UniCredit e Intesa Sanpaolo si avviano a dire no ai Tremonti-bond. Lo faranno in contemporanea, martedì 29 settembre, ma seguendo strade diverse. A meno di sorprese dell'ultima ora, UniCredit marcia ormai diritto verso l'aumento di capitale da quattro miliardi, che sarà offerto in opzione ai soci a prezzo scontato rispetto ai valori di mercato. L'operazione sarà interamente garantita da un ampio consorzio bancario, di cui fanno parte Merrill Lynch, Mediobanca, Goldman Sachs, Ubs e Credit Suisse. E dovrebbe ricevere il sostegno delle grandi Fondazioni. Ieri l'amministratore delegato di UniCredit Alessando Profumo era a Torino, dove ha incontrato il presidente della Fondazione Crt Andrea Comba. Nel week-end dovrebbe vedere anche Paolo Biasi, presidente della Fondazione CariVerona, che proprio ieri aveva in calendario una riunione del consiglio. Ogni decisione sulla sottoscrizione, però, sarà presa solo dopo che il consiglio di UniCredit avrà formalmente deliberato martedì prossimo. L'idea di fondo è che tutte le Fondazioni faranno la propria parte in sede di aumento. Ma eventuali defezioni, considerate le singole quote (la maggiore è il 5% di CariVerona) sarebbero facilmente assorbite dal mercato – dove il titolo è salito del 4,16% a 2,63 €, anche grazie a un report fin troppo tempestivo del Credit Suisse. E in ogni caso, considerato l'importo di quattro miliardi su una capitalizzazione di 44, la non sottoscrizione dell'aumento avrebbe una modesta diluizione delle quote delle singole Fondazioni. In ogni caso, sia da Verona che da Torino giungono valutazioni positive sull'operazione e, a parte qualche distinguo di politici locali, è probabile che i due grandi enti marcino a braccetto a favore della ricapitalizzazione.
Anche sul versante Intesa Sanpaolo la scelta sembra indirizzarsi verso il rifiuto dei Tremonti-bond. Nessuna decisione è stata ancora presa, ma l'orientamento pare quello di poter fare a meno degli aiuti di stato. Lunedì si riuniranno i comitati interni di Intesa Sanpaolo e in quella sede saranno fatte le prime valutazioni. Poi il giorno dopo, martedì 29, l'amministratore delegato Corrado Passera porterà la propria proposta al consiglio di gestione. La prenotazione di 4 miliardi di Tremonti-bond dovrebbe essere lasciata decadere. E prende sempre più consistenza l'ipotesi che il rafforzamento patrimoniale venga affidato alle previste cessioni (che però, con ogni probabilità, non saranno annunciate già martedì 29) e al lancio di un prestito obbligazionario ibrido da 1-1,5 miliardi che impatterà sul Tier 1. In sostanza, i miglioramenti patrimoniali che Intesa Sanpaolo avrebbe avuto sul Core Tier 1 grazie ai Tremonti-bond saranno realizzati gradualmente con le dismissioni in fase di realizzazione (di cui almeno quella della banca depositaria entro fine anno). Va detto che Intesa già oggi è sopra al 7% dopo la vendita di Findomestic e il target dell'8% è raggiungibile nei prossimi mesi. È esclusa, dunque, ogni ipotesi di aumento di capitale così come il collocamento di strumenti ibridi a forte componente equity (di tipo cashes o fresh) come quelli emessi in passato da UniCredit e Mps.
Tra le cessioni resta in stand-by quella di Banca Fideuram (portata in dote dal Sanpaolo-Imi) all'Exor, che ha suscitato tante polemiche soprattutto in ambienti torinesi e nei palazzi della politica. Ieri il sindaco di Torino Sergio Chiamparino è tornato a polemizzare sul tema degli equilibri tra la componente torinese e quella milanese della banca. «L'assetto originario quando fu fatta l'intesa prevedeva sia dal punto di vista degli azionisti sia dal punto di vista degli assetti – ha detto Chiamparino – un rapporto equilibrato fra le due banche e in qualche modo fra le due realtà territoriali. Bisogna sia reso effettivo, che sia garantita la sua effettività».
Tensioni che difficilmente avranno riflessi sulle decisioni che la banca dovrà prendere martedì. Ma che potranno pesare in primavera, quando si discuterà il rinnovo del consiglio di Intesa Sanpaolo. Entro allora, giungerà al pettine anche il nodo del patto di consultazione Agricole-Generali. I francesi ritengono «che un'azione da parte dell'Antitrust che miri a rimettere in questione l'esistenza o la validità dell'accordo sarebbe priva di fondamento giuridico».