Il presidente della Giunta regionale della Campania, Antonio Bassolino, e altri 27 imputati nel procedimento per le presunte irregolarità nella gestione del ciclo dei rifiuti, nato dallo scandalo delle ecoballe, sono stati rinviati a giudizio. Lo ha deciso il gup Marcello Piscopo. Il processo comincerà il 14 maggio davanti alla quinta sezione del Tribunale di Napoli.
«Una decisione già annunciata», è stato il secco commento dei legali del presidente della Giunta campana, Giuseppe Fusco e Massimo Krogh. «Le sedute fissate a tappe forzate - si sono lamentati gli avvocati del governatore - non hanno permesso il benché minimo contradditorio sui fatti, impedendo un confronto approfondito sui tanti aspetti lacunosi di questa inchiesta». Dal centro-destra sono piovute le esortazioni alle dimissioni. Il leader di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, ha commentato: «Finalmente Bassolino è stato rinviato a giudizio per la questione dei rifiuti.La responsabilità della vicenda campana è della sinistra, non si può dire che sia della politica».
Tra i rinviati a giudizio figurano l'ex vicecommissario all'emergenza rifiuti Raffaele Vanoli, l'ex subcommissario Giulio Facchi, Pier Giorgio Romiti e Paolo Romiti, rispettivamente ex amministratore delegato dell'Impregilo e ex dirigente dell'Impregilo e della Fisia Italimpianti. A Bassolino sono contestati i reati di truffa, frode in pubbliche forniture, falso e abuso di ufficio, reati che sarebbero stati commessi nel corso del suo mandato di commissario per l'emergenza rifiuti, ruolo ricoperto tra il 2001 e il 2004.
Venerdì mattina era stata depositata un'istanza di circa 200 pagine per chiedere il sequestro conservativo dei beni degli imputati coinvolti nel processo. La parte civile di Palazzo Santa Lucia aveva chiesto di individuare e congelare i beni delle persone coinvolte nel procedimento qualora si fosse provveduto al rinvio a giudizio degli imputati. In mancanza di beni intestati, così come risulta per il governatore Bassolino, il giudice potrebbe anche disporre la richiesta di pignoramento di un quinto dello stipendio, anche dello stesso presidente campano.