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Un mondo nuovo ma ancora senza guida

di Renato Ruggiero

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Mercoledí 30 Luglio 2008

Dopo sette anni di duro lavoro si è concluso con un profondo disaccordo, in particolare tra Stati Uniti, Cina e India, l'ottavo negoziato commerciale multilaterale, noto come il "Doha Round", dal nome della capitale del Qatar dove fu lanciato nel novembre 2001. In questi sette anni è cambiato il mondo, ma i negoziati del Doha Round sono rimasti sostanzialmente ancorati alla riduzione del livello dei dazi e delle sovvenzioni per i prodotti agricoli e industriali. Ma le grandi priorità sono oggi le sfide globali e tra le più importanti e urgenti quella di combattere il surriscaldamento del pianeta, con intrecci notevoli con le politiche commerciali. Queste sfide sono rimaste lontane dall'agenda, tranne indirettamente quella del forte aumento dei prezzi agricoli che ha spinto l'India a richiedere una clausola di salvaguardia speciale in difesa della propria produzione agricola contro forti importazioni. La Cina, dal canto suo, ha rifiutato qualsiasi liberalizzazione in materia.
Intanto l'equilibrio geopolitico si è spostato verso l'Asia e le classificazioni economiche si sono arricchite di una nuova potente categoria, le economie emergenti: grandi Paesi caratterizzati dalla contemporanea presenza di una vastissima povertà e colossali ricchezze monetarie. All'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto, World trade organization) le tradizionali leadership degli Stati Uniti e dell'Unione Europea si sono ridimensionate per l'arrivo delle nuove economie emergenti, il cui peso è diventato determinante per il raggiungimento di un consenso finale. Per quanto riguarda la Ue, le cui posizioni sono state difese dal commissario Peter Mandelson, le critiche sostenute pubblicamente dal presidente francese Nicolas Sarkozy, con l'appoggio italiano (dato giustamente con molta visibilità) e di altri sette Paesi membri, hanno certamente limitato il ruolo del commissario europeo.
Il Doha Round è stato quindi anche il negoziato globale che ha rappresentato un test importante di una nuova leadership multipolare che si sta creando. Enormi flussi finanziari continuano ad alimentare, con le colossali rendite petrolifere e i surplus commerciali, le già sovradimensionate riserve monetarie e i relativi fondi sovrani d'investimento di alcuni Paesi, prendendo il posto che avevano grandi istituzioni finanziarie americane ed europee.
E in questo mondo che cambia velocemente e profondamente, la Wto si è trovata a dovere affrontare questi negoziati globali con procedure tradizionali inadeguate e tempi lunghissimi. Ognuno dei 153 Stati membri ha un voto e ogni voto ha lo stesso peso per raggiungere l'unanimità richiesta per ogni decisione.
Trovare il consenso è diventato sempre più difficile. Questa nuova realtà multipolare ha conferrmato il tradizionale conflitto tra i Paesi avanzati e quelli in via di sviluppo. Ma nuovi conflitti si sono manifestati tra gli stessi Paesi meno sviluppati in nome di interessi diversi, così come tra Paesi in via di sviluppo ed economie emergenti. Lo stesso fronte degli emergenti è apparso poco solidale.
Di fronte a una così complessa situazione le forze economiche non sono più disponibili ad accettare tempi enormemente lunghi per trovare, e non sempre, le necessarie risposte ai bisogni sempre più complessi di un'economia globalizzante e interdipendente. Di qui il ricorso crescente ad accordi bilaterali e regionali a carattere preferenziale.
A oggi, ve ne sono in vigore 211, che coprono circa la metà del commercio mondiale. A questi se ne devono aggiungere 20 firmati, ma non ancora operativi e 70 in via di negoziato. Tra questi primeggiano gli accordi dell'Unione Europea con un gran numero di Paesi asiatici. Gli Stati Uniti seguono a ruota insieme ad altri numerosi partner commerciali, grandi e piccoli, rendendo sempre più difficile il funzionamento del sistema multilaterale. Ora, dopo questo fallimento negoziale, c'è il rischio di una nuova corsa ad accordi bilaterali preferenziali.
Ma la differenza tra il sistema multilaterale e gli accordi preferenziali è molto importante, sia commercialmente, sia politicamente. Il primo si fonda sulla clausola della nazione più favorita, che estende a tutti i partner commerciali gli stessi benefici che si danno a quelli con cui si raggiungano accordi. In altri termini, si basa sul principio di non discriminazione. E il contrario avviene con gli accordi preferenziali, che limitano le preferenze ottenute ai soli membri degli accordi. Il numero e l'estensione raggiunti dagli accordi preferenziali rendono ora il principio di non discriminazione l'eccezione del sistema commerciale e non la regola. Ma vi è di più. Con la grande estensione degli accordi preferenziali, quella già avvenuta e quella che si prospetta con le nuove intese con i Paesi asiatici, aumenta anche la dimensione politica degli accordi commerciali, incrementando così anche i rischi di conflitti e la loro pericolosità. Ancora più grave la marginalizzazione del sistema per la soluzione delle controversie, forse la maggiore conquista del sistema multilaterale.
Ridare il primato al sistema multilaterale rispetto agli accordi preferenziali, e un'agenda di lavori che tenga presente i nuovi ruoli del sistema rispetto alle sfide globali, devono essere ora gli obiettivi principali anche per rispondere alla crescente richiesta di protezionismo. Già in America vi sono autorevoli voci che chiedono «una pausa di riflessione» per rivedere, alla luce delle nuove situazioni competitive create dalle grandi economie emergenti, Cina e India in primo luogo, il principio del vantaggio comparativo. Statistiche americane ci dicono che il sostegno alla liberalizzazione degli scambi è diminuito negli Usa del 25% dall'inizio del Doha Round. La globalizzazione incontra ovunque timori e critiche sempre maggiori.
  CONTINUA ...»

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