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Veltroni: «Ora spazio alla green economy»

di Alberto Orioli

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21 Gennaio 2009
Walter Veltroni (Contrasto)

E ora l'economia riparte? Nel giorno delle iperboli emozionali, dei riti di popolo e di teleschermo per l'insediamento di Barack Obama diventa lecito interrogarsi su come il "sogno" possa trovare percorsi reali. Walter Veltroni, leader del Pd e antesignano sostenitore di Obama (fa fede la prefazione all'edizione italiana del libro «L'audacia della speranza» dove gli riconosceva quel mix tra capacità visionaria e pragmatismo, diventati i pilastri del successo), risponde così: «C'è stato il tempo dell'auto, quello delle tlc. Ora sarà la green economy a rilanciare lo sviluppo. Penso a un grande piano sovranazionale e a programmi nazionali su più anni per dare vita a una gigantesca operazione di rottamazione del petrolio. Lo annuncia Obama, lo potrebbe realizzare anche l'Italia. Abbiamo il know how necessario – e forse anche più sviluppato che in altri Paesi – per far fronte a investimenti nei campi dell'energia sostenibile e nei motori di nuova generazione».

La crisi però è prima di tutto finanziaria.
È chiaro che l'effetto-Obama ci sarà in generale. Il fatto stesso che la crisi finanziaria sia caduta nel passaggio tra le due presidenze americane ha creato un moltiplicatore della crisi stessa. E la difficile gestazione al Congresso del primo piano Paulson ne è la dimostrazione. Ma saranno le stesse idee di Obama a ridestare la fiducia: ha in mente di affrontare dalle radici questa recessione. Che è finanziaria ma non solo: finora le centinaia di miliardi destinati dai Governi di mezzo mondo al sistema bancario non hanno avuto l'effetto voluto di un ritorno della liquidità all'economia reale. Qualcuno ha addirittura parlato di sciopero dei banchieri. E quando Obama dice che è tempo di passare da Wall Street a Main Street intende dire proprio che affronterà le conseguenze della crisi sull'economia reale.

Le banche sono nel mirino del Governo. Chi ha sbagliato a casa o in galera, dice Tremonti. È d'accordo?
Sicuramente c'è stata una grandissima sottovalutazione della crisi e anzi il ripetersi per anni di comportamenti che hanno alimentato un castello di carte crollato miseramente, una ricchezza solo virtuale che produce però danni reali, con conseguenze a volte drammatiche nella vita delle persone. Bisogna voltare pagina.

L'Europa è in forte recessione ma l'Italia sta meglio.
Lo dice Tremonti ma è una frase da campagna elettorale non da chi vuole risolvere i problemi. I dati europei, che confermano quelli della Banca d'Italia, non sono «congetture». Sono lo scenario con cui chi ha responsabilità politiche deve misurarsi fino in fondo. Il circuito della fiducia non si attiva con il marketing o nascondendo le cifre, ma annunciando e attuando politiche condivise che aggrediscano i punti di maggiore sofferenza, ad esempio la garanzia di un reddito per i nuovi disoccupati e lo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione. Purtroppo il governo non ha avuto il coraggio di dare risposte vere su nessuna delle due questioni nel decreto anti-crisi. È questo che fa male alle aspettative dell'economia, non le previsioni delle istituzioni preposte al monitoraggio dell'economia italiana ed europea.

C'è il problema delle risorse. L'Italia non ne ha e non può permettersi di sforare i tetti Ue.
Veramente noto che anche l'Italia, come altri Paesi europei, sfonderà i limiti di Maastricht ma purtroppo, mentre gli altri lo avranno fatto a fronte di grandi piani di rilancio, noi saremo fuori limite pur avendo fatto poco o nulla.

Il Pd ha proposto un piano da un punto di Pil. Ma sarebbe credibile solo se fosse accompagnato dalle riforme strutturali. Ve la sentireste di votare una nuova riforma pensioni?
Confermo la necessità di dare vita a un piano da un punto di Pil, 16 miliardi appunto. Un piano strategico, però, non i francobolli del Governo Berlusconi. All'Italia servirebbe un quadro di scelte di lungo periodo su welfare, giustizia, formazione, ambiente e anche sul riassetto istituzionale. Le pensioni? Penso a una riforma del welfare complessiva che riveda anche l'indennità di disoccupazione: ci sono due milioni di precari e quasi sette milioni di lavoratori a tempo pieno che rischiano di non poter avere una tutela in caso di perdita del posto. Per la previdenza credo si debba andare verso soluzioni improntate alla filosofia della libertà di scelta: che un lavoratore possa scegliere di andare in pensione prima, con un assegno più basso, o dopo, a fronte di un assegno di quiescenza più alto, credo faccia parte del tipo di flessibilità di cui abbiamo bisogno. Penso a soluzioni di questo tipo piuttosto che a obblighi di innalzamenti forzosi dell'età pensionabile. Eppoi va rispettato quanto previsto per l'adeguamento dei coefficienti che darebbe un po' di respiro ai conti pubblici.

L'Italia propone di creare una grande «bad bank» in cui far confluire i derivati e la "finanza cattiva" per smaltirla nel corso degli anni, lasciando che la "finanza buona" torni a esercitare il suo compito senza più rischi pendenti e imponderabili. Che ne pensa?
  CONTINUA ...»

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