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Ohio, l'America in piccolo

di Mario Platero

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4 marzo 2008


L'Ohio è un'America in piccolo. È vero da sempre, per una ragione: lo Stato, il primo del Midwest, 11 milioni di abitanti, rappresenta per assetto demografico ed economico un microcosmo del Paese, il più adatto a fotografare pregi e debolezze dei "candidati prodotto". «È come correre in cinque Stati diversi raggruppati in uno» ha detto domenica Hillary Clinton sconsolata, di nuovo spiazzata da Barack Obama per la conquista della nomination democratica.
In Ohio c'è di tutto: il Nord industriale, vecchio, rancoroso, anti-Nafta, in crisi, legato al partito democratico; la regione degli Appalachi, fatta di paesini isolati, montuosi e poveri; le pianure agricole che danno il polso di tutto il Midwest sconfinato che si apre a Occidente, fino al Minnesota e al Nebraska. C'è poi l'Ohio urbano e dei sobborghi con una decina di città, da Columbus a Dayton a Cleveland; c'è infine l'area sudoccidentale che fa capo a Cincinnati, ricca, moderna, patria di dieci delle prime 500 aziende d'America, un record. Qui, a Cincinnati, gli elettori sono soprattutto repubblicani o comunque benestanti centristi. Per questo l'Ohio sarà più determinante del Texas per il futuro presidenziale di Hillary Clinton: se la signora perderà qui, vorrà dire che ha perso l'America.
A Cincinnati c'è il più importante concentrato di aziende che operano nel settore al consumo del Paese: la Procter and Gamble, regina mondiale di detergenti, saponette e dentifrici; Macy's, leader nel settore grandi magazzini; Chiquita. Alcune di queste aziende sono tra le più vecchie d'America: la Procter and Gamble è stata fondata nel 1837 da William Procter, un produttore di candele e da James Gamble, produttore di sapone. Erano cognati in difficoltà economica e decisero di unire le forze. Oggi Procter and Gamble è la più antica fra le prime 50 aziende americane, continua a produrre sapone, ha 58 milioni di azionisti e capitalizza 200 miliardi di dollari.
«Quando queste aziende hanno capito come si riusciva a vendere in uno Stato complicato come l'Ohio, hanno avuto in mano la chiave per vendere in tutto il Paese. Pensi alla Procter and Gamble: ordinata, prudente, tradizionalista, ma è con lei che è partito il culto del consumatore, del consumismo, della pubblicità» dice Jerry della Femina, uno dei più autorevoli pubblicitari d'America. La P&G è l'azienda che oggi investe più di chiunque altro in pubblicità, addirittura il doppio rispetto al secondo, la General Motors. Per Della Femina non ci sono dubbi, in Ohio e nel resto de Paese il candidato, Hillary, Obama o il senatore John McCain, sono visti come prodotti: debbono vendersi agli elettori/consumatori. E per questo l'Ohio diventa una prova generale anche per i repubblicani.
Per capire meglio il "candidato prodotto", siamo venuti alla Procter and Gamble e abbiamo incontrato il direttore del museo aziendale, Ed Rider, memoria storica del consumo in America: «Si pensa che il fenomeno del consumismo sia recente, che appartenga al dopoguerra, all'avvento della televisione. Ma il consumo di massa per noi nasce nell'Ottocento, con un prodotto che vendiamo ancora oggi, il sapone Ivory. Lo abbiamo introdotto nel 1879 ed è stata una rivoluzione di mercato perché per la prima volta si creava un brand diverso dal nome della casa madre, con una sua identità».
Le altre pietre miliari della Procter and Gamble sono state l'introduzione delle soap opera, negli anni Trenta, quando gli "sceneggiati" si facevano ancora alla radio. Evolvendosi sarebbero diventati Beautiful, Guiding Light, As the World Turns, queste ultime due produzioni provengono direttamente da una divisione dell'azienda, la P&G Production. E oggi As the World Turns, che debuttò con la sua prima puntata in radio nel 1937, è la più longeva serie televisiva del mondo.
Nel 1952 ci fu l'introduzione di una pubblicità corporate, rivoluzionaria per allora: mostrava un donna in grembiule, che sculacciava un uomo anche lui in grembiule, dicendogli di lavare i piatti. Nel 1972 fu la volta di un altro messaggio dirompente: la profezia che ci sarebbe stato in America un presidente donna. «Dobbiamo dare al consumatore quello che vuole - continua Rider - in tempi di apprensione, come questo, e ne abbiamo visti molti, dobbiamo rafforzare l'aspetto del valore intrinseco al nostro prodotto. Il messaggio che viene dalla politica è per il cambiamento. Per noi non è una novità: se siamo riusciti a difendere la posizione di Tide (in Italia Dash, Ndr) come prodotto più venduto da sempre è perché abbiamo sempre puntato sull'innovazione».
Cominciano a prendere corpo le chiavi di lettura per il candidato prodotto. I messaggi vincenti di Barack Obama da una parte - l'innovazione, la grande retorica che fa sognare l'elettore/consumatore - e di John McCain, l'antiestablishment repubblicano, l'eroe di guerra che sotto tortura non ha mai confessato. «Fra questi due candidati, ideali per l'instabile umore di oggi, alla ricerca del nuovo anche se fine a se stesso, Hillary è rimasta schiacciata» dichiara ancora della Femina. La pubblicità politica, spiega, è la stessa di quella al consumo. Stessi obiettivi, stessi strumenti, focus groups, ricerche di mercato, sperimentazioni, per dare un messaggio e un prodotto (il candidato).
Con alcuni limiti: non c'è un ambiente controllato, definito, per un prodotto con un pool specifico di consumatori a cui parlare, con una programmazione di medio termine in cui operare: «In politica ogni giorno cambia qualcosa - continua della Femina - non ci sono riscontri immediati sulle promesse implicite nel prodotto e una volta "acquistato", se, per qualunque ragione sei insoddisfatto, non lo puoi restituire». In questo contesto, il grande mistero che affascina gli strateghi pubblicitari è la caduta verticale dell'attrattiva di Hillary Clinton: godeva di vantaggi locali medi del 20% un po' in tutti gli Stati, del 25% in Ohio, del 20% su base nazionale. All'improvviso il vantaggio è sparito.
  CONTINUA ...»

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