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Sicilia, il gran ritorno delle dighe incompiute

di Giuseppe Oddo

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1 agosto 2009
Un viaggio ad Agrigento nella valle degli sprechi

C'è di tutto e di più nel programma di investimenti della Regione Sicilia a cui il Cipe ha appena destinato 4,1 miliardi. Anche un capitolo sul completamento delle dighe: opere concepite 20-30 anni fa per creare grandi invasi artificiali per la raccolta delle acque, ma in alcuni casi mai ultimate. Quello della diga di Blufi, nelle Madonie, è il più clamoroso. Ridacchia il professor Aurelio Angelini quando gli diciamo che 150 milioni saranno spesi per il completamento di Blufi e Pietrarossa, un'altra diga nel territorio di Aidone, nell'ennese, i cui lavori sono stati interrotti. «E che ci fanno con questi soldi?», dice.
Angelini insegna ecologia e sociologia dell'ambiente all'Università di Palermo e ambiente e sviluppo sostenibile allo Iulm di Milano e la vicenda delle dighe la conosce a memoria. Per Blufi e per la diga dell'Ancipa, degli anni '50, che prende nome dall'omonimo affluente del Simeto, nel territorio di Troina, furono spesi, ricorda Angelini, circa 2mila miliardi di lire dell'epoca. Scandali, accordi mafia-politica, inchieste amministrative e penali, tangenti: intorno a queste opere si scatenarono gli appetiti più famelici. L'invaso di Blufi sarebbe dovuto sorgere a circa 900 metri di altitudine nel cuore del parco delle Madonie. Quel che resta oggi è una grande spianata cementifica. «Manca il corpo diga e mancano le canalizzazioni», spiega Angelini. Altro che 150 milioni! Qui resta da fare il grosso dell'opera.
Solo per raggiungere i luoghi, che si rivelarono inidonei alla raccolta delle acque, furono necessari, ricorda l'esperto, circa venti chilometri di strada attraverso i boschi. «Bisognerebbe valutare oggi, a distanza di vent'anni, la reale portata delle acque della diga di Blufi. All'inizio si pensava fosse nell'ordine dei 6 milioni di metri cubi, mentre studi successivi sono arrivati a dimezzare la cifra». Per rimettere mano ai lavori, prima di spendere altri soldi, servirebbero un nuovo studio di fattibilità e una nuova progettazione.
Diverso il discorso per l'Ancipa, realizzata negli anni '50 e oggi gestita dall'Enel, per la quale sono previsti nel piano attuativo regionale interventi migliorativi. «L'Ancipa, che raccoglie le migliori acque della Sicilia – dice ancora Angelini – è stata costruita in più fasi e non è mai stata sostanzialmente collaudata nel suo insieme». Il problema di questa diga sono una serie di interventi che consentano l'utilizzo dell'invaso al massimo della capacità.
L'impressione comunque è che, accanto a molte opere giudicate necessarie, come la metropolitana leggera e il potenziamento della circumvallazione di Palermo, il programma siciliano ne contenga altre di dubbia utilità. La vicenda della diga di Blufi conferma, secondo Angelini, che il piano della Regione è imperniato almeno in parte su opere incompiute e con storie difficili. Per esempio: ha ancora senso parlare di un collegamento veloce tra Palermo e Catania? Oggi per andare in treno da una città all'altra sono necessarie sei ore per coprire un tragitto inferiore a duecento chilometri. Un ciclista ben allenato impiega meno del treno. Con l'autostrada, che è gratis, bastano due ore. Un treno veloce, con quel che costa, sarebbe in grado di competere economicamente con l'auto?

1 agosto 2009
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