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Talenti italiani, approdo in Mediobanca via Oakesdale

di Sara Bianchi

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16 marzo 2010
Marco Magnani

Un lavoro in Mediobanca, come advisor in mergers & acquisitions e una rete di amicizie internazionali che lo fanno sentire a casa in qualunque posto del mondo. Tanto ha fruttato una borsa di studio negli Stati Uniti per Marco Magnani, classe 1969, che a soli 16 anni ha lasciato Parma per Oakesdale, nello stato di Washington.
Negli Stati Uniti è arrivato grazie ad American Field Service, organizzazione internazionale di volontariato non governativa che promuove programmi di scambio in 50 paesi del mondo, Italia compresa. «È una cosa che realmente cambia la vita a un ragazzo», racconta. «Ho vissuto un anno in una famiglia americana, perfettamente integrato, come fossi uno di loro, con i genitori e i due figli, un maschio e una femmina. È stato un anno pieno, senza alcuna interruzione per tornare in Italia, un'esperienza che mi ha aperto al mondo e mi ha formato caratterialmente». Magnani si è diplomato in una scuola americana, poi ha conseguito la maturità anche in Italia e si è laureato in Economia Politica all'Università La Sapienza di Roma, quindi ed è tornato per l'Mba negli Stati Uniti, alla Columbia University di New York, dove successivamente ha trovato lavoro in campo finanziario, per Jp Morgan a Wall Street. E ora è stato premiato dal World Economic Forum come Young Global Leader, onorificenza a giovani talenti di tutto il mondo che si distinguono per capacità professionali, impegno per la società e per il forte contributo a creare futuro.

Perché è tornato in Italia?
Perché c'è stata un'opportunità. Altre possibilità si sono presentate in diversi paesi europei e non nel corso di quegli anni, ma non le ho ritenute interessanti abbastanza per spostarmi da un posto nel quale stavo bene e dove mi sentivo a casa

Molti dicono che sia difficile il rientro in Italia. Per lei non è stato così
È sempre abbastanza difficile andare da un posto ad un altro perché devi essere aperto, ambientarti, integrarti. Si fa fatica all'inizio e lo stesso accade se torni in Italia dopo dieci anni negli Usa. È un cliché pensare che rientrare nel nostro paese sia difficile. Naturalmente le cose cambiano nei diversi settori di lavoro, ci possono essere casi in cui è più o meno facile. Oltretutto a Milano non avevo radici, non conoscevo nessuno. Sono stato in Italia, a Parma, dalla nascita fino a 16 anni, sono tornato per l'Università a Roma, poi di nuovo negli Usa alla Columbia. Il mio è stato uno spostamento, non un rientro

Che cosa ha portato con sé dagli Usa?
La mentalità del «give back», del mettersi a disposizione. Nel tempo libero, volendo fare qualcosa per gli altri, mi impegno nelle tre direzioni che, grazie ad altrettante borse di studio, mi hanno cambiato la vita: sono vicepresidente di Afs Italia, che aiuto tra l'altro a raccogliere borse di studio per gli scambi culturali di giovani italiani e stranieri; sono presidente dell'Associazione Alumni dei Cavalieri del Lavoro, con la quale aiutiamo i giovani borsisti che vanno all'Università e nel nostro Collegio, e degli alumni di Columbia Business School a Milano dove aiutiamo la Scuola nel fund-raising e nella selezione dei candidati italiani. Sono tre direzioni rivolte ai giovani, cerco nel mio piccolo di favorire un po' di mobilità sociale nel nostro paese

Quali differenze trova tra i giovani italiani e americani?
I ragazzi americani sono più sognatori, quando parli con loro e gli chiedi cosa vogliono fare da grandi ti danno risposte molto ambizione, i modelli di riferimento sono Bill Gates, grandi finanzieri, imprenditori, politici. Lo considero un fatto positivo perché se non si sogna a vent'anni, non si sognerà mai più. Invece i giovani italiani sembrano più realisti, forse sono meno stimolati e quindi hanno percorsi più tranquilli, tradizionali, in linea con lo spirito più prudente del nostro paese

Che cosa intende?
Negli Usa oggi nonostante tutto quello che è successo, la pesante crisi finanziaria, la minore centralità politica a livello mondiale, ancora oggi esiste e resiste il sogno americano. E a tutti i livelli, da chi fa lavori più umili a chi ambisce a carriere manageriali, ci sono voglia di sfondare, grande motivazione, bisogno di integrarsi, desiderio di far parte di questo sogno. Non vedo la stessa cosa negli stranieri che arrivano in Italia, evidentemente non siamo molto bravi ad attrarre, non sento un altrettanto forte sogno italiano, con grandi motivazioni e entusiasmo

Non sappiamo attrarre i giovani talenti e non riusciamo a motivare le giovani generazioni
Sì, invece ci parliamo molto addosso del fatto che gli italiani all'estero non rientrano. Se abbiamo italiani bravi che studiano o lavorano all'estero è secondario il fatto che rientrino. L'importante è avere forze di livello che abbiano legami forti con il Paese. Il vero problema è che non sappiamo attrarre gli stranieri di qualità in Italia, riuscire a farlo invece costituirebbe una grande ricchezza

A suo avviso cosa sarebbe utile inserire nei nostri percorsi di studio per migliorare la situazione?
Un'esperienza importante all'estero, magari di sei mesi obbligatoria, nelle scuole superiori per i ragazzi italiani, meglio se nei cinque anni di liceo.

Irene Tinagli, i crucci di una giovane promessa

16 marzo 2010
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