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Tremonti al Financial Times: «Non sono protezionista»

di Elysa Fazzino

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16 aprile 2008

«Mi dichiaro non colpevole di statalismo e protezionismo»: Giulio Tremonti, ministro dell'Economia in pectore, scrive al Financial Timesper respingere le accuse mosse dal quotidiano economico britannico. In un commento pubblicato il 9 aprile, «Tremonti e l'uovo del serpente», Tony Barber lo aveva invitato – citando Shakespeare – a uccidere nel guscio il serpente del protezionismo. «Barber mi mette sul banco degli imputati, replica Tremonti, «mi considera colpevole di due crimini contro il futuro dell'economia di libero mercato e la prosperità dell'Europa», protezionismo e statalismo.

Tremonti si dichiara «non colpevole» perché il primo è «un crimine impossibile» dopo il Trattato di Roma del 1957, la conclusione dell'Uruguay Round a Marrakech nel 1994 e la Wto (l'organizzazione del commercio mondiale). Il secondo crimine «non è più nel codice penale» dei paesi europei o degli Usa: dopo l'intervento dei governi in casi come Northern Rock e Bear Stearns «nessuno potrebbe dire che l'intervento statale, perfino nel santuario del capitalismo, l'alta finanza, sia un tentativo di uccidere l'economia di libero mercato».

«L'Unione europea – è il parere di Tremonti – dovrebbe adottare lo stesso tipo di politiche commerciali che gli Stati Uniti adottano con successo», adattandosi al mondo post-Marrakech. Tremonti sintetizza il suo pensiero in due punti: 1) «mercato se possibile, stato se necessario»; 2) «mercato basato sulle regole» invece di «libero scambio senza regole».

Le «tragiche parole di Shakespeare sono davvero troppo nel mio (umile) caso», scrive Tremonti, che suggerisce di descrivere così quanto si dice «erroneamente» delle sue posizion: «La calunnia è un venticello», dal Barbiere di Siviglia, «davvero non una tragedia».

Il Financial Times pubblica oggi sul suo sito vari commenti sui risultati delle elezioni italiane. «Questa volta Berlusconi deve fare dell'Italia il suo business» è il titolo di un'analisi di Paul Betts. Altrove il quotidiano scrive che, per quanto il Cavaliere si sia affermato in modo decisivo, «ciò non significa che manterrà la sua promessa di dare all'Italia le riforme di cui ha disperatamente bisogno». Un titolo sottolinea l'impegno a varare «rapide riforme», dichiarato dal futuro premier subito dopo la vittoria elettorale. Una notizia dai mercati finanziari: «La vittoria di Berlusconi rialza i costruttori»: salgono le quotazioni di chi fa infrastrutture.

E ora, le riforme

Ora che Berlusconi ha un'ampia maggioranza, farà le riforme? È la domanda che circola con insistenza nei commenti sui siti dei media esteri. Nei titoli ricorrono parole chiave delle prime dichiarazioni del futuro premier: Napoli, Alitalia, economia e immigrati. «L'Italia svolta a destra», titola sul suo sito il settimanale britannico Economist. Sempre critico nei confronti del Cavaliere, lo incalza sul web: «L'interrogativo», scrive «è se Berlusconi sfrutterà il solido mandato che ha ricevuto per introdurre le riforme di cui l'Italia ha seriamente bisogno. Ha promesso che lo farà. Ma in passato ha promesso tante cose che non ha mantenuto». Per la Bbc con questa maggioranza, il futuro premier avrà «i muscoli», ma «può fare i miracoli?». Un certo scetticismo trapela anche dall'analisi del settimanale statunitense Time: «Se questa volta fallisce nell'intento di fare le riforme economiche e politiche disperatamente necessarie, non avrà nessun altro cui dare la colpa che se stesso». L'economia ferma, l'Alitalia, la spazzatura: per problemi del genere la vecchia soluzione politica era «lo scaricabarile, puro e semplice», scrive il Time. «Ma questo nuovo governo sembra che sarà stabile, il che significa che i suoi leader dovranno prendersi le loro responsabilità. E questo è davvero qualcosa di nuovo sotto il sole di Roma». Sulla stessa falsariga l'editoriale del New York Times: «I primi due mandati di Berlusconi sono stati deludentemente deboli sulle riforme. L'Italia ha bisogno che lui faccia meglio questa volta».

La semplificazione del quadro politico dell'Italia, avviata verso il bipartitismo, è sottolineata come la novità sostanziale uscita dalle urne. Il Wall Street Journal parla di «minirivoluzione»: il voto ha «spazzato via numerosi partiti minuscoli che per decenni hanno complicato la politica italiana». Di conseguenza, il Cavaliere avrà «spazio di manovra per governare con una capacità di decidere» che non hanno avuto i governi passati. Per Le Monde, la buona notizia di queste elezioni è proprio che ora ci sono due grandi forze a destra e a sinistra, il che lascia intravedere il bipartitismo. La «cattiva notizia», sostiene un editoriale del quotidiano francese, è che Berlusconi dispone di un'ampia maggioranza che gli permette di governare per cinque anni: «A giudicare dalle performance passate, l'inquietudine è di rigore». Un titolo di cronaca dice che il Cavaliere «resta confuso sui suoi progetti per raddrizzare l'economia italiana». Un commento su Les Echos, «L'infernale equazione italiana» afferma che la semplificazione del gioco politico di per sé non scongiura «i rischi di paralisi nati da un sistema bicamerale in cui Senato e Camera hanno lo stesso peso». Prima di tutto – si legge sul quotidiano finanziario francese – il Cavaliere dovrà mantenere le promesse e disinnescare la trappola della riforma elettorale. «Berlusconi III è pronto a questo salto in avanti?». Ormai «deve passare ai fatti e fare approvare misure anche impopolari per essere credibile». «Il tempo delle spiritosaggini è finito», scrive l'Independent, domandandosi se il Cavaliere sia il «salvatore» che serve all'Italia. E il Times, che parla di «terremoto politico» e di «radicale semplificazione dell'aritmetica politica», chiama Berlusconi «Mr Clean and Sober»: la sua sfida sarà di dare all'Italia un governo moderno, pulito, sobrio e responsabile.

  CONTINUA ...»

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