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L'intervento di Fini all'incontro organizzato a Madrid da "Nueva Economia Forum"

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29 giugno 2009

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E' innegabile che la crisi assume caratteristiche parzialmente differenti in ciascun Paese. Il caso dell'Italia presenta alcune particolarità in quanto nel mio Paese il sistema bancario è stato meno pesantemente investito dalla crisi finanziaria. Recenti statistiche e previsioni economiche indicano l'Italia tra i Paesi meno duramente colpiti dallo tsunami finanziario e dalle sue ricadute sull'economia reale. Un minore grado di internazionalizzazione del nostro sistema bancario, la persistenza di un'elevata propensione media al risparmio e uno sviluppo relativamente contenuto del credito al consumo, hanno certamente contribuito a limitare i danni e ad evitare il ricorso a massicce misure emergenziali di intervento pubblico. L'OCSE ci colloca, insieme a Francia e Cina, tra i Paesi che per primi potrebbero tornare a crescere e dati incoraggianti emergono anche da alcuni rapporti ufficiali (ad es., Istat) che segnalano come, nei primi mesi del 2009, circa un terzo delle imprese italiane, prevalentemente di piccola e media dimensione, abbia addirittura aumentato le proprie esportazioni rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Un dato, questo, in controtendenza rispetto agli altri paesi dell'Unione.

Tutto ciò, lo ripeto, è essenzialmente dipeso dalla maggiore oculatezza che ha tradizionalmente contraddistinto il sistema italiano nell'erogazione del credito così come dalla più bassa propensione dei privati a ricorrere all'indebitamento. Tuttavia, questa peculiarità rischia, paradossalmente, di produrre alla lunga conseguenze incerte sull'andamento dell'economia e sulle prospettive di ripresa. Infatti, la prassi della rigorosa valutazione del credito sta inducendo le banche a limitare l'erogazione di finanziamenti alle imprese già colpite, in conseguenza della crisi e della riduzione della domanda, dalla contrazione degli ordinativi e, conseguentemente, della liquidità. L'Italia dovrà anche proseguire i suoi sforzi per consolidare i progressi già in parte realizzati in occasione di una maggiore liberalizzazione ed apertura concorrenziale dei mercati, mettendo al riparo quanto già acquisito da inopportuni tentativi di restaurazione.

Nel nostro Paese si impongono serie ed efficaci politiche di riforma in settori pubblici strategici, come l'istruzione, la ricerca scientifica e la giustizia civile, da cui, in larga misura, dipendono fattori essenziali e determinanti della produttività e della crescita dell'economia nazionale, quali la disponibilità e la qualità del capitale umano, il tasso di partecipazione ai processi produttivi ed il livello di mobilità sociale, l'effettiva tutela dei diritti di proprietà e la certezza ed efficienza delle transazioni economiche. Allo stesso tempo, ritengo che l'Italia, proprio in ragione delle peculiari caratteristiche del suo sistema economico, contrassegnato da una notevole flessibilità e capacità di adattamento, con particolare riguardo alla diffusione di piccole e medie imprese, oltre che alla ridotta esposizione debitoria del settore privato, potrebbe svolgere un ruolo propulsivo per promuovere interventi più efficaci e coordinati sia a livello europeo che a livello internazionale. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di recuperare un più intenso raccordo tra i maggiori e più vicini partners dell'Unione europea, in particolare con Francia, Germania e Spagna, per individuare soluzioni condivise su cui sollecitare gli altri paesi. Penso in primo luogo, ma non esclusivamente, alla disciplina dei mercati finanziari e dei poteri di vigilanza.

Non meno importante è il lavoro da svolgere per un regime equilibrato per quanto riguarda il commercio internazionale, che impedisca le forme più marcate di competizione sleale, così come l'attenuazione della esasperata concorrenza fiscale che sino ad ora ha prodotto l'effetto assai grave di concentrare la tassazione sul fattore lavoro a vantaggio della rendita e del capitale. Né può trascurarsi la necessità di un nuovo e più equilibrato ordine monetario che riduca le tentazioni di ricorrere a svalutazioni per sostenere artificiosamente la concorrenzialità di singoli sistemi produttivi. Tale ultimo aspetto assume particolare interesse per i Paesi europei che, con l'adozione dell'euro, hanno rinunciato a qualunque margine di flessibilità di cui in passato avevano goduto le rispettive monete; va poi considerato che lo stesso euro ha dimostrato di possedere tutti i requisiti per vedere accresciuto il proprio ruolo come moneta di riserva negli scambi internazionali. L'interesse nazionale non può essere perseguito fino al punto di tradursi in un egoismo irragionevole e alla fine autolesionista.

L'impatto positivo che una politica concertata può produrre supera di gran lunga il vantaggio che può essere assicurato da un singolo Paese, a parità di risorse impegnate. Ovviamente, le stesse considerazioni valgano per la definizione di un quadro di regolazione applicabile per tutti. Il risultato, in termini di recupero della credibilità del sistema finanziario nel suo complesso, e di affidabilità nei confronti dei risparmiatori, sarebbe evidente. Questo è un patrimonio che non dobbiamo svilire; può, invece, costituire un fattore di orgoglio e di forza che deve indurre l'Europa a rivendicare un ruolo attivo nel disegno di una nuova governance mondiale che ci permetta di uscire dalla crisi in condizioni migliori dal punto di vista delle prospettive di uno sviluppo duraturo ed equilibrato.

http://presidente.camera.it/

29 giugno 2009
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