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L'Italia che cambia. Il 10% del Pil viene dagli stranieri

di Riccardo Barlaam e Francesca Padula

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27 maggio 2009
La foresta cresce e non fa rumore (di Paolo Branca)

Igor Lowe ha le dita affusolate e lo sguardo fiero. Un completo grigio con la camicia bianca, cangiante sulla pelle nera. Parla un italiano senza incertezze. Da quattro anni vive a Reggio Emilia. Viene dal Camerun, da Bafusam, parte francofona del paese. E sta per laurearsi in Analisi e gestione finanziaria alla facoltà di Economia dell'Università di Modena. L'Università Marco Biagi. «Mi piacerebbe fare l'analista finanziario nel mercato delle energie rinnovabili, un mercato che potrebbe essere un'opportunità anche per l'Africa ».

Questo ragazzo straniero di 26 anni ha fatto il servizio civile volontario in Italia. Lo prevede una legge regionale dell'Emilia Romagna. È stato uno dei primi.«Ho lavorato – racconta – un anno al Centro d'ascolto delle povertà della Caritas di Reggio Emilia e Guastalla. Assistevo persone in difficoltà. Immigrati, poveri, tossici, persone in disagio economico che cercavamo di aiutare con il microcredito». Un'esperienza che ha lasciato il segno. E che continua. «Ho terminato il servizio civile ma continuo a servire la comunità attraverso un'attività di volontariato nella Casa-Dormitorio della Caritas». Qui arrivano barboni, senza-tetto, italiani e stranieri. La casa è gestita da 8 ragazzi di diversi Paesi: Camerun, Togo, Albania, Italia. Igor sente di impegnarsi nella società civile perché, dice, «voglio vivere diversamente la città e non dare la colpa alle istituzioni per le cose che non vanno». All'entrata del dormitorio ha affisso una targa con una frase di Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo ».

La sua storia ha molti capitoli in comune con quella dei giovani stranieri di seconda generazione che frequentano l'università, si riuniscono e si raccontano su Facebook e su Myspace dove condividono anche le disavventure quotidiane: l'odissea per portare a casa il rinnovo del permesso di soggiorno – in media 10 mesi di attesa per un documento che resta valido solo 12 mesi – e il sogno di raggiungere la cittadinanza. Su Facebook l'associazione 2G-Seconde generazioni ha aperto una pagina che in quattro mesi ha superato i 1.100 iscritti. Non è facile ottenere il passaporto anche se sei nato qui. Chi è figlio di immigrati extracomunitari si avvale del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare fino al 18esimo anno d'età. Dopodiché può richiedere la cittadinanza, ma ha tempo dodici mesi – fino al compimento dei 19 anni – per non perdere i diritti acquisiti e rischiare di lasciare il Paese dove è nato.

In questo limbo ci sono almeno 400mila giovani che, nati in Italia da famiglie straniere, devono possedere almeno dieci anni di residenza ininterrotta. Senza stop: nemmeno un viaggio all'estero né un Erasmus anche se si frequenta l'università! Un decennio senza mai partire. Il doppio rispetto a quello che serve in Francia e in Inghilterra, dove bastano cinque anni per ottenere il passaporto.


Salah Boui, 45 anni, in Italia dal 1990, viene dal Marocco e fa il fornaio. È il presidente della Consulta degli stranieri di Montechiarugolo, comune agricolo perso nella pianura verde a pochi chilometri da Parma. L'oro qui si chiama Parmigiano. E nelle fattorie lavorano tanti indiani come bergamini: curano le vacche da latte come se fossero miniere. Oltre agli indiani, gruppo etnico più numeroso, nel paese vivono pachistani, cinesi, moldavi, albanesi, marocchini, tunisini, senegalesi.
Due anni fa il sindaco ha lanciato l'idea di creare questo organo consultivo degli e per gli stranieri. Salah è stato eletto presidente. «Dopo una votazione – precisa – a cui hanno partecipato tutti gli stranieri residenti». La Consulta è composta da sette persone. Si incontrano una volta al mese. «La prima cosa su cui abbiamo lavorato è stato un opuscolo dove vengono spiegati tutti i servizi offerti dal Comune in diverse lingue: italiano, inglese, francese e arabo». La Consulta non ha nessun potere esecutivo. Ma è importante. Il Comune sente il suo parere sulle questioni che riguardano gli stranieri, e viceversa. «Come presidente –precisa Salah – ho il diritto di parola nel consiglio comunale. Posso parlare e partecipare quando è necessario». Un modo insomma per stare più vicino al governo della cosa pubblica che è di tutti i residenti. Anche stranieri.

Salah ha lasciato i suoi studi in biologia quando è arrivato in Italia. «È il mio rimpianto. Ho dovuto mettermi a lavorare per mantenere la famiglia». Ormai è più italiano che marocchino. «La mia famiglia è qui. La mia vita è qui. Mi conoscono tutti e sono bene integrato nella comunità ». Ma non ha il diritto di voto. «È un obiettivo. Prima o poi ci si arriverà perché è giusto che chi vive qui, paga le tasse come gli altri e partecipa allo sviluppo socio-economico del paese in cui vive e dell'Italia, abbia anche il diritto di scegliere chi lo rappresenta e chi fa il suo interesse».

