ISTANBUL – Il cerchio è chiuso. Dopo Pittsburg e Istanbul, dopo il G20 che ha cambiato gli assetti economici globali e dopo le riunioni di Fondo, Banca Mondiale e G7 che hanno ratificato i cambiamenti con la membership multilaterale al completo, il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner, in un'intervista esclusiva per l'Italia con Il Sole 24 Ore, riflette sull'«epoca nuova» che, dice, «si apre davanti a noi». Passare dalla teoria alla pratica ora è difficile. Difficile perché molte questioni riorganizzano di fatto gli equilibri di potere, fra paesi e istituzioni. E perché da molte parti spuntano critiche e resistenze.
Ci sono i rischi che si aprono per il sistema e per i consumatori, soprattutto se le azioni di stimolo adottate finora avranno le gambe corte e se il passaggio a una "crescita sostenibile", come appare dall'andamento occupazione in America, risulterà faticoso. Ci sono le banche che dovranno accettare le nuove regole e i nuovi limiti - molto pochi in realtà stando ai critici - nel loro stesso interesse: quello di restituire la fiducia al mercato, dice Geithner. E ci sono infine le istituzioni multilaterali che dovranno aprirsi ai paesi emergenti e cambiare le gerarchie su cui ha poggiato l'ordine internazionale fino alla crisi del 2007/2009.
Su un punto Geithner è chiaro: con questa crisi tutto è cambiato. E insiste perché tutto non resti come prima. A giudicare dall'atmosfera del party offerto sulle rive del Bosforo dalla J.P. Morgan Chase, in un vecchio palazzo fine Ottocento, tutto in realtà appare molto uguale a prima. Ma Geithner non ha dubbi: conta «the big picture» il quadro d'insieme, si cambia per colmare il gap tra la vecchia governance mondiale che poggiava su parametri nazionali e un mercato che si muoveva già in avanti su base globale. Poi tutto è sfuggito di mano. Colpa di chi? Dei banchieri avidi? Dei regolatori negligenti? Di nuovo: «Guardiamo al futuro», dice.
Geithner, 48 anni, il 75esimo segretario al Tesoro americano, ha costruito la sua esperienza professionale gestendo situazioni di crisi. Prima al Tesoro, quando da giovane funzionario si occupò della crisi asiatica del 1997 e in particolare della crisi finanziaria sudcoreana. Subito dopo passò ai piani alti, con i suoi maestri Bob Rubin e Larry Summers. E infine prese la guida della Federal reserve a New York dove si è confrontato con la crisi dei nostri giorni fin dagli inizi, lavorando molto vicino a Henry Paulson e a Ben Bernanke. Si dice che sia in soggezione davanti a Summers, suo mentore e vero architetto del nuovo ordine della Casa Bianca. Ma Geithner cresce: a Istanbul è da solo e porta avanti con determinazione la palla lanciata a Pittsburgh.
Si dice che abbia una sensibilità nei confronti degli interlocutori stranieri di cui sono privi altri americani. La sua in effetti è una storia atipica. Nato a Brooklyn, parte da bambino con la famiglia per l'Africa - Zimbabwe e Zambia - poi per l'India, dove il padre si occupava di paesi emergenti per la Fondazione Ford. Poi la famiglia va in Thailandia, dove "Tim" fa tutto il liceo alla scuola internazionale di Bangkok. Si laurea in Affari internazionali in America e studia il mandarino e il giapponese.
A Istanbul lo incontriamo nei sotterranei dello smisurato centro congressi, dove ci sono gli uffici delle delegazioni. L'ufficio americano è in fondo a un corridoio labirintico. Una sala riunioni spoglia, con un tavolo bianco. Di fianco, in un'altra saletta, c'è una riunione in corso. Dietro la vetrata c'è il volto lungo e un po' triste di Ben Bernanke, il presidente della Fed. Quello di Geithner, invece resta sereno e sorridente.
Segretario Geithner, per il Finacial stability board restano molte incertezze tecniche, ci sono ostilità, qui in Europa e fra le altre istituzioni multilaterali. Fin dove arriva il progetto?
Facciamo un passo indietro, il quadro istituzionale multilaterale poggiava su Fondo monetario, Banca mondiale e Wto. Con l'aumento dell'integrazione finanziaria, dei mercati e dell'economia la gestione di queste attività è rimasta informale, indietro rispetto al processo di integrazione. Con il Financial stability forum, poi trasformato in Financial stability board, i ministri finanziari, le banche centrali, i supervisori, i contabili, le istituzioni multilaterali convergono tutti su un unico riferimento di controllo. E' un fatto nuovo. Sono nove mesi che ci lavoriamo e siamo arrivati a una strutturazione. Ci sono ancora molte cose complesse che debbono essere risolte, ma c'è una buona relazione, c'è una buona divisione del lavoro. Ci sono anche alcune organizzazioni che temono di perdere delle loro prerogative a vantaggio di altri, tutto normale quando c'è qualcosa di nuovo: le cose si aggiusteranno. Quel che vediamo però è che c'è un progresso reale nell'organizzare le riforme finanziarie, nell'imporre nuovi rapporti di capitale per le banche...
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