrebbe raggiungere un totale di 10 miliardi.
Lo stress test effettuato sulle banche italiane parte da un dato di fatto: la correlazione tra Pil e crediti in sofferenza. Più l'economia peggiora, insegna la storia, più le società e le persone fisiche faticano a ripagare i debiti contratti con le banche. Fino al 2000, cioè prima dell'era dell'euro, la correlazione inversa tra Pil e sofferenze bancarie era quasi matematica. Bastano due dati per capirlo. Nel 1988, con l'economia italiana in crescita del 4% circa, il tasso di insolvenza era all'1,5%. Nel 1993, con il Pil invece in frenata dell'1% circa, il tasso di default raggiunse il record italiano oltre il 4%. Dal 2000 in poi, però, la politica monetaria europea, che ha tenuto i tassi d'interesse molto più bassi, ha mitigato questo effetto. Tanto che nel 2007 il tasso di default ha toccato in Italia il minimo storico all'1% circa. Lo stress test, a questo punto, guarda avanti. E calcola di quanto potrebbero aumentare i crediti in sofferenza, se nel 2009 il Pil italiano scendesse del 4,4% come prevede l'Ocse. Ebbene: tenendo conto che oggi i tassi d'interesse sono molto bassi (proprio in questi giorni la Bce li ha tagliati all'1%), è verosimile stimare che il tasso di insolvenza si fermerà al 2,5%. Questo significa che, nel 2009, il 2,5% dei creditori delle banche italiane non sarà in grado di far fronte ai rimborsi.
Partendo da queste premesse si può dunque stimare l'effetto della crisi e della recessione sui bilanci delle prime sei banche italiane. Le nuove sofferenze nei bilanci – secondo lo stress test – dovrebbero aumentare dell'85%: da 19,4 miliardi del 2008 a 35,8 miliardi del 2009. Quindi anche gli accantonamenti dovrebbero crescere, passando dai 9,2 miliardi del 2008 ai 15 miliardi del 2009. Contemporaneamente gli utili dovrebbero invece dimezzarsi: dai 15 miliardi totali del 2007 e i 9,5 miliardi del 2008, i profitti dovrebbero ridursi quest'anno a soli 5,6 miliardi. Analogo, poi, il deterioramento della redditività: il Roe (return on equity) dovrebbe ridursi dal 6,9% del 2008 al 4% del 2009. Insomma: crediti in sofferenza quasi doppi e utili dimezzati. Questa è la previsione. Ma il punto è un'altro: le prime sei banche italiane hanno abbastanza capitale per far fronte a questo scenario? Lo stress test che «Il Sole 24 Ore» ha in mano risponde di sì: con questi numeri, e considerando l'effetto dei Tremonti-bond che sono arrivati nei primi mesi del 2009 a rinforzare le "fondamenta" delle banche, i primi sei istituti italiani riuscirebbero a mantenere un «Core Tier 1» del 7% o poco superiore. Insomma: avrebbero ancora abbastanza "cemento armato" nelle loro fondamenta, per stare in piedi. Solo una di queste sei banche – ma quale non è possibile saperlo – potrebbe avere bisogno di un po' di capitale aggiuntivo, ma sarebbe comunque poca cosa. Le difficoltà quindi ci saranno, la strada sarà in salita. Ma nessun dramma. Nessuna fine del mondo.
Ma lo stress test va oltre lo scenario base. Va fino quasi all'inverosimile. E si chiede cosa succederebbe se il tasso di insolvenza, invece che al 2,5% nel 2009, andasse al livello record toccato nel 1993. Cioè al 4%. In tal caso – conclude lo studio – un aumento di capitale servirebbe: le prime sei banche avrebbero bisogno, tutte insieme, di una decina di miliardi aggiuntivi. Ma questa ipotesi è ritenuta improbabile dagli autori dello stress test. Le possibilità che si realizzi sono stimate sotto l'1%. Per un motivo semplice: nel 1993 il tasso ufficiale di sconto stava in Italia al 10%, mentre oggi sta all'1%. È ovvio, dunque, che il livello di insolvenza non può essere lo stesso: con tassi d'interesse dieci volte più bassi, è infatti più facile per famiglie e imprese rimborsare i mutui o i finanziamenti.
Le banche italiane appaiono dunque ben più solide di quelle americane. Certo: lo stress test effettuato in questo studio è meno approfondito rispetto a quello effettuato dalla Federal Reserve negli Stati Uniti, perché in questo caso si considera un tasso di default "medio" senza distinguere tra mutui, finanziamenti a società e così via. Ma, in ogni caso, questo stress test dimostra con una buona approssimazione che le banche italiane sono abbastanza solide. Dovranno lavorare sulla gestione delle sofferenze, per far fronte al loro aumento. Dovranno migliorare la gestione dei rischi. Dovranno ottimizzare la struttura di capitale. Ma in fondo la loro storica "passione" per l'economia reale rispetto alla finanza creativa dovrebbe averle riparate dalla crisi. E soprattutto dallo stress.

10 maggio 2009
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