La recessione pesa sui grandi gruppi, che accusano consistenti cali di domanda. Il Top Industria chiude il bilancio del 2009 con una diminuzione di fatturato del 12% su base omogenea, a 313 miliardi, non compensata da una pari riduzione dei costi (-9%), con una caduta del margine operativo netto (Mon) del 22% e una contrazione dell'utile netto del 37 per cento. E si riducono del 26% anche i profitti del Top Banche.
I gruppi che registrano il calo più accentuato del Mon sono Fiat (-72%), Buzzi Unicem (-59%), Mondadori (-53%), Cir (-48%), Tenaris (-47%), Mediaset (-39%), Eni (-33%), Prysmian (-32%), Impregilo (-31%), Italcementi (-25%), Luxottica e Geox (-22%), mentre non risentono della crisi Parmalat e Campari, il cui Mon sale rispettivamente del 24,5% e del 21 per cento. Anche Enel segna un + 11%, al contrario di A2A il cui Mon scende del 13 per cento. Non deve trarre in inganno il rimbalzo nella seconda parte dell'anno dell'indice del Mon delle società industriali, trainato essenzialmente dal recupero di Fiat, il cui margine nel primo trimestre del 2009 è stato negativo.
Diminuiscono di 17.400 unità anche gli occupati del campione industriale, dato destinato ad aumentare per il crescente ricorso alla cassa integrazione. Il gruppo che espelle il maggior numero di dipendenti è Fiat (-8.834) seguito da Telecom (-3.936), Geox (-1.635) e Pirelli (-1.486).
Scende anche il livello degli investimenti, sia tecnici che finanziari. Mondadori ha abbattuto quelli tecnici del 74%, Autogrill del 53%, Geox del 45,5%, Fiat del 37% e ST del 54 per cento.
Sono invece in aumento, a 214 miliardi, i debiti finanziari totali (+9,4% rispetto all'anno precedente). Gli incrementi più significativi in valore assoluto sono quelli di Fiat (+7,1 miliardi), Enel (+6,7 miliardi) ed Eni (+4 miliardi). Dalla struttura dell'indebitamento emerge una crescita a oltre 42 miliardi della quota a breve termine, mentre le obbligazioni rappresentano circa il 60% della quota a medio-lungo termine, che sfiora i 172 miliardi. I debiti obbligazionari dell'aggregato sono aumentati in un anno di circa 25 miliardi, mentre quelli bancari sono diminuiti di 9. La "disintermediazione" del credito bancario, favorita da tassi d'interesse eccezionalmente bassi, è piuttosto evidente nei casi di Eni ed Enel. I due colossi pubblici dell'energia (idrocarburi ed elettricità) aumentano nell'insieme di quasi 16 miliardi la parte obbligazionaria e riducono di oltre 7,5 quella bancaria del debito.
Il rapporto debiti finanziari/patrimonio netto del campione migliora di cinque punti per l'aumento di capitale di Enel e il consolidamento in bilancio della spagnola Endesa. Ma resta sostanzialmente invariato al netto di questa operazione.
I gruppi finanziariamente più esposti sono Autogrill e Atlantia, il cui controllo fa capo alla famiglia Benetton. Essi hanno un indebitamento finanziario pari nell'ordine al 367,5% e al 279% dei rispettivi patrimoni netti. Fiat è tra le case automobilistiche più indebitate con un'esposizione rispetto al patrimonio netto del 257% che si confronta con il 196% delle maggiori società del settore. E molto indebitate risultano anche Enel (con un debt-equity del 150% contro il 115% della concorrenza internazionale), Telecom Italia (con il 148% contro un dato medio di settore del 94%) ed Eni (con debiti pari al 50% del patrimonio netto, contro il 34% medio delle altre compagnie petrolifere). Proprio l'altro ieri Standard & Poor's ha tagliato da «AA-» ad «A+» il rating del gruppo del "cane a sei zampe".
Le società previlegiano, invece, una diversa rappresentazione del debito, detraendo dall'indebitamento totale attivi finanziari e disponibilità liquide (cassa, banche e titoli). Per i cinque maggiori gruppi industriali, il risultato di questa operazione è eclatante: da 172 miliardi di debito lordo complessivo a un netto apparente di 135. Fiat in particolare detrae dall'esposizione lorda oltre 12 miliardi di cassa e banche, liquidità presumibilmente in parcheggio proveniente dalla raccolta obbligazionaria.
La situazione non è migliore per le banche, che nel 2008 avevano riportato a conto economico benefici totali per 7 miliardi, di cui 3 per mancate svalutazioni di titoli negoziabili e 4 per risparmi fiscali. Gli undici gruppi creditizi censiti da R&S hanno chiuso il 2009 con un incremento dei ricavi che sfiora il 2,5%, a 67,9 miliardi. Ma hanno registrato al tempo stesso un aumento del 74% delle perdite su crediti, un peggioramento del 32% del risultato corrente e un calo del 26% dell'utile netto totale. A far da sostegno alle banche sono state le attività finanziarie. Margine d'interesse e commissioni nette totali, cioè l'attività tradizionale, hanno accusato cali nell'ordine del 7,5% e del 6 per cento. In sostanza, nei dodici mesi il margine d'intermediazione è stato tenuto su dagli utili della negoziazione di titoli sul mercato. Senza questi profitti, realizzati grazie al positivo andamento delle Borse, i ricavi totali dell'aggregato sarebbero senz'altro diminuiti.
Per il congelamento degli attivi finanziari ai valori storici – la misura di salvataggio dei bilanci bancari attuata nel 2008 con la modifica del principio contabile Ias 39 – gli istituti del Top Banche non hanno potuto iscrivere a bilancio, al 31 dicembre dello scorso anno, plusvalenze per 1,6 miliardi. Ma gli effetti di quel provvedimento sono ancora oggi largamente positivi: minori svalutazioni per 1,8 miliardi e mancati abbattimenti di riserve per 700 milioni. Se le banche europee avessero dovuto adeguare ai valori di mercato i 635 miliardi di attivi finanziari iscritti nei conti del 2008 avrebbero registrato maggiori oneri (sotto forma di svalutazioni) per 44 miliardi. Lo stesso vale per le banche giapponesi. A fronte di un congelamento di attivi per 122 miliardi di euro, i gruppi creditizi nipponici hanno evitato di iscrivere a bilancio maggiori oneri per 22 miliardi.
Banche a rischio sofferenze
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