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Lodo Alfano alla prova del 9

di Donatella Stasio

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6 Ottobre 2009
Il palazzo della Consulta a Roma (Ansa)
I quindici giudici
Promosso, bocciato, rimandato. Un arsenale di opzioni possibili

Ore contate, per il Lodo Alfano. Ore cariche di tensione, che la sentenza sul Lodo Mondadori ha portato alle stelle e che potrebbe ripercuotersi sul verdetto della Corte costituzionale, previsto per stasera o, al massimo, domani. Queste, almeno, erano le previsioni fino a due, tre giorni fa; prima, cioè, che il clima politico diventasse incandescente per la notizia del maxirisarcimento di 750 milioni di euro che la Fininvest dovrà pagare alla Cir di Carlo De Benedetti per lo «scippo», nel '91, della casa editrice Mondadori: una «vicenda corruttiva» di cui il Tribunale civile di Milano ritiene «corresponsabile» Silvio Berlusconi, sia pure ai soli fini civili. Il Pdl già evoca «disegni eversivi» e «decisioni politiche» e questo surriscaldamento della temperatura potrebbe complicare la discussione sul Lodo Alfano - squisitamente tecnica ma dagli oggettivi risvolti politico-istituzionali - fino ad allungare i tempi della decisione di 15 giorni e persino a ribaltare la risicata maggioranza che, alla vigilia della decisione, sembra orientata a bocciare lo scudo per le quattro più alte cariche dello Stato perché approvato con una legge ordinaria, e non costituzionale. Ieri pomeriggio, quando per la prima volta i giudici costituzionali si sono ritrovati tutti attorno a un tavolo per altre incombenze, si è avuta la percezione di una spaccatura più difficile da ricucire, se non con la ricerca di un compromesso dai tempi lunghi e verso il basso.

L'appuntamento ufficiale, comunque, è per stamattina alle 9,30, nella settecentesca sala gialla delle udienze pubbliche, a palazzo della Consulta. Di fronte alla Corte presieduta da Francesco Amirante sfileranno - dopo aver ascoltato la relazione del giudice Franco Gallo - Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini, avvocati del premier Silvio Berlusconi, affiancati dall'Avvocato dello Stato, Glauco Nori (che ha paventato il rischio di «dimissioni» del premier se il Lodo fosse bocciato) nonché il professor Alessandro Pace per la Procura di Milano. Ghedini, Pecorella e Nori difendono la legittimità dello scudo (una "sospensione processuale", e non un'immunità, necessaria per non sacrificare il diritto di difesa dell'imputato e ritagliata sulla sentenza con cui la Consulta, nel 2004, bocciò il Lodo Schifani); Pace, come i magistrati di Roma e Milano che si sono rivolti alla Corte, ne sostengono l'illegittimità per varie ragioni di cui la prima, e più importante, è di non essere stato approvato con una legge costituzionale.

Sarà questo il primo nodo da sciogliere. Nella sentenza del 2004, scritta da Amirante, rimase «assorbito» da altre censure, ma quel silenzio è stato interpretato dal Governo e dalla maggioranza come un lasciapassare per la legge «ordinaria». Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha spiegato più volte che la sentenza del 2004 è stata la «bussola» in base alla quale ha deciso di firmare la legge «ordinaria». E benché il suo vaglio lasci impregiudicata qualunque successiva decisione della Consulta, c'è chi lo considera un ulteriore ostacolo alla bocciatura del Lodo.

Dal 2004 sono trascorsi 5 anni e, soprattutto, sono cambiati 11 giudici: un argomento, quest'ultimo, messo sul tavolo per giustificare quella che viene considerata una «marcia indietro» da chi difende il Lodo Alfano così com'è. Fino a ieri mattina, i boatos di Palazzo della Consulta riferivano di una maggioranza risicata in favore della bocciatura: 7 giudici a favore, 5 contrari e 3 ancora indecisi. Quanto basta per giustificare qualunque capovolgimento di fronte e per tentare di aggregare una maggioranza più ampia su soluzioni alternative (per esempio, dichiarare incostituzionale la norma che di fatto consente al premier di essere eletto al Quirinale, coprendolo per 7 anni, quindi ben oltre la legislatura in corso). C'è, però, chi considera questa via d'uscita «un compromesso al ribasso», destinato a scontentare tutti, anche il Governo, comunque costretto a confezionare una leggina per correggere la legge prima che il processo Mills a Berlusconi si rimetta in moto.

Per antica consuetudine, la Corte cerca sempre, sulle questioni più delicate, di non spaccarsi a metà. Aprire un fronte interno di guerra, rischia di creare una situazione ingestibile, tanto più per una Corte travolta, prima dell'estate, da furiose polemiche per la cena di due giudici (Mazzella e Napolitano) con il premier e il guardasigilli. Di qui la ricerca di una formula tecnica che, senza smentire la sentenza del 2004, le consenta di decidere in libertà, al di fuori di pressioni e condizionamenti.

6 Ottobre 2009
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