La candidata bersaniana Catiuscia Marini ha vinto di stretta misura le primarie del Pd in Umbria contro lo sfidante Gianpiero Bocci vicino a Franceschini. Ma la notizia è un'altra: il partito ritiene che abbiano partecipato alla consultazione in 40mila. Laddove alle primarie per scegliere il segretario, a ottobre, erano in 70mila. Segno di una disaffezione di iscritti ed elettori a uno strumento di partecipazione democratica che questa volta è apparso più come mezzo per regolare conti interni. Vicenda lacerante per i militanti umbri anche perché la corsa ha assistito nelle scorse settimane al ritiro di un terzo importante candidato, Mauro Agostini. L'ex tesoriere del Pd era appoggiato da Veltroni ma non da tutta Area democratica: insomma, in questo caso una ulteriore spaccatura interna alla minoranza del partito tra veltroniani e franceschiniani.
In Calabria altra situazione a dir poco paradossale: domenica prossima sono in calendario le primarie tra tre candidati, tutti in teoria di area bersaniana (il governatore uscente Agazio Loiero, il presidente del consiglio regionale Guseppe Bova e Bruno Censore). Il tutto mentre il Pd sta trattando l'accordo con Di Pietro sul nome dell'industriale del tonno Filippo Callipo, indisponibile a partecipare a primarie di coalizione. Le primarie calabresi, già previste per il 7, sono state spostate al 14 febbraio proprio per dare tempo ai vertici romani del Pd di tentare l'accordo con l'Idv. E soprattutto di convincere l'immarcescibile Loiero, che non ha l'appoggio dell'Idv, a fare un passo indietro.
Le ultime vicende – a cominciare dalla "disfatta" pugliese che ha segnato la larga vittoria di Nichi Vendola sul candidato ufficiale del Pd Francesco Boccia e che avuto tra le prime e più importanti conseguenze politiche la quasi-rottura, o quantomeno il forte gelo, dei rapporti tra Pd e Udc – fanno emergere alcuni nodi lasciati irrisolti dello strumento-primarie. Nodi peraltro messi in evidenza dallo stesso Bersani durante la campagna congressuale.
Proprio il caso calabrese – interessante anche come banco di prova della ritrovata sintonia tra un Di Pietro post-congressuale "moderato" e governativo e un Pd che si è visto costretto, per ora, a congelare l'asse con Casini – evidenzia forse il difetto principale dello strumento primarie in un sistema che è sì (faticosamente) bipolare ma non bipartitico come è sostanzialemtne il sistema americano: se il maggiore partito di opposizione non è spesso in condizioni di esprimere il candidato (a Palazzo Chigi come in regione) ma ha bisogno della trattativa con altri partiti della coalizione per individuare un nome condiviso, che senso hanno le primarie interne al maggiore partito di opposizione?
Quando invece le primarie sono interne al Pd in una situazione in cui il Pd, per forza e tradizione, è in condizioni di esprimere il candidato di tutta la coalizione – come in Umbria e nelle regioni "rosse" –, allora le primarie rischiano di ridursi a resa di conti interna tra politici locali e tra "correnti" del partito.
Sembra dunque necessaria una ridefinizione dello strumento-primarie: come dove quando e perché. Il dopo-regionali, con un periodo senza campagne elettorali fino alla fine della legislatura nel 2013, può essere il momento giusto. E la questione primarie non può essere slegata dalla questione alleanze: è chiaro che il tentativo di costruire una larga coalizione di centro-sinistra che vada da Casini a Di Pietro con ambizioni di governo per la prossima legislatura presuppone un ridimensionamento dello strumento primarie. Che i partiti più piccoli osteggiano per ovvie ragioni.
Il caso Puglia ha intanto lasciato le conseguenze che ben descrive Casini: «Nel 60% del territorio nazionale l'Udc andrà alle elezioni regionali da sola».
Catiuscia Marini, politica e internauta
Di Pietro resta il padre padrone dell'Idv