Nell'anno della Tigre meno sacrifici più consumi: questa la parola d'ordine confermata negli scorsi giorni dal National People Congress ai cinesi. Quasi una risposta anticipata che i Signori di Pechino hanno dato alla richiesta ribadita oggi, giovedì, dal presidente americano Barak Obama: "I paesi con forti surplus commerciali devono spingere i consumi e la domanda domestica. Come ho già detto, il passaggio della Cina a una politica del cambio più orientata al mercato sarebbe un contributo essenziale per ridurre gli squilibri globali".
Ebbene, sulla prima parte Pechino da tempo ha risposto positivamente agli appelli del mondo intero a mettere nel motore della nuova locomotiva dell'economia globale un robusto impulso agli investimenti e ai consumi domestici (oggi ancora al 37% del Pil contro il 71% degli Usa).
L'aumento del 45% dell'import del gigante asiatico a febbraio conferma - a detta di molti analisti ¬- il perseguimento degli obiettivi fissati con grande rapidità d'azione nell'autunno 2008 allo scoppio dell'uragano finanziario post-Lehman. Con una decisa svolta epocale proprio sul fronte dei consumi in un paese dove il risparmio delle famiglie resta tra i più alti al mondo per la necessità di pagare di tasca propria le spese sanitarie come l'istruzione di figli spesso unici (maschi o femmine che siano) al fine di assicurare loro un futuro migliore in un mondo sempre più competitivo. Da qui anche il varo di una riforma sanitaria a inizio 2009 e gli incentivi ai consumi previsti per le campagne, vale a dire le zone più arretrate del paese. Risultato: consumi che continueranno a crescere a un ritmo più elevato del Pil, secondo le previsioni della Fondazione Italia Cina.
Meno apertura è venuta invece da Pechino sul tema sensibile quanto strategico della rivalutazione del renminbi, la valuta cinese. A detta degli analisti, anche alla luce degli ultimi dati del commercio estero, sarebbe in realtà conveniente per la Cina lasciare che la valuta si apprezzi per quattro buone ragioni: pararsi contro le spinte inflazionistiche che già cominciano a manifestarsi anche come conseguenza dell'impulso a consumi e investimenti, chiudere le imprese meno competitive, aumentare il potere d'acquisto dei consumatori, gettare il seme della convertibilità dello yuan in vista dell'obiettivo (ambizioso) di fare di Shanghai la capitale finanziaria della globalizzazione entro il 2020. Ma l'unica ragione per cui la banda non viene allargata è proprio perché gli americani non smettono di chiederlo: "Un leader cinese – dice un analista occidentale con base a Shanghai - non si farà mai dire da un altro leader quel che deve fare". Prima o poi (più prima che poi) la Tigre dovrà però spiccare il grande balzo finale verso la piena partecipazione all'economia globale.
sara.cristaldi@ilsole24ore.com
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