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L'inflazione cinese spinge verso l'aumento dei tassi di interesse

di Giuseppe Chiellino

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11 marzo 2010

Annunciata in Europa e appena abbozzata negli Stati Uniti, l'exit strategy dalle misure straordinarie adottate nei due anni passati contro la crisi prende consistenza in Cina, dove si avvicina una nuova stretta monetaria.

L'ultimo dato che spinge in questa direzione è l'inflazione di febbraio, la più alta da 16 mesi a questa parte, al 2,7% e ormai ad un passo dall'obiettivo del 3% fissato per il 2010. Si aggiunge agli altri dati dell'economia del Dragone pubblicati negli ultimi giorni, dalla produzione industriale ai prestiti a famiglie e imprese, dall'export all'andamento del mercato immobiliare. «Dati che spingono tutti nella stessa direzione: entro la fine di marzo - afferma Antonio Cesarano, responsabile Market strategy di Mps capital services - la Banca centrale cinese annuncerà una nuova stretta monetaria che probabilmente non si tradurrà in un aumento della remunerazione dei depositi a un anno in yuan, oggi al 2,25%, ma perlomeno in un ulteriore rialzo del tasso di riserva obbligatoria per le banche, dopo quello di poche settimane fa».

Ma perché il ritorno dell'inflazione cinese preoccupa i mercati? «Previsioni non ufficiali ma autorevoli indicano nei prossimi mesi un'inflazione almeno al 5%» spiega Lorenzo Stanca, presidente del Gruppo economisti d'impresa e partner del fondo sino-italiano Mandarin. «Se le autorità cinesi decidessero una stretta monetaria molto decisa ci sarebbero inevitabili conseguenze sulla crescita» con ripercussioni anche sulle altre principali economie, a cominciare dell'Europa e dagli Stati Uniti. Tuttavia, Stanca ritiene che non si vada incontro a «manovre troppo aggressive della Cina sui tassi, anche se l'obiettivo primario della Banca centrale è il controllo dell'inflazione».

Un sentiero stretto per le autorità di Pechino che sono di fronte ad un «mutamento strutturale» delle condizioni economiche, ma «non possono permettersi un rallentamento troppo accentuato dei consumi e della crescita: sono obbligate a sostenere la creazione di posti di lavoro a pieno ritmo per assorbire il numero sempre più alto di lavoratori che abbandonano le campagne man mano che avanza la meccanizzazione dell'agricoltura».

11 marzo 2010
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