«Mills ha agito certamente da falso testimone. Da un lato per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse o almeno il mantenimento degli ingenti profitti realizzati attraverso il compimento delle operazioni societarie e finanziarie illecite compiute fino a quella data. Dall'altro lato per perseguire il proprio vantaggio economico». Lo scrivono i giudici del Tribunale di Milano, decima sezione, nel motivare le ragioni della condanna a 4 anni e mezzo decisa il 17 febbraio scorso di David Mills per corruzione in atti giudiziari in concorso con Silvio Berlusconi. La posizione del coimputato Berlusconi era stata separata nell'ottobre scorso in attesa che la Corte Costituzionale decida sulla legittimità del lodo Alfano. Le motivazioni della sentenza di condanna di Mills a quattro anni e sei mesi sono contenute in 376 pagine.

Dura la reazione di Berlusconi che dall'Aquila dove si trovava per un incontro con il presidente della Commissione Ue, Barroso, ha risposto alle domande dei cronisti definendo «scandalosa» la sentenza. In Parlamento, ha preannunciato, «dirò cosa penso di certa magistratura». Il premier, rientrato a Roma, ha trovato ad attenderlo a Palazzo Grazioli il deputato del Pdl e suo legale Niccolò Ghedini. Probabile che l'incontro verta sulla sentenza del caso Mills.

«Raffinata attività di riciclaggio»
David Mills, scrivono tra l'altro i magistrati, «ha realizzato una delle sue più raffinate e criminali attività di riciclaggio» nel tentativo di occultare la somma di 600mila dollari (oggetto della corruzione secondo l'accusa, ndr). Secondo l'accusa, Mills avrebbe ricevuto somme di denaro da Berlusconi per non dire il vero nell'ambito delle sue testimonianze in due processi celebrati a Milano che vedevano il premier imputato. «Il prezzo della corruzione di Mills - scrivono ancora i giudici - comprendeva anche «il "disturbo" per tutte le operazioni di riciclaggio che egli avrebbe dovuto compiere per nascondere, mascherare, trasformare, schermare la somma che gli veniva illecitamente corrisposta e tutta l'attività era già prevista, voluta e stabilita nell'accordo, lasciando alle capacità di Mills il compito di individuare di volta in volta le modalità esecutive per la riuscita dell'impresa».

«L'obiettivo era eludere il fisco e mantenere profitti»
«Il fulcro della reticenza di David Mills, in ciascuna delle sue deposizioni, sta nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest e non alla persona di Silvio Berlusconi, la proprietà delle società offshore (con base, quindi, nei paradisi fiscali) in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti... È risultato in questo dibattimento - aggiungono i giudici - che la condotta di Mills era dettata appunto dalla necessità di distanziare la persona di Silvio Berlusconi da tali società al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all'estero, la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Pier Silvio Berlusconi».