Anche Salah, il fornaio marocchino a Parma, è in ottima compagnia. Assieme a lui 300mila piccoli imprenditori immigrati sono arrivati in Italia. E dopo un periodo di lavoro dipendente si sono messi in proprio. Molti nel campo nelle costruzioni, altrettanti nel commercio e nella ristorazione.
Con un ritmo di crescita più sostenuto delle piccole imprese italiane. Nel frattempo si sono fatti raggiungere dalle famiglie, e hanno persino acquistato una casa con il mutuo.
Bizzarro. Oggi sono le attività con titolare straniero ad assicurare il saldo positivo nei bilanci di "nascita e mortalità" delle imprese a livello nazionale: le ditte individuali sono quasi triplicate passando, da circa 85mila del 2000 a quasi 258mila nel 2007.

L'imprenditore straniero abita soprattutto al Nord: la Lombardia da sola conta circa un quinto di tutte le aziende registrate a livello nazionale. Mentre Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio danno l'altro quota significativa (con una percentuale media del 10% ognuna). È multietnica l'Italia delle micro imprese, come quella del welfare: il numero delle badanti che assistono gli anziani a tempo pieno ha superato quello dei dipendenti della sanità pubblica (700mila contro 682 mila). E come quella, ancora, del lavoro stagionale che attrae in Italia ogni anno 80mila lavoratori extracomunitari impegnati nell'agricoltura e nel turismo.

Pochi altri numeri per sospettare che l'Italia multietnica e multiculturale è già una realtà. Basta mettere a confronto l'intero universo degli stranieri maggiorenni (3 milioni e 561mila) con quello dei dipendenti statali italiani (3 milioni e 366mila) per capire che anche l'ultimo sorpasso si è consumato.

Sara Baroni e Carlotta Cicciotti, invece, sono italiane. Due ragazze di Roma. Studiano al liceo statale Kant e sono all'ultimo anno. A gennaio sono state a Fontem, un villaggio sperduto nella foresta equatoriale, in Camerun, per seguire un gemellaggio tra scuole superiori della capitale e la scuola locale con 500 suoi coetanei africani.

Attraverso questo progetto, il progetto Digital Bridge,finanziato dalla Regione Lazio e dall'Esa, l'ente spaziale europeo, in questa zona remota del continente nero è stato attivato un collegamento satellitare a Internet. Il web ha permesso ai ragazzi di tre scuole romane e a quelli del college africano di lavorare insieme su programmi comuni. Carlotta e Sara sono state lì per 15 giorni. Una gita scolastica. Ma non la solita, a Parigi o a Venezia. Un momento di interscambio culturale e di formazione profonda.

«È stata una esperienza positiva – racconta Sara –ho conosciuto una realtà completamente diversa dalla mia. Mi ha fatto riflettere sulle cose che sono davvero importanti, anche alla mia età».
«Quello che mi ha più colpito – dice Carlotta – è stato il calore della gente. La mancanza di comodità, case senza luce, l'acqua che non c'era sempre,è stata appagata dall'ospitalità di queste persone. Il giorno che sono tornata in Italia sono andata in un supermercato. Mi sembrava di essere in un luogo surreale».

Igor, Salah, Carlotta e Sara. La nuova Italia, l'Italia multiculturale e multireligiosa è già una realtà. Nelle loro storie. E di storie simili a queste nel nostro paese ce ne sono tante. Una cosa su tutte dà l'idea del peso degli stranieri regolari. Il 9,7% del Pil viene dal loro lavoro: un decimo dell'intera ricchezza prodotta dalla nostra nazione (fonte Fondazione Ismu). Il dato è più elevato se si considerano gli irregolari. Difatti per misurare il contributo dei lavoratori stranieri bisogna tener conto dei regolari (3,677 milioni) e anche di coloro che hanno un impiego ma non ancora il permesso di soggiorno (651mila). Questi ultimi spesso sono costretti a compiere un viaggio rocambolesco per uscire dall'Italia come clandestini e rientrarvi da regolari.

La "finzione" è necessaria per aggirare il meccanismo della legge Bossi-Fini che regola gli ingressi e che si basa su una difficile "chiamata nominativa" di cittadini stranieri che, sulla carta, dovrebbero risiedere all'estero e non aver mai lavorato in Italia illegalmente.
Presto – se andranno in porto le modifiche annunciate da Fini – anche questo ostacolo alla regolarizzazione potrebbe essere superato.

Dopo il lavoro, obiettivo famiglia. I minori regolari (767mila, di cui 457mila nati in Italia) portano a una popolazione di 4,328 milioni di immigrati . È la "21esima" regione italiana, poco più piccola dell'Emilia Romagna ma più popolata della Toscana. Che diventerà la seconda regione, dopo la Lombardia, nel giro di vent'anni. Perché le culle delle famiglie immigrate non sono vuote: oltre 3 figli (3,05) è il numero medio per donna in due province record, a Mantova e Prato. Piccole capitali dell'Italia multietnica

27 maggio 2009
